mercoledì 20 novembre 2013

Aiuto, l'italiano è diventato una lingua low cost


Esce oggi "Anche meno", il nuovo libro di Stefano Bartezzaghi

Antonio Dipollina 

“La Repubblica “, 19 novembre 2013

Il libro precedente era Come dire. Quello attuale è Anche meno. Se sia un nuovo passo verso l'abisso di perdizione del linguaggio dei nostri tempi lui, Stefano Bartezzaghi, non lo svela. E a domanda precisa c'è caso che risponda proprio con il titolo medesimo. Anche meno( Mondadori, da oggi in libreria) reca un sottotitolo di quelli folgoranti, "Viaggio nell'italiano low cost" dove, va da sé, il giocoliere di parole non si nega la doppia accezione e lascia a ognuno la decisione finale di scegliere se quell'italiano ha a che fare soltanto con la lingua di casa nostra oppure se indica il tutto, l'italiano essere umano o quel che ne resta.
Che è successo in pochi anni? La premessa è semplice - quanto raffinatissima in molti snodi di lettura - accerchiati e sovrastati di parole, parlano e soprattutto scrivono tutti, la reazione del povero essere mortale che rivendica storicamente sobrietà e voglia di divertirsi diventa quella: "Anche meno". Grondano di parole ormai fuori controllo anche i treni (un annuncio dietro l'altro dagli altoparlanti), debordano i luoghi della Rete - Twitter in primis - anni fa non scriveva nessuno o quasi, oggi scrivono tutti: il risultato è appunto un linguaggio finale davvero a basso prezzo, quanto rivelatore del mondo, della natura umana, della voglia progressiva di annullamento in qualsiasi cosa ci faccia sentire vivi.
E appena la disanima si fa un po' seriosa, eccola lì la frase da opporre: appunto "Anche meno", tormentone peraltro recente, pronto a essere sostituito da quello successivo che da qualche parte sta per nascere. E anche qui, la tentazione irresistibile di giocarci sopra: "Anche meno" come afferra subito qualsiasi affezionato di parole, diventa anche un agitare proprio le anche, uno sculettamento di se stessi da usare nelle forme di espressione (di-meno le anche: e in anticipo anche sul twerking reso famoso da Miley Cyrus) e nel modo di comunicare, ovunque.
Parlano e scrivono tutti, e allora, dice Bartezzaghi, o ci si difende reagendo male e chiudendosi da qualche parte, o ci si mette disincanto e si cerca di viverci dentro per quanto si può. Esempio massimo, appunto Twitter, che è al tempo stesso bettola infrequentabile ma anche luogo di approdi felici, a saper cercare e saltare nei posti giusti. Un luogo, Twitter, dove uno degli sport principali è quello di correggere - preferibilmente in maniera violenta - l'altro, di attaccarlo in qualche modo e attenderne la reazione: anche e proprio sul linguaggio, sugli errori che si commettono - Le correzioni di Franzen, a quel punto, entrano a pieno titolo nel trattato. Deprecando quello che viene definito "Grammar Nazi", ovvero la ricerca occhiuta e la censura feroce degli errori altrui quando si parla o si scrive, ignorando sempre i propri, e invitando a prenderla più leggera e a impegnare fatica in cose migliori.
E da qui, poi, l'ampia trattazione si lancia senza paura e con il consueto piglio alla Bartezzaghi nel mare magnum degli esempi, dei luoghi della parola, siano il talk show politico, oppure di nuovo Twitter o ancora, che rimpianti, le scritte sui muri. Elenchi e scempiaggini, castronerie sublimi elencate a dimostrare quanto sia low il low cost, ma quanto sia anche altamente consigliabile, a saperci entrare. Che genio nascosto e inconsapevole ha potuto scrivere su quel muro: "Io con te/4 metri sopra il cielo/perché a 3 metri/stanno molta gente"? È il capitolo che parla dell'amore, anzi dell'Ammòre, e di come il low cost in questione tratti via muri e social network le eterne questioni che riguardano il sentimento supremo. Fino a scoprire che nessuno batterà mai quello che voleva davvero darsi un tono d'Oltralpe e sul marciapiede di fronte alla casa della ragazza tanto desiderata ha vergato con la vernice un definitivo "Ge Tem".
Facile, l'amore. Facile? Per niente, e allora la politica, per dire? In quella che diventa presto pagina dopo pagina una cavalcata irresistibile niente viene lasciato in disparte, a partire dalla sopraffina analisi dei meccanismi del talk show e dagli exploit più clamorosi dei politici da diporto linguistico, le metafore di Bersani, oppure il Di Pietro che dice «Il mio gruppo si scilipotizza» ma bertoldescamente un minuto dopo è lui medesimo, Di Pietro, ad annunciare che sta per dare una grande notizia: «Ma prima godetevi la pubblicità».
Gergo, abitudini fallaci, modi di dire, sfondoni clamorosi, gaffe, la fotografia collettiva è impietosa - o magari intrisa di pietas - divisa in capitoli in cui si ride alle lacrime nonché l'esatto contrario. Elenchi di nefandezze - ma trattate come spiegato, con la leggerezza necessaria e acume totale - per cui, ad esempio, a mettere insieme la perfetta scena da incubo da sfondo italiano attuale dobbiamo immaginarci un gruppo di Archistar che si attovagliano per un'Apericena e si perplimono discutendo su dove sta andando a finire la Blogosfera.
Passa, tra le pagine, l'epopea del "piuttosto che", mentre per una volta, segno dei tempi?, anche il Bartezzaghi si lascia un po' andare e va a cogliere dinamiche strepitose nell'evoluzione del turpiloquio, quello ormai normalizzato e quello invece da trattare sempre un po' dicendo e un po' no: fermo restando che come ha detto qualcuno, un paese che non riesce a mettersi d'accordo in maniera unitaria sulla valenza effettiva dell'espressione "Sticazzi", probabilmente non ha davvero futuro. O se ce l'ha, è fatto appunto in una maniera molto simile a quanto viene delineato nell'"Anche meno", mai come stavolta anche implorazione vera e propria.

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