«Il mondo digitale è anarchico»
Quando Turing vide il presente
Lo storico Dyson: «Gay e ribelle, è stato dimenticato da molti»
Roberta Scorranese, "Corriere della Sera"
24 ottobre 2012
Nel 1954, a 41 anni, Alan Turing scelse di morire come in una favola anarchica: addentando una mela avvelenata. Quasi a ribadire la purezza della sua Biancaneve interiore, dopo che il governo di Sua Maestà britannica lo aveva punito con la castrazione chimica: l'omosessualità, all'epoca, era un reato. Quest'anno il matematico e crittologo, nonché padre della moderna informatica, avrebbe compiuto cento anni. George Dyson, docente di Storia della scienza e della tecnologia, lo ricorderà al Festival della scienza, dopo averne raccontato la storia nel suo libro Turing's Cathedral. «Ma attenzione - avverte - guai a farne una banale icona della memorialistica».
Turing infatti è stato uomo volutamente sfuggente, denso di contraddizioni. Con le sue ricerche anticipò l'era della comunicazione ma al tempo stesso ne fissò i limiti: nonostante risponda alle leggi degli algoritmi, l'universo digitale sarà sempre imprevedibile. Di indole bizzarra (legava la tazza del tè al termosifone, andava in bici con la maschera antigas), fece del rigore una legge imprescindibile. Ma, soprattutto, anticipò la più stretta, sfaccettata attualità. «Aveva 24 anni - dice Dyson - quando ideò la famosa Macchina universale, apparecchio potenzialmente in grado di imitare il comportamento di qualsiasi altro congegno. Tutto o quasi doveva essere codificato in forma di stringhe composte da 1 e 0. Bene, oggi tutto il sistema di software o hardware segue questo percorso. E quando compriamo un iPhone nuovo iniziamo a "scaricare" stringhe in codice o "applicazioni" che lo trasformano in quello che vogliamo».
Accanto a questa idea, Turing però pose le basi per un altro (importantissimo) principio: «La conseguenza della sua Macchina - continua Dyson - è che non sarebbe potuto esistere un modo per capire a prima vista in cosa poteva concretizzarsi una stringa di numeri. Quindi, il suo messaggio è: non importa quanto possa crescere la capacità dei computer o quanto un governo, un'organizzazione o una multinazionale cerchino di servirsene per esercitare forme di controllo: l'universo digitale sarà sempre imprevedibile, anarchico». È come se (anche inconsapevolmente) avesse voluto impiantare anticorpi alla sua stessa creatura, consapevole delle conseguenze delle «macchine pensanti». Sta qui forse il fascino più segreto di questo londinese così poco capito, forse anche poco studiato. «Certo - afferma il professore - lui è stato anche un eroe di guerra, grazie alla sua macchina che permise di decrittare informazioni tedesche, il Codice Enigma, durante il secondo conflitto mondiale. Codice che ha ispirato un libro di Robert Harris e poi l'omonimo film di Michael Apted. Ma vedete, questo dettaglio è stato come separato dal resto della sua storia, fino a tempi recenti». Ricordato per il supercomputer, dimenticato per altro.
La sua omosessualità e l'atteggiamento antiaccademico (come ricorda Piergiorgio Odifreddi, a trentasei anni era ancora un assistente) non hanno aiutato nella costruzione di una memoria. Venne arrestato e castrato chimicamente nel 1952. La cura ormonale a cui fu sottoposto gli fece crescere il seno. Solo nel 2009 l'allora primo ministro britannico Brown pronunciò parole di completa riabilitazione. Eppure.
Eppure la sua vita intensa, eclettica, fuori dagli schemi avrebbe potuto incuriosire di più il cinema e la letteratura. Dalle parole (e dal libro) di Dyson, nonché dagli aneddoti sulla vita di Turing, la sensazione che si avverte è quella di un personaggio che aveva capito troppo (e troppo in anticipo, negli anni Cinquanta) di alcuni nodi cruciali di oggi: la potenza senza controllo di Internet, il potenziale intellettuale delle macchine, persino la modernissima guerra che si combatte con le armi dell'informazione. Domande all'epoca brucianti, confuse, che spaventavano. Si pensi ai racconti dello scrittore di fantascienza americano Fredric Brown che ne La risposta (in Italia edito da Einaudi) mette in guardia sui pericoli nascosti nelle macchine troppo pensanti. «Oggi - conclude Dyson - Turing resterebbe impressionato davanti alla nostra capacità di mettere in pratica le sue idee. Chi meglio ne ha descritto l'indole è stato Charles G. Darwin, nipote del naturalista, nonché suo tutor nella ricerca, che sottolineò: "Lui cerca di capire fino a che punto la macchina impara dall'esperienza"». Chissà.
George Dyson (1953), è storico della Scienza e della tecnologia. È stato anche director’s visitor all’Institute for Advanced Study di Princeton. Nel libro «Turing’s Cathedral» ha raccontato l’avventura di Alan Turing (1912-1954) nonché quella di John von Neumann, che ha sviluppato le intuizioni del matematico.
Tuono Pettinato e Francesca Riccioni
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