sabato 17 novembre 2012

Come ci cambia Facebook



Social network. Motori di ricerca che sostituiscono la memoria. Testi da lettura veloce. Ecco come si va modificando il cervello dei nativi digitali. Distratti e compulsivi. Ma veloci e multitasking


Come difendere la libertà in rete
Un saggio di Franco Bernabè sulla privacy nell’era di Internet

Stefano Rodotà

"La Repubblica",  20 novembre 2012

«Grandi vantaggi e grandi opportunità grazie alla rete. Tuttavia, le nuove opportunità portano con sé anche nuovi rischi, impensabili fino a poco tempo fa. La riservatezza e la sicurezza delle informazioni possono incidere in maniera significativa sui meccanismi di funzionamento delle società democratiche e pertanto le ripercussioni di potenziali negligenze vanno ben oltre le problematiche specifiche del settore delle comunicazioni. La salvaguardia della riservatezza della sfera personale rappresenta infatti solo uno degli aspetti in gioco: la posta è molto più alta, ed è la libertà individuale».

Nel mondo di Internet e dintorni è tutto un fiorire di scritti dei suoi protagonisti, autocelebrativi, assertivi delle meraviglie dell’innovazione tecnologica, venati talora da disprezzo per chi esercita riflessione e critica. Può sorprendere, allora, che un appartenente a questo mondo, il presidente esecutivo di Telecom Italia Franco Bernabè, abbia scritto un saggio dal titolo Libertà vigilata (Laterza), che si allontana da quello schema e suscita interrogativi. Di quale libertà si sta parlando? Chi sono i vigilanti? E quali i soggetti sottoposti al loro controllo?
La descrizione di quello che è stato chiamato il “digital tsunami”, con le caratteristiche assunte dalla raccolta e dal trattamento dei dati personali, apre il libro, e rende espliciti i problemi da affrontare. È significativo che Bernabè scriva che «la salvaguardia della riservatezza della sfera personale rappresenti solo uno degli aspetti in gioco: la posta è molto più alta, ed è la libertà individuale». Qui si coglie il distacco da un modo di considerare la privacy nel mondo dell’impresa. Nel 1999, Scott McNealy, allora amministratore delegato della Sun Microsystems, disse: «voi avete zero privacy. Rassegnatevi». Nel 2010, Mark Zuckerberg ha decretato la fine della privacy come regola sociale. Si riflette qui un obiettivo preciso: considerare proprietà dell’impresa i dati da essa raccolti su qualsiasi persona. Ecco, allora, congiungersi la questione della tutela di diritti e libertà fondamentali e quella delle regole che devono accompagnare il funzionamento del mercato.
Compaiono a questo punto gli “Over the Top”, gli operatori che utilizzano Internet come un’unica piattaforma e costruiscono i propri servizi “al disopra della rete”, creando un sistema distributivo «impensabile per qualsiasi altro servizio di rete (ad esempio, acqua, energia e gas)». La logica della loro attività porta ad una “monetizzazione” dell’informazione raccolta ed alla creazione di monopoli, con effetti che Bernabè descrive con particolare riferimento a Facebook e Google. Qui non è possibile seguire nei dettagli una esposizione che, come in tutto il resto del libro, offre al lettore una descrizione puntuale del funzionamento dell’intero sistema. Ma il punto rilevante è rappresentato dal’individuazione del modo in cui si sta redistribuendo il potere nel mondo globale, con l’emersione di un “Big Data”, di soggetti non sottoposti ad alcun controllo. Questo potere non riguarda solo la sfera dell’attività economica ma, attraverso la costruzione di “profili” delle persone, incide sulla loro stessa identità. Mentre in passato si poteva definire l’identità affermando che «io sono quello che dico di essere», oggi si dovrebbe concludere che «tu sei quello che Google dice che tu sei». Paradigmi economici e sociali vengono radicalmente mutati.
Si giunge così al cuore di molte questioni, riassunte dal termine privacy. Bernabè sottolinea come la debole tutela dei dati personali abbia favorito i modelli di business delle imprese americane, creando una situazione di svantaggio competitivo per quelle europee, tenute a rispettare le regole dell’Unione europea che considerano quella tutela come un diritto fondamentale della persona. Vengono allora indicati modelli di disciplina che dovrebbero consentire un corretto equilibrio tra diritti della persona e esigenze delle imprese. Si offre così materiale per una discussione generale che qui può essere soltanto accennata, partendo dalla constatazione che lo stesso ambiente americano comincia ad essere penetrato dalla consapevolezza che la crescente possibilità di raccolta dei dati personali non può tradursi nel diritto di usare quei dati come se fossero proprietà esclusiva di chi li ha raccolti, considerando marginale o indifferente la volontà degli interessati. Si accentua, così, l’attenzione per il rispetto della dignità della persona e si propongono norme severe sulla raccolta delle informazioni da parte dei datori di lavoro e per la costruzione di profili a fini di pubblicità commerciale. Bernabè propone poi di andare oltre lo schema attuale – consenso preventivo al trattamento dei dati personali o opposizione a un trattamento già iniziato – adottando forme di gestione dei propri dati che consentano un controllo complessivo sul modo in cui vengono utilizzati. Ma questo tipo di soluzione può determinare difficoltà che finirebbero con il disincentivare la persona a impiegare il proprio tempo nell’amministrare l’identità digitale. Si finirà, allora, con il trasferire questa attività ad una nuova categoria di professionisti, i gestori dell’identità, confinando tra le buone intenzioni i progetti di una sua autogestione?
Come ben si vede, si apre un ampio spazio per una discussione che riguarda la stessa collocazione della persona nel mondo digitale. Le suggestioni di Bernabè non si fermano qui. Altrettanto impegnative sono le analisi riguardanti l’assetto complessivo di Internet, condotte sempre sul filo di una informazione puntuale e di aperture sui problemi legati all’innovazione. Compare così il timore di regole che possano comprimere in forme improprie l’attività d’impresa, senza tuttavia indulgere alla logica prevalente che fa del mercato una sorta di inviolabile legge di natura. E questa linea si manifesta anche nella delicata materia della sicurezza delle reti, che Bernabè esamina anche alla luce del “caso Tavaroli”, che ha riguardato proprio Telecom e ha rivelato gravi lacune nella gestione delle informazioni personali. L’allora responsabile della sicurezza di Telecom, infatti, ha potuto utilizzare in maniera illecita i dati di traffico, cioè le informazioni che consentono di ricostruire, attraverso le chiamate telefoniche, la rete di relazioni sociali delle persone. Bernabè riconosce «una sostanziale carenza di misure» adeguate a contrastare le violazioni, facendo propri i rilievi del Garante per la privacy e descrivendo i nuovi meccanismi di garanzia. E questo è davvero un tema capitale per la difesa dei diritti, poiché il dilatarsi delle dimensioni delle banche dati è sempre più spesso accompagnato, in tutto il mondo, da loro violazioni.
Dinamiche diverse s’intrecciano, e segnalano una “evoluzione rivoluzionaria” che dovrebbe approdare ad una “seconda Internet”. Ma questa traiettoria evolutiva non dovrebbe in nessun caso mettere in discussione la neutralità della rete e il suo carattere egualitario e libero, senza i quali Internet entrerebbe in contraddizione con se stessa e la propria storia.

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