domenica 4 novembre 2012

L'umanesimo oltre la dea Ragione



Una nuova creatività per liberarci dalla dittatura del tecnicismo

 Andrea Carandini

"Corriere della Sera",  4 novembre 2012

Mancando il seno, il neonato succhia altro e scopre una realtà separata, che riempie di simboli. Oltre ai mondi interno e esterno esiste quello del gioco, della cultura. È la dimensione immateriale dell'essere, che ha fine in sé, in cui trascendiamo la vita pratica. Qui verità superiori intensificano e rappresentano l'essere, rendendo anche la vita pratica feconda. Ma razionalismo, industrialismo e tecnicismo di '800 e '900 hanno mortificato l'homo ludens. Svaghi meccanici che hanno puerilizzato e distratto, ponendo la cultura nel retroscena. Priva di creatività, anche la vita materiale è diminuita, serrata nel pensiero fisso dell'economia. A soffrire di ristrettezza sono state soprattutto le scienze dello spirito. L'idea di progresso, tratta dalle scienze naturali ma inapplicabile a quelle umane, ha portato a un presente incolore. L'idea di cultura, inventata nel '700 da Vico e Herder, è in crisi, e con essa l'idea di Bildung, formazione.
È il momento di tornare all'essenza cultura. La tradizione umanistica si è basata sul senso comune, non sul sapere dimostrato delle scienze. Infatti in costumi, morale ed estetica il caso singolo non si assoggetta a una regola. Kant ha ristretto la conoscenza concettuale all'uso della ragione, escludendo l'estetica, basata su un gusto soggettivo privo di significato conoscitivo. Si è giunti così all'Erlebnis, all'unità significativa, eccezionale, immediata: estranea alla storia. Si è trattato quindi di ridare verità alle scienze dello spirito. L'esperienza storica, infatti, è un continuum di cui l'arte è parte. Quando capiamo un testo, il suo significato si impone come avvince il bello. Nell'antichità le cose belle erano quelle che rifulgevano di per sé, per cui s'imponevano anche nel costume morale. L'antica idea di bello non si limitava all'estetica, aveva un carattere universalmente ontologico.
Dilthey si è chiesto come lo spirito arrivasse a conoscere la storia: «La prima condizione di una scienza della storia sta nel fatto che io stesso sono un essere storico e che colui che… indaga la storia è anche quello che la fa». Si è trattato poi di passare dalla fondazione psicologica (dell'Erlebnis) a quella ermeneutica delle scienze dello spirito. L'esperienza individuale vale come punto di partenza di un allargamento che trascende la ristrettezza della vita singola e abbraccia l'infinità del mondo storico. Yorck e Heidegger hanno individuato la corrispondenza strutturale tra vita e sapere, per cui comprendere è il modo originario dell'essere. Chi comprende l'altro, comprende se stesso, avendo entrambi il modo d'essere della storicità. E la storicità dell'essere è la condizione per rendere presente il passato.

Interpretare un testo

Per interpretare un testo bisogna difendersi dalle abitudini mentali inconsapevoli. In base al senso immediato di un testo, l'interprete abbozza un significato preliminare, ma raggiunge la comprensione elaborando il progetto iniziale, penetrando più a fondo il testo. L'interpretazione trae inizio da preconcetti, che vengono sostituiti da concetti più adeguati e in questo rinnovarsi del progetto conoscitivo sta il movimento del comprendere, dell'interpretare (non diversamente procediamo nella vita pratica). Serve essere sensibili all'alterità del testo, ma anche non dimenticare se stessi, coscienti dei propri pregiudizi: sono i pregiudizi inconsapevoli a renderci sordi al testo.
È dell'Illuminismo il pregiudizio contro tutti i pregiudizi, mirante a dissolvere ogni tradizione (del Romanticismo è lo stesso pregiudizio, rovesciato). Il pregiudizio è un giudizio enunciato prima d'un esame definitivo, non un giudizio falso, potendo essere valutato negativamente o positivamente. Stare nelle tradizioni non implica limitare la propria libertà. Se è vero che l'esistenza è condizionata in vario modo, allora l'ideale di una ragione assoluta non rappresenta una possibilità per l'umanità storica, essendo essa condizionata da situazioni date. Anche la più autentica e autorevole delle tradizioni non si sviluppa in virtù della forza di persistenza di ciò che una volta si è verificato ma ha bisogno d'essere riadattata, coltivata. Anche la conservazione è un atto della ragione. Anche nelle rivoluzioni il passato si conserva e, pur nel preteso mutamento di tutto, si salda al nuovo. L' ermeneutica storica rifiuta l'opposizione astratta fra tradizione e storiografia. Ciò spiega perché le riuscite nelle scienze dello spirito non invecchino.

Coscienza storica

La comprensione storica implica più che la ricostruzione del mondo cui l'opera apparteneva: la coscienza che noi apparteniamo all'opera e l'opera a noi. Mentre l'ermeneutica romantica scioglieva dal condizionamento storico la comprensione fondata sulla congenialità, l'autocritica della coscienza storica constata la mobilità storica sia dell'accadere che della comprensione e tra esse si pone. Colui che interpreta ha un legame con la cosa oggetto di trasmissione, ha un rapporto con la sua tradizione, ha con esse familiarità ed estraneità.
Il senso di un testo trascende l'elemento occasionale dell'autore e del pubblico originario. Comprendere è un atto anche produttivo. Così il tempo appare, non più come un abisso, ma come il fondamento dell'accadere nel quale il presente ha radici e un mezzo della comprensione stessa (scavalcare tale abisso era invece il presupposto dello storicismo, per il quale solo trasponendosi nello spirito dell'epoca si raggiungeva l'obbiettività storica).
Ciò che il passato comunica acquista nell'interpretazione un'esistenza nuova, come nel dialogo in cui nasce quanto nessuno aveva prima in mente. Lo storicismo si rifiuta a questa riflessione, perché la fiducia nel metodo gli fa dimenticare la propria storicità. Ma un pensiero autenticamente storico non insegue il fantasma dell'oggetto storico, riconosce ciò che è altro da sé insieme a se stesso e cerca il rapporto che lega la storia alla comprensione storica (parte anch'essa dell'accadere). Non esistono due orizzonti, quello dell'interprete e quello storico in cui egli si traspone, ma un unico, grande e mobile orizzonte. Cultura è muovere lo sguardo sull'oceano umano.

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