venerdì 2 novembre 2012

Come coinvolgere i nostri studenti


A proposito dell’articolo di Lodoli su “La fine dell’umanesimo”


Valerio Magrelli

"La Repubblica", 1 novembre 2012

Addio cultura umanista è il titolo di un bell’articolo sulla scuola che Marco Lodoli ha pubblicato ieri su queste pagine. Basti un passaggio: «Professori di lettere, storia, filosofia, arte finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate accese in un angolo». Lodoli afferma che, per la stragrande maggioranza dei ragazzi, il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente. Saltati i ponti, le rive si allontanano sempre di più.
Verissimo, ma la mia esperienza con studenti universitari del primo anno di lettere e lingue, in un ateneo della provincia laziale, risulta differente. Ammetto che l’età non è la stessa, e che già la loro scelta indica un interesse per il mondo umanistico. L’incontro con le matricole, però, ricorda molto quello con gli iscritti agli istituti tecnici o ai licei. Fino a vent’anni fa, ad esempio, per spiegare il racconto dello scrittore francese Maupassant Palla di sego (1880), citavo il film di John Ford Ombre rosse ( 1939). Oggi nessuno conosce più quel western. Ho provato a chiarire la tragedia della Shoah, col film di Tarantino Inglourious Bastards (2009). Ma in classe nessuno lo aveva mai sentito nominare, così come nessuno aveva udito la parola “paltò” (cioè pa-letot), che avevo pronunciato per spiegare un particolare fonetico.
Insomma, è innegabile che, nella nostra epoca, docenti e discenti appartengano a linguaggi e culture quasi estranei fra loro. A sancire tale terribile divario, ricordo il giorno in cui, menzionando Pasteur, allusi alla cicatrice causatami dal vaccino. In un silenzio sbigottito, scoprii di essere l’unico, fra cinquanta persone, a portare quel marchio. Non lo sapevo, ma da tempo il farmaco viene assunto per bocca... Altro che tatuaggi, piercing e branding: la mia diversità generazionale appariva medicalmente iscritta sul mio corpo, “à la Foucault”, sotto forma di stigma.
Eppure non sono del tutto d’accordo con Lodoli. A mio parere, infatti, tra professori e allievi esistono ancora dei punti di contatto. Ma per trovarne ho abbandonato i riferimenti al cinema, preferendo i giornali e la tv. Studiando il teatro francese del Seicento, ad esempio, ho menzionato i libertini amici di Molière, quei precursori dell’Il-luminismo che vennero perseguitati dalla Chiesa e dai Protestanti in quanto epicurei, materialistici, atei. Ebbene, per esaminare l’intolleranza, i roghi, le torture, Vanini e Gassendi, su su fino a Voltaire e Diderot, ho voluto parlare di Rushdie – autore, va da sé, ignorato dai presenti.
Raccontando della fatwa, ho notato la somiglianza fra la teocrazia sciita degli ayatollah iraniani e quella cattolica dei papi romani, ricordando che la Santa Sede, lungi dal rinunciare al suo bimillenario potere temporale, vi fu costretto a cannonate, dai nostri bersaglieri, a Porta Pia (peraltro, nella Città del Vaticano, la pena di morte, praticata fino al 1870, fu abolita nel 2001). Ciò per dire che il libero pensiero non è una concessione generosamente elargitaci, bensì una conquista ottenuta col sangue dei martiri laici, martiri che nell’Islam furono sconfitti malgrado lo straordinario impulso profuso sin dal X secolo.
Certo, non ho risparmiato tinte forti, con le proteste dell’ambasciatore francese per la puzza di carne bruciata che, da Campo de’ Fiori, impestava Palazzo Farnese. Almeno, però, la mia lezione potrà impedire che si verifichi di nuovo la scenetta riportatami da un amico. Passando sotto il monumento di Giordano Bruno, lo sciagurato ha sentito uno studente che, al cellulare, pregava la sua ragazza di raggiungerlo, «qui in mezzo, sotto la statua della Madonna».

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