giovedì 8 novembre 2012

Com’è nato l’homo technologicus?


Quando un’amigdala era meglio di pc e iPad

Dalle pietre scolpite alla macchina a vapore: 
un lungo filo rosso di intelligenza e creatività

Gabriele Beccaria

"La Stampa - TuttoScienze",  7 novembre 2012

Prima dei megaliti di Stonehenge, degli zigurrat di Ur e delle piramidi di Giza l’«homo technologicus» era già al lavoro da tempi immemorabili.
Scolpiva amigdale, inventava punteruoli e asce, scopriva le forze del moto, mentre imparava a cacciare, a coltivare le piante, ad addomesticare gli animali. Aveva cominciato a lavorare elementi come pietra, ossa e legno e si avventurava nel mondo della metallurgia.
E’ con il racconto delle nostre origini di inventori che si apre la monumentale Storia della Tecnologia di Singer, Holmyard, Hall e Williams: un classico, che ritorna in una nuova edizione, con il primo volume che dalla preistoria si allarga al 500 a. C., con «la caduta degli antichi imperi». 
Professor Gian Arturo Ferrari, lei ha curato l’opera per Bollati Boringhieri: perché così tanta attenzione per le tecniche degli albori, tra scalpelli e punteruoli, se poi ci si ferma alla metà del XX secolo, ignorando l’era del silicio e della virtualità? 
«E’ fondamentale ricordare che i quattro curatori e gli studiosi che scrissero gli articoli dei sette volumi erano per lo più anglosassoni, influenzati per un verso dall’antropologia britannica, e coloniale, dell’Otto-Novecento, e per l’altro dal legittimo orgoglio di essere stati la culla della rivoluzione industriale». 
Quindi la soglia del 1950 fu aggiunta solo in un secondo tempo. 
«Sì. I curatori erano convinti che il passato è una realtà di continua acquisizione di conoscenze e, perciò, se la fase iniziale della tecnologia si colloca all’inizio della storia universale, il punto d’arrivo non può che essere il trionfo della prima e della seconda rivoluzione industriale, Proseguire avrebbe significato affrontare una sfida senza soluzione, un vero e proprio incubo».
Perché un incubo? 
«Pensiamo all’impianto dell’opera. Poteva reggere fino al momento in cui la tecnica è ancora la traduzione concreta della scienza e il progresso scientifico e i successi tecnologici corrono su linee convergenti, ma ben distinte. Poi, nel XX secolo, tutto cambia: la tecnologia diventa ricerca applicata e la scienza, compresa quella più teoretica, si incarna in mostruosi apparati tecnologici. Basta pensare agli acceleratori di particelle e al bosone di Higgs. Raccontare la tecnologia della seconda metà del 900 è così difficile che finora nessuno l’ha fatto. Siamo in attesa che qualcuno ci provi». 
Torniamo al passato: è nata prima la tecnica o la scienza? 
«Secondo gli autori, si tratta di evoluzioni parallele, che rispondono a un quesito conoscitivo: sapere come stanno le cose. Di conseguenza gli strumenti scientifici sono il prototipo di quelli tecnici. Questo è evidente proprio nel primo volume dedicato a preistoria e storia preclassica». 
Ma quanto conta la «scintilla creativa»? 
«Molto. Agli autori interessa scoprire e analizzare il momento in cui un oggetto o una tecnica è stato realizzato per la prima volta: scintilla creativa e scintilla conoscitiva coincidono. Quella che fa capire, appunto, come stanno le cose e che permette di “fare”, dall’osservazione dei moti delle stelle all’ideazione del moto rotatorio per costruire vasi». 
E’ una forma di pensiero in­ credibilmente «lungo», che regge millenni. 
«Sì. E infatti nei primi due volumi ci si concentra tanto sulle tecniche più “basiche” e primitive, come quelle per realizzare i trapani o accendere il fuoco, quanto sugli strumenti più sofisticati del mondo greco-romano, come il famoso orologio astronomico di Antikitera». 
Ma come nasce un’idea? Dal genio individuale a da una condizione storica? 
«I curatori avevano in testa il mondo industriale classico. Considerano le invenzioni come il risultato di una collettività, tranne che in casi più rari, in cui è protagonista il singolo. Un esempio è la macchina a vapore, che ha un nome e un cognome, James Watt. E’ interessante che lui la brevettò più volte e che tra i detentori del brevetto ci fosse il nonno di Charles Darwin, Erasmus: ecco un caso in cui storia della tecnica e storia della scienza tornano a intrecciarsi».

Gian Arturo Ferrari: EX PROFESSORE DI STORIA DELLA SCIENZA ALL’UNIVERSITÀ DI PAVIA, È PRESIDENTE DEL CENTRO PER IL LIBRO E LA PROMOZIONE DELLA LETTURA 
IL LIBRO : «STORIA DELLA TECNOLOGIA» ­ BOLLATI BORINGHIERI"

Per approfondire:

Storia della tecnologia: bibliografia fondamentale: CLICCA QUI


POLITECNICO DI TORINO, Corsi a distanza: STORIA DELLA TECNOLOGIA

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