lunedì 24 dicembre 2012

Ciack si copia: libri e film


Non una semplice ispirazione ma quasi una duplicazione narrativa.

Natalia Aspesi

"La Repubblica - CULT", 23 dicembre 2012

Una cinebiblioteca delle più eterogenee sta precipitando nelle sale cinematografiche, capolavori della letteratura ottocentesca, racconti fantasy di immensa popolarità del primo Novecento, insoliti romanzi contemporanei colti o popolari, anche biografie di personaggi storici (Lincoln) o inchieste giornalistiche (Argo): tutto diventa preda di un cinema che cerca affannosamente una sua sopravvivenza in un mondo che fluttua, cambia, corre, dimentica, cancella, vuole sempre di meno e sempre di più. La letteratura, la storia e la cronaca diventano una fonte inesauribile, una immensa risorsa, una strada per cancellare il presente o reinterpretarlo, una possibile promessa di nuove folgorazioni e nuove passioni universali. Così la semplicità e la meraviglia delle parole si spegne, ma nello stesso tempo rivive, nella sontuosità delle immagini, spesso dilatate in un gigantismo visivo che talvolta, usando per esempio la sempre più perfezionata tridimensionalità, alla fine appiattisce la percezione, sradica i ricordi, impone una quasi istantanea smemoratezza di ciò che ci ha appena stregato: come per lasciar posto ad altri incantamenti, ad altre provocazioni.
Dickens e Grandi speranze, tredicesima riedizione dal 1934, poi Tolstoj e Anna Karenina, settima riproposta dal 1927, Hugo e I miserabili adattato allo schermo 66 volte cominciando dai fratelli Lumière; questa volta però ispirato non a un capolavoro letterario che forse nessuno legge più, ma al musical di massimo successo che ne è stato tratto, visto da 60 milioni di spettatori in 43 paesi e tradotto in 21 lingue. Si ricorda con un certo disagio il quarto Grande Gatsby da Francis Scott Fitzgerald, girato nel 1974 e venuto male, con Mia Farrow e Robert Redford imbambolati, mentre si attende il quinto, quello girato dal visionario australiano Baz Luhrmann, con una coppia giudicata divina, Leonardo Di Caprio e Carey Mulligan, e che già dal trailer appare magnificamente ridondante ed estremo. Nel frattempo. Si sonnecchia, dieci anni dopo la trilogia del Signore degli anelli, con l’eccessivamente tecnologico Lo Hobbit: un viaggio inaspettato prima parte di una nuova trilogia ispirata alla prima opera letteraria del coltissimo filologo medioevalista professor Tolkien. Sono centinaia gli autori che oggi scrivono un romanzo sperando che venga adattato al cinema o alla televisione, cosa che capita soprattutto se al suo successo letterario si somma il concetto di infilmabile; così il taiwanese Ang Lee si è subito innamorato di Vita di Pi di Yann Martel, vincitore del Man Booker Prize, filmando in 3D la storia vera di un giovane naufrago che sopravvive su una scialuppa alla deriva per 227 giorni, con l’allarmante compagnia di una feroce tigre del Bengala. È diventato un film persino un romanzo assolutamente impossibile per lo schermo, il sensazionale e assicurano indimenticabile Cloud Atlas di David Mitchell, e infatti solo dei pazzi ardimentosi come i fratelli Wachowski (quelli di Matrix, che aveva lanciato ogni moda possibile), potevano osare una simile impresa.
In Italia, dove in generale il romanzo sfiora raramente il capolavoro e le stravendite anche all’estero, a parte la fortunata coppia Mazzantini-Castellitto che trasforma i romanzi molto amati di lei in film di altrettanta fortuna di lui, anche Bernardo Bertolucci è tornato con successo al cinema ispirandosi al racconto Io e te, di Ammaniti. Valeria Golino, per il suo primo film come regista, ha scelto di ispirarsi al disturbante Vi perdono, di Mauro Covacich. Persino la Bibbia si fa di nuovo cinema, con un gigantesco Noah, costato 130 milioni di dollari, protagonista un divo specialista di eroi mitici come Robin Hood o il gladiatore Maximus, Russell Crowe. La gentile signora EL. James, autrice della mondialmente amata trilogia sadomaso rosa, ha venduto per 5 milioni di dollari (il libro gliene ha fruttati 60) Cinquanta sfumature di grigio e ha ottenuto anche la supervisione di tutto, dalla regia alla scelta degli attori: sarà una grande sfida all’abbondanza di pornografia virtuale del romanzo, che solo un regista agguerrito potrà rendere meno banale sullo schermo. Il cinema da sempre si è ispirato alla letteratura alta o bassa, da Flaubert a Elmore Leonard, da Dostoevskij a Simenon, da Manzoni a Stephen King, da Poe alla fortunatissima Stephenie Meyer, da Elizabeth von Arnim a Candace Bushnell, da Henry James a Cormac Mc-Carthy, Dumas e le Carré.
Eppure oggi quell’avvinghiarsi a storie scritte per essere lette, in tempi in cui parrebbe che la gente legga sempre meno, segna una strada diversa per il cinema, che sempre più rinuncia alla sua originalità per cercare protezione e fortuna dentro le pagine di un libro di fama secolare o di sicuro successo o bizzarria. E scopre, o meglio ormai ha scoperto da decenni, quanto si adattino al cinema le comics, quei fumetti di massima diffusione e nessuna presunzione culturale che hanno ridato nuovamente immense audience e incassi miliardari. Superman, l’Uomo Ragno, Hulk, Batman, e tutti gli altri, diventati cineserie sempre più fantasmagoriche, lussuose, intelligenti, sotto la direzione di grandi registi, hanno trascinato i cinefili, soprattutto i più attenti e raffinati, a tener conto che la grande critica poteva benissimo conciliarsi con i gusti del grande pubblico. Come è capitato con la trilogia diretta dall’inglese Christopher Nolan, Batman begins, 2005, Il cavaliere oscuro, 2008, e all’inizio di quest’anno Il cavaliere oscuro – Il ritorno. Piera Detassis, direttore del cinemensile Ciak, anticipa i risultati del sondaggio 2012, che ha promosso come miglior film dell’anno e miglior regista proprio Il cavaliere oscuro – Il ritorno e Christopher Nolan, e ancora come miglior attore e miglior cattivo Tom Hardy, l’orrido e psicopatico Bane del film, e anche Christian Bale, cioè il malinconico, depresso, solitario Bruce Wayne, che gli basta una tutta di pelle nera con le orecchie a punta per diventare il supereroe Batman che salva Gotham City, cioè New York; tra le migliori attrici le due signore che circuiscono Wayne-Batman, la Catwoman di Anne Hathaway e l’ambigua Marion Cotillard. Se soprattutto il pubblico giovane si è lasciato trascinare dal film, il merito dipende più che dai sfruttatissimi comics a cui si è ispirato, dalla capacità del quarantenne regista, che rifiutando l’insulso 3D, è riuscito a creare immagini notturne di minaccioso incanto metropolitano, un mondo di crudeltà, sfida e rinuncia, in cui l’inquieto pubblico di oggi sembra perdersi nella malinconia di un comune destino batmaniano. La trilogia diretta da Nolan è uno dei casi sempre più rari in cui una grande produzione, un regista di talento, degli attori geniali, riescono a staccarsi dalla fonte letteraria, in questo caso dal fumetto, per creare un’opera originale, impregnata di cultura e disperazione contemporanee. Se no, tra tanti nuovi kolossal in cui il regista, pur bravo, si attiene fedel- mente al testo letterario, nessuno può essere definito d’autore. Secondo i cinefili più duri e puri, l’ultimo autore capace di creare immagini indimenticabili, di scardinare il modo di pensare, realizzare, vedere, amare un film contro ogni convenzione, elevando i sottogeneri ad arte, è stato Quentin Tarantino, che nel 1994, con l’Oscar Pulp Fiction ha influenzato il linguaggio e l’immaginario di un’intera generazione, e con il suo nuovo film Django Unchained pare abbia raggiunto inimmaginabili livelli di violenza che ancora una volta destabilizzeranno e incanteranno il pubblico. In passato erano tanti i film che segnavano il loro tempo, che incantavano, turbavano, si insinuavano per sempre nella memoria; come Apocalypse Now o Blade Runner, che se pure di ispirazione letteraria (Joseph Conrad, Philip K. Dick), erano stati ricreati completamente dai registi Francis Ford Coppola e Ridley Scott; film d’autore, quindi. Oggi il cinema si difende affidandosi a storie universali e sicure come i capolavori della letteratura o anche ai suoi sottoprodotti popolari, e soprattutto alla grandiosità spettacolare, a una supertecnologia dai risultati infantili, alla ricchezza delle scene e dei costumi, a divi belli e bravi, che come tali non durano ormai più di qualche film, affannosamente sostituiti da altri più belli, più bravi e soprattutto più nuovi. Hugo, Dickens, Fitzgerald, nella loro nuova versione superlusso e molto costosa, sono anche armi di una guerra dell’industria cinematografica per tornare a vivere soprattutto nell’ambiente che più lo esalta, la grande sala, e per difendersi dagli altri mezzi di diffusione, il computer, l’iPad, il cellulare, che lo nanizzano, lo umiliano, lo degradano.

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