sabato 22 dicembre 2012

Da Voltaire al Novecento gli intellettuali davanti al potere


Lorenzo Mondo

"La Stampa",  20 dicembre 2012

Come deve comportarsi lo scrittore nei confronti della vita politica e di chi detiene le leve del potere? Come atteggiarsi davanti a quello che, con parola piuttosto obsoleta, si definisce «impegno»? Le diverse opzioni, e il loro accidentato percorso negli ultimi tre secoli, in cui prende forma la modernità, sono oggetto di un appassionante saggio di Lionello Sozzi: Cultura e potere, che reca come sottotitolo L’impegno dei letterati da Voltaire a Sartre al dibattito novecentesco (Guida, pp. 174). Sozzi è un eminente francesista ma, pur avvantaggiandosi dei decisivi contributi offerti al dibattito in terra di Francia, conferisce alla sua indagine un largo profilo europeo, dedicando all’Italia una speciale attenzione.
Voltaire dunque, che nelle sue battaglie per la libertà e contro l’oscurantismo viene a patti con il potere assoluto, illudendosi (e non è il solo tra i philosophes) di correggerlo con i «lumi» della ragione. La sua lunga frequentazione di Federico II si chiuderà con un amaro e mordace disincanto, quando capirà di essersi ridotto a correttore dei versi che il sovrano gli sottoponeva con «frenetico ritmo». Antitetica, e in modo radicale, la posizione di Alfieri che proclama la saldatura insopprimibile tra cultura e libertà, condannando non soltanto le compromissioni con il mecenatismo ma ogni collaborazione con il «principe».
Sono atteggiamenti che prendono timbro e coloritura in tempi di conclamata tirannide ma trovano proiezione anche nel futuro. Ad esempio, sembra a Sozzi che la posizione di Alfieri anticipi il «disimpegno» professato da Julien Benda nella Trahison des clercs: «In qualsiasi clima politico, sotto qualsiasi forma di potere, il compito del clerc, termine medievale che Benda preferisce a intellectuel (...) deve indurlo a porsi, in un certo senso, fuori del tempo, fuori della storia, ad operare in qualità di “custode dei valori”, valori universali ed eterni». Ma quando questi vengono violati, non sarà giusto prendere partito, schierarsi con chi li difende opponendosi a ogni sorta di prevaricazione? Come non consentire al rovente J’accuse scagliato da Zola, ai tempi dell’affare Dreyfus, contro militarismo e razzismo?
È il dilemma che turba gli scrittori di buona coscienza, che induce un Hugo a dividersi tra il poeta che tiene i piedi per terra e quello che rivolge gli occhi al cielo dell’ideale. Anche se, e qui il discorso si complica, occorrerà confrontare il comportamento dell’uomo e dello scrittore, il riflesso del suo impegno civile nell’opera creativa. (In fondo, non occorreva essere uno scrittore, sia pure così autorevole, per riconoscere l’innocenza di Dreyfus). Resta poi, connaturato all’impegno, il rischio di battersi per un contropotere che si rivelerà altrettanto tirannico e funesto. Significativa la parabola di un Sartre, che nega ogni autonomia alla produzione letteraria, trasformando lo scrittore in portavoce della classe operaia: fino ad accusare Baudelaire e Flaubert di bieca connivenza con la borghesia, fino ad assolvere l’Unione Sovietica e la civiltà dei Gulag. Quanto luminosa, al confronto, la posizione di un Benda (non a caso apprezzata, con tutti i suoi limiti, da Norberto Bobbio).
Ma esiste un altro disimpegno, diverso da quello che si affida alla sorveglianza e alla critica dell’esistente. Immune dalle passioni politiche e dalle infatuazioni storicistiche, Proust esalta una letteratura che sia rivelazione, scoperta dell’«essenza permanente e abitualmente nascosta delle cose», che garantisca il recupero, come dirà Pavese, del mito e dei valori ancestrali. Sostiene Sozzi che l’intellettuale può muoversi, con pari dignità, sul piano «orizzontale, cioè quello della verità oggettiva dei fatti e del loro significato» e sul piano della «verticalità, della verità da indagare en profondeur negli spazi dell’io, ove un’esile fiamma va pur sempre difesa. (...) Forse è questo il modo migliore di conciliare impegno e disimpegno». Si chiude così la sua lucida e intrigante disamina. Ovviamente, per quanto riguarda l’opera creativa, l’importanza delle rispettive intuizioni e scoperte va misurata, al di là dei pur generosi impulsi, nella decantazione della scrittura.

Vedi anche BENEDETTA CRAVERI,  COME È NATO L’INTELLETTUALE"La Repubblica", 27 agosto 2012

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