Per accreditare l’idea di un antagonismo eterno
si risale fino a Troia e alle guerre persiane
Luciano Canfora
"La Stampa", 3 dicembre 2012
I procedimenti mentali intesi a dare alla nozione di Europa un contenuto storico, o addirittura politico, organicamente unitario sono votati al fallimento: questo non impedisce, ovviamente, che abbiano successo come pseudoconcetti della retorica comiziale.
Tentativi del genere si ripetono nel tempo, e prendono le mosse dagli spunti più diversi.
Tra le risorse più utilizzate vi sono, com’è noto, due remotissimi avvenimenti storici, la guerra di Troia (circa 1200 a. C.) e le guerre persiane (490 e 480-478 a. C.). Entrambi proverebbero che Europa e Asia si sono scontrate da sempre, e comunque ab immemorabili tempore, e che dunque oggi - in tempi di crescita esponenziale dell’economia indiana e, ancor più, di quella cinese - è giunto il momento della riscossa europea ancora una volta contro l’Asia: «fare fronte» (come dicevano un tempo gli attivisti dell’ultradestra eversiva) nel nome di Agamennone e di Menelao e, perché no, di Temistocle. Né importa che proprio lui, Temistocle, il vincitore di Serse a Salamina (con buona pace degli «europeisti da comizio») sia poi fuggito in Persia ostracizzato dagli Ateniesi, e ospite di Artaserse fino alla fine dei suoi giorni, in qualità di governatore della satrapia persiana di Magnesia al Meandro per ordine di Artaserse I. La storia, si sa, è complicata, e, se studiata da presso, smentisce la retorica comiziale.
Mette conto osservare, peraltro, che l’operazione di collegare passato e presente per cavarne insegnamenti attuali fu già compiuta in antico, ma non tanto a sostegno della presunta polarità Europa/Asia quanto, semmai, per suffragare il fondamento antico dell’antagonismo Grecia/Asia e portare argomenti alle aspirazioni egemoniche imperiali di chi voleva dominare sui Greci e accampava di chiamarli a raccolta per proseguire la storica, inestinguibile guerra contro l’Asia.
Un tale argomento fu il cemento ideologico dell’impero ateniese nel V secolo e fu ripreso e amplificato - con l’aiuto di devoti propagandisti - da Filippo di Macedonia nel secolo seguente. Ma in un caso come nell’altro si trattava per l’appunto di una copertura propagandistica delle aspirazioni egemoniche sul mondo greco tanto da parte di Atene quanto da parte di Filippo.
Un bell’esempio di come poté svilupparsi questo genere di operazioni ideologiche a base storiografica è dato dalla tardiva nascita della «cornice» dell’opera di Erodoto.
Per quanto la prudenza si imponga quando si cerca di stabilire attraverso indizi la stratigrafia compositiva di un’opera antica (per la quale in genere mancano informazioni esterne che rivelino il cammino compiuto dall’autore), è tuttavia ragionevole pensare che la «cornice» riassuntiva iniziale mirante a proiettare molto indietro nel tempo le radici del conflitto greco-persiano sia nata per l’appunto quando il racconto erodoteo si è concentrato, negli ultimi libri, sulle due invasioni persiane della Grecia. A quel punto si sono verificati, in modo convergente, alcuni fenomeni che hanno contribuito a far nascere quella «cornice» che solo molto tardi Erodoto deve aver collocato al principio della sua opera. E cioè: (a) il dilatarsi oltre misura del racconto di quelle due guerre e soprattutto dell’invasione di Serse, la più pericolosa e la più durevole; (b) il fatto che dunque tale racconto veniva a costituire la metà almeno dell’intera historíae; (c) il fatto che la vittoria sui Persiani venisse da tempo e stabilmente adoperata da Atene per giustificare il proprio impero imposto agli alleati greci; (d) la crescente insofferenza dei Greci verso tale uso imperialistico della vittoria sui Persiani, «nemico storico», nemico «di sempre»; (e) la scelta di Erodoto di far propria quella propaganda nel momento in cui Pericle stava portando Atene verso un micidiale conflitto intergreco; (f) la necessità propagandistica di dare al conflitto da cui la potenza imperiale ateniese era sorta lo sfondo storico mitico di un conflitto eterno, di una minaccia sempre presente da cui Atene aveva salvato i Greci tutti, ivi compresi quelli che ora le si opponevano o le si ribellavano.
Di qui la «cornice» in cui quel conflitto «eterno» viene teorizzato ed esemplificato: una cornice che dà unità a tutta l’opera imponente dello storico di Alicarnasso fattosi ateniese di adozione e pericleo di simpatie politiche.
Grecia e Asia, dunque: non Europa e Asia, stante che l’«Europa» di Erodoto è una Grecia un po’ più vasta, non un continente.
Erodoto è consapevole del carattere ideologico di una tale impostazione. In lui il propagandista generoso della giustificazione periclea dell’impero convive con l’etnografo che sa bene quanto Asia e Grecia e Africa siano realtà compenetrate, non contrapposte, e quanto, semmai, la Grecia debba a quegli altri due mondi, coi quali sin dal principio aveva convissuto mescolandosi.
Stranieri in mezzo a noi
Con Luciano Canfora al via «Lezioni di storia»
Jolanda Bufalini
"l’Unità", 3 dicembre 2012
ROMA QUAL È L’ORIGINE DELLA PAROLA STRANIERO? LA RADICE EXTRA NON AVEVA IL SIGNIFICATO POSITIVO DI STRAORDINARIO CHE OGGI GLI SI ATTRIBUISCE, vi era un senso piuttosto negativo, come nella parola «rivale» che altri non è che «colui che abita sull’altra riva». Ieri a preso avvio all’Auditorium parco della musica di Roma il settimo ciclo delle Lezioni di storia, dedicato quest’anno a «Lo straniero fra noi». Stesso successo di pubblico delle edizioni passate, i biglietti sono quasi esauriti fino a primavera, anche se si può sperare nel last minute, già ieri si era formata una coda di chi conta sulle defezioni. La proposta delle «Lezioni» si è, intanto, allargata a molte altre città (i programmi nel sito della casa editrice).
Ha inaugurato Luciano Canfora con «Siracusa 388 a.c., Platone respinto da Dionigi Tiranno di Siracusa» e, noi, abbiamo iniziato dalla fine, dalle domande del pubblico. L’etimologia di «rivale» dà la misura, dice Canfora, dei sentimenti di ostilità che suscita chi è considerato straniero. Cita un vecchio filosofo con propensione all’azione che incitò: «Proletari di tutto il mondo unitevi!», purtroppo però, questa è stata sempre una cosa difficile, una utopia. Ma, aggiunge lo storico, non è detto che l’importante sia il risultato, importante è la lotta, nella quale c’è già un risultato. Cita il denigrato imperatore Claudio, c’è una lettera al Senato romano, contrario ad estendere diritti di cittadinanza ai Galli del nord, in cui l’imperatore si esprime a favore dei Galli con l’argomento «il decadimento delle città greche è legato alla loro chiusura», alla incapacità di inclusione. Così a proposito della speranza di costruire una società giusta, «negli ultimi anni – dice lo storico – è di moda deridere chi aspiri alla formazione dell’uomo nuovo. Questo cinismo ha, dalla sua parte, molte lezioni che la storia ci ha dato». È un po’ come nel primo libro della Repubblica dove «si mette in difficoltà Socrate: la giustizia è una illusione, l’utile prevale». Ma, pur con tutto il realismo che la storia insegna, non si può dimenticare che «l’impero romano finì quando qualcuno gli sfilò dolcemente il potere grazie alla forza di parole come “lascia tutto e seguimi”».
Quanto alle disavventure di Platone con il tiranno Dionigi, non so se sia nei programmi del Parco della musica e di Laterza produrre i dvd, noi non ci proviamo nemmeno a riprodurre in mezza cartella il divertimento, il gustoso divagare nella filologia e l’interesse storico-politico suscitato dalla lezione.
Il primo problema da risolvere, spiega Canfora, è perché l’ateniese Platone, rampollo di famiglia nobilissima, discendente di Solone, nipote per parte di madre di Crizia, uno dei trenta tiranni, sceglie di andare in una città nemica: metropoli del mondo greco d’occidente aveva combattuto contro Atene ed era tradizionalmente vicina a Sparta. Il giovane Platone aveva pensato di dedicarsi alla sola attività politica, l’attività più alta nella polis. Ma va incontro a molte delusioni. Con i tiranni, con cui si schiera, ma che lo deludono quando mettono in difficoltà il suo maestro Socrate. Sarà la democrazia a mettere a morte Socrate, altra delusione. C’è il viaggio in Egitto mentre un altro socratico, Senofonte, va in Persia. L’esperienza dell’Egitto lo affascina, è una società ben ordinata e castale, governata dai sacerdoti. Sono tutte queste esperienze che lo portano a concepire l’eunomia, il governo dei sapienti e all’idea di provare a convincere il tiranno di Siracusa. Platone rischia la pelle, verrà persino fatto schiavo, lo salva un conoscente incontrato in Cirenaica, riscattandolo. Il filosofo non demorde e ci proverà ancora con Dionigi II, per scoprire che la frequentazione del potere corrompe. Canfora è troppo elegante per fare riferimenti alla attualità, ma chi ascolta non può non pensare al nostro governo dei tecnici.
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