Salvatore Settis
"La Repubblica", 28 dicembre 2012
La direzione regionale dei Beni Culturali, su parere dell’Ufficio legislativo del Ministero, ha dichiarato (27 novembre) che l’area è sottoposta ex lege a vincolo paesaggistico a tutela dell’ecosistema lagunare, ma secondo Orsoni il Consiglio comunale ratificherà comunque l’accordo, e per la cessione dei suoli Cardin verserà 40 milioni, indispensabili per «affrontare le imposizioni del patto di stabilità». Invano Italia Nostra stigmatizza le «distorsioni della prassi amministrativa » di un Comune che si arroga i poteri di autorizzazione paesaggistica, mentre le professionalità utilizzate (due geometri e un perito industriale) sono palesemente inadeguate. Intanto, le banche francesi rifiutano a Cardin il prestito di 40 milioni, e mentre lui giocando al ribasso propone di versare “a fondo perduto” solo il 3% (1.200.000 euro), il cardinal nepote Basilicati dichiara che il documento firmato «è solo una bozza».
In tanta confusione, qualche punto è chiaro: primo, i dati sull’inquinamento sono truccati. Nel documento Cardin presentato in Conferenza dei servizi, si vanta una bonifica delle aree destinate al grattacielo (ad opera della Provincia) che non è mai avvenuta, si parla a vanvera di valori nei limiti tabellari di legge, senza precisare che si tratta di valori previsti per le aree industriali e non per quelle residenziali, e si ignora che le fondamenta dovrebbero attraversare tre falde acquifere; intanto la stessa Direzione Ambiente del Comune assicura che farà rispettare le norme contro il dissesto idrogeologico, cioè condanna il progetto senza appello. Secondo: se non avrà i permessi, Cardin minaccia di trasferire in Cina il suo palazzo, con ciò mostrando con quanta attenzione a Venezia esso sia stato concepito, se può indifferentemente stare anche a Shanghai. Terzo: mentre un ex sindaco di Venezia dichiara cinicamente che «il progetto è orribile, ma a caval donato non si guarda in bocca», Cardin monetizza la vista su Venezia, mettendo in vendita a prezzi altissimi gli appartamenti dei piani alti, destinati ai ricchi, «perché ci saranno sempre ricchi e poveri ». Insomma, il suo “dono” è quello che Manzoni chiamerebbe “carità pelosa”, fatta non per amore del prossimo ma per proprio interesse.
Ma mentre il ministro dell’Ambiente Clini ed altri notabili esultano per l’imminente disastro, una dura mozione della massima accademia francese di scienze umane (Académie des Inscriptions et Belles Lettres) «esprime viva inquietudine per le minacce che pesano su Venezia e la laguna. Deplora che navi di grande tonnellaggio continuino a entrare nel bacino di San Marco, sfidando la fragilità di un sito unico al mondo e mettendolo alla mercé di possibili incidenti. Si stupisce che possano esser presi in considerazione progetti architettonici offensivi e assurdi, e osa sperare che il “Palais Lumière” previsto a Marghera, a causa della sua smisuratezza, non venga mai realizzato. Unisce la sua voce a chi disapprova queste iniziative e chiede che vengano respinte». Dalla Francia viene dunque un forte monito e una lezione di civiltà, coerente con la recente decisione, dopo un referendum popolare, di bloccare il progetto (non di un neolaureato, ma dell’archistar Jean Nouvel) di costruire cinque grattacieli sull’isola Seguin, già sede di stabilimenti Renault (sulla Senna, a 8 km dalla torre Eiffel), riducendolo a un solo edificio, e più basso. Ma perché Cardin, se davvero vuol dar lavoro ai veneti, non può edificare, nei 200.000 metri quadrati che avrebbe a disposizione, cinque torri da 50 metri, con la stessa volumetria totale? Perché l’inquinamento dell’area viene trattato con tanta leggerezza, proprio mentre il patriarca di Venezia Moraglia dichiara che «non è accettabile contrapporre il lavoro alla salute o all’ambiente, come si è fatto a Taranto»? Perché si favoleggia di “risanare Porto Marghera”, quando l’area interessata è di soli 20 ettari su 2.200? Perché i notabili della città fomentano la frattura fra i contrari al progetto e chi con l’acqua alla gola (letteralmente) è pronto a svendere tutto? Perché non rispondere nel merito e passare agli insulti? Tra le non poche finezze di Basilicati c’è infatti anche questa: secondo lui, chi ha firmato contro l’ecomostro (come Dario Fo, Stefano Rodotà, Carlo Ginzburg, Vittorio Gregotti) «usa il nome di Cardin per finire sui giornali». E lo zio Pietro, di rincalzo: «il mio palazzo sarà un faro che illuminerà la città, per giunta gratis». Questi segnali di degrado civile, particolarmente intensi a Venezia, si avvertono in tutta Italia sotto il giogo del “patto di stabilità”. Costringendo i Comuni agli stessi introiti che avevano prima dei drastici tagli dei contributi statali (nel caso di Venezia, anche della Legge Speciale), queste norme inique spingono dappertutto verso la svendita e la privatizzazione dei patrimoni pubblici. Anzi, secondo una fresca intesa tra Demanio e Confindustria, immobili pubblici «di particolare pregio» possono essere venduti «anche per utilizzi industriali» (Corriere della Sera, 20 dicembre). Abbiamo dunque dimenticato che i beni pubblici sono il portafoglio proprietario dello Stato-comunità, sono la garanzia della sovranità e dei diritti costituzionali dei cittadini, lo «strumento privilegiato delle grandi libertà pubbliche» (Gaudemet)? Il mostro della Laguna succhia a Roma i suoi veleni, e la sua vittima non è Orsoni, è Venezia. La vittima di una “stabilità” cieca che ignora i diritti è la nostra Costituzione. La vittima è l’Italia, che si pretende di salvare condannandola a mettersi in vendita, in balia di avventurieri e nepotismi. Le vittime siamo noi, i cittadini.
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