domenica 15 settembre 2013

Tra sensualità e sublimazione L'onnipresenza di Cupido indispensabile «dio minore»


Francesca Bonazzoli

“Cor­riere della Sera“, 8 settembre 2013

«Dardi d'amore», la piccola mostra allestita a latere del Festivalfilosofia, presenta una selezione di arte barocca emiliana — dipinti, grafiche, maioliche, sculture e volumi illustrati — che ha per soggetto Cupido e le vicende amorose dei personaggi della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso.
Le opere sono tutte testimonianze di un interesse per il tema amoroso cominciato molto tempo prima, nell'Accademia Platonica di Firenze animata da Marsilio Ficino (1433-1499) che riuniva praticanti di un culto quasi religioso per Platone. Nel primo quarto del XVI secolo la teoria platonica dell'Amore sviluppata da quel cenacolo si era già così diffusa che veniva orami volgarizzata attraverso un gran numero di libri e commenti ed era oggetto di ogni discussione alla moda nonché fonte di ispirazione per artisti e poeti. Scrive Erwin Panofsky in uno studio dedicato proprio al movimento neoplatonico: «Quella che era stata una filosofia esoterica divenne un tipo di gioco sociale, così che "infine i cortigiani ritennero parte indispensabile del proprio tirocinio conoscere quante e quali specie d'amore esistessero", per citare l'osservazione caustica di un filologo cinquecentesco».
A diffondere la moda neoplatonica contribuirono anche i numerosi repertori, stampati fra Cinquecento e Settecento, che offrivano agli artisti modelli per le raffigurazioni delle divinità pagane. Nelle pagine di tali «dizionari di iconografia», come quello presente in mostra, stampato a Venezia nel 1587 e compilato da Vincenzo Cartari, Cupido è presentato nelle sue numerose varianti: Eros che incorda l'arco; Eros dormiente, bendato, con la fiaccola accesa, con in mano fulmini o accanto a un favo di api e così via.
Non solo: pur essendo una delle figure minori del Pantheon greco e romano, Cupido fu molto rappresentato anche come presenza simbolica cioè in dipinti dove non aveva alcuna parte, ma con il solo scopo di indicare che la vicenda era di carattere amoroso, come si vede nella tela «Armida tenta di uccidere Rinaldo addormentato» di Marcantonio Franceschini. Qui il pittore bolognese inserisce infatti nella scena dei deliziosi piccoli Erotes, del tutto assenti nel racconto tassesco.
Proprio nell'arte barocca e rococò Cupido era tornato ad essere un putto, alato e grassoccio, come nell'antichità, mentre l'arte rinascimentale aveva preferito rappresentarlo come un fanciullo efebico. I suoi attributi più frequenti sono l'arco, la freccia e la faretra, le armi con cui colpisce e procura le ferite, che possono essergli sottratte da Diana e le sue ninfe, guardiane della castità, come nel delizioso quadro di Lorenzo Pasinelli. Ma mentre nell'arte classica non era mai stato cieco, nel Medio Evo Cupido cominciò a comparire anche bendato, con un'accezione negativa, col significato che Amore priva gli uomini del buon senso e della saggezza. Era insomma un riferimento all'oscurità associata al peccato.
Così anche una torcia spenta e capovolta, retta da un Cupido eventualmente dormiente, come nel dipinto di Guido Reni, simboleggia la caducità dei piaceri terreni. Quando invece Cupido era rappresentato con in mano il globo terrestre, si voleva indicare il carattere universale dell'Amore.
Nel gruppo marmoreo dell'allievo del Bernini, Ercole Antonio Raggi, invece due piccoli Cupido scolpiti litigano fra loro: si tratta di una rappresentazione dell'Amor sacro e dell'Amor profano, rielaborazione barocca degli antichi Eros e Anteros. Il mito raccontava che Venere, preoccupata perché il figlio non cresceva abbastanza, gli diede un fratello che avrebbe potuto aiutarlo. Anteros, per gli antichi, era dunque simbolo dell'amore reciproco, che cresce perché ricambiato. Ma gli umanisti platonici interpretarono la preposizione greca anti come «contro» anziché «in cambio di» trasformando così il dio dell'Amore reciproco in una personificazione della purezza dell'amore divino contro la passione sensuale.
Le immagini, dunque, potevano anche essere codificate in repertori e canoni iconografici, ma il loro significato cambiava e si modificava nei secoli.

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