Dall’Odissea alla Strada di McCarthy, i modelli di un ruolo difficile
Oggi lo psicoanalista è a Torino Spiritualità per parlare di Giobbe
L’esploratore dell’anima
«Quante volte siamo stati come Giobbe,
esposti al silenzio di Dio e orfani del capofamiglia?»
«I migliori genitori letterari sono vulnerabili come Ulisse: è questo che li umanizza»
intervista di Francesco Moscatelli
Massimo Recalcati
“La Stampa - Tuttolibri“, 28 settembre 2013
Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano, docente di Psicopatologia del comportamento alimentare a Pavia e fondatore di Jonas – una Onlus che promuove la democratizzazione della psicanalisi – è uno di quegli accademici capaci di farsi capire da tutti. Look alla Jonathan Franzen, 53 anni, grande appassionato di letteratura americana, si occupa di nuovi sintomi (bulimia, anoressia, dipendenze, attacchi di panico) e, da quando i suoi saggi sul desiderio e sulla paternità hanno scalato le classifiche, è una presenza fissa a festival ed eventi culturali.
Professore, lei sabato (oggi, ndr) sarà a Torino spiritualità per parlare di Giobbe. Giobbe, l’uomo paziente della Bibbia, è stato una figura centrale nella letteratura novecentesca, da Jung a Joseph Roth, Beckett e Kafka. Partendo dalla sua riflessione sull’«evapora zione del padre», cosa testimonia Giobbe all’uomo con temporaneo?
«Giobbe è l’icona della preghiera, dell’invocazione a Dio; è l’icona della non sufficienza dell’umano. Il problema è che se l’umano si costituisce sempre come un’invocazione rivolta all’Altro, come una preghiera, a partire dai primi vagiti con i quali viene al mondo, Dio resta inaccessibile e silenzioso. Di questo patisce Giobbe: della non risposta di Dio. È questo silenzio che lo sprofonda nell’abisso. Quante volte siamo stati Giobbe? Esposti al silenzio di Dio, orfani del padre. In effetti l’etimologia ebraica del termine Giobbe significa “Dov’è il padre?”».
Il suo discorso sulla paternità può essere sintetizzato nella frase: «Quel che resta del padre è l’essere portatore del fuoco nella buia notte di un mondo senza Dio». Nei suoi libri cita come esempio il padre de La Strada di Cormac Mc Carthy, un uomo che nello scenario apocalittico in cui si svolge il romanzo trasmette comunque al figlio l’amore per la vita, un amore ancestra le, quasi biologico. Come si impara ad essere padri così?
«Il padre de La strada non è un padre esemplare. I migliori padri non sono padri ideali. La clinica psicoanalitica insegna che quando un padre si presenta ai suoi figli come l’incarnazione dell’ideale può generare sui suoi figli un effetto di oppressione che non favorisce affatto lo sviluppo della vita. Anzi. Quello che resta del padre, evaporata la sua potenza autoritaria garantita dalla forza della tradizione, è un padre che vive la propria vita con desiderio e che educa i propri figli non con la forza del provvedimento disciplinare o con il sermone morale ma con la potenza dell’atto, del dare corpo al proprio desiderio... Il padre de La strada decide di continuare a vivere giorno dopo giorno in un universo disabitato da Dio... Resiste. Non viene meno alla sua responsabilità illimitata, ma non pretende di essere colui che ha l’ultima parola su tutto, sul senso del bene e del male, della vita e della morte».
Cosa ha letto questa estate?
« I fatti di Philip Roth che è un testo fondamentale per intendere il valore della scrittura e della poetica di Roth in generale. Ma è anche un grande libro sulla disperazione amorosa dove sesso e morte si miscelano in modo esplosivo. Roth ci pone di fronte non tanto all’estasi dell’amore ma a una vertigine e a un godimento mortale che sprofondano verso la distruzione reciproca. Poi ho letto per la prima volta Memorie di Adriano della Yourcenar: testo che restituisce una visione stoica della vita nei suoi affanni... La conquista e la difesa del potere, l’amore, l’ambizione, lo spettro della morte, l’eredità... Un altro libro che mi ha appassionato è stato L’adorazione , un saggio di Jean Luc Nancy sul cristianesimo... In estate cerco di evitare la lettura di testi psicoanalitici... È per respirare meglio...».
Quali libri consiglierebbe a un padre di oggi?
«L’Odissea, e poi quelli che cito nei miei ultimi lavori: oltre a La strada di McCarthy , Patrimonio di Philip Roth. Ma anche i film Million Dollar Baby e Gran Torino di Clint Eastwood. In tutti i padri protagonisti di queste opere, sebbene in modi diversi, incontriamo una vulnerabilità che li umanizza profondamente. Ulisse compreso: Ulisse nomade, mendicante, extracomunitario, Ulisse che per amore di sua moglie e di suo figlio rinuncia al sogno dell’immortalità».
Quale libro regalerebbe a un figlio?
«Non esiste un figlio in senso universale. A volte i regali dei genitori contengono l’aspirazione inconscia di rendere il proprio figlio adeguato al nostro ideale di figlio. Un vero dono implica la messa in valore della particolarità dell’altro che lo riceve. Tenere conto di questa particolarità comporta fare doni diversi a seconda delle diverse attitudini dei miei figli. In realtà sono i figli che devono trovare i propri libri».
Nel suo Il complesso di Telemaco suggerisce che dopo i figli Edipo che conoscono il conflitto con il padre e il trauma della Legge e i figli Narciso prigionieri di un mondo che sembra incapace di ospitare la differenza tra le generazioni oggi è il momento dei figli Telemaco, che come il figlio di Ulisse attendono il ritorno del Padre, ovvero «una testimonianza di come si possa vivere con slancio e vitalità su questa terra». Secondo lei i figli di oggi hanno consapevolezza di questa attesa, di questo bisogno?
«Non chiaramente. Ma è evidente che quello che manca oggi sono gli adulti. Sono loro che latitano, che anziché supportare i propri figli si comportano e vivono come dei figli smarriti. Quando però incontriamo la violenza, le pratiche distruttive, come l’uso della droga, o la riduzione del corpo a puro strumento di godimento, siamo di fronte ad una domanda muta... Questi figli sono dei Telemaco disperati. Domandano che ci sia un padre, ma lo fanno senza parole. Piuttosto con atti al limite del suicidio...».
In Patria senza padri, che ha scritto con Christian Raimo, si è occupato dei «padri» della politica italiana. Che modello incarnano oggi Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi ed Enrico Letta?
«Berlusconi e Grillo appartengono all’antipolitica. Sono a loro modo padri eversivi. Certamente sono diversi i fantasmi inconsci che li abitano: in Berlusconi è il fantasma della libertà che comporta il vivere l’esistenza della Legge come un impedimento… Dalla parte di Grillo troviamo un fantasma adolescenziale di purezza: i grillini sono i puri e tutti gli altri gli impuri. È il tipico manicheismo dell’adolescente. Con la conseguenza di una sterilità di fondo della loro azione politica incapace di mediare e con tutte le contraddizioni di fondo entro cui finisce ogni integralismo. Letta mi pare viva sotto il segno del sacrificio sino al rischio di incarnare un vero e proprio masochismo morale. In Renzi invece, se saprà far girare il vento nella direzione giusta, vedo un potenziale Telemaco. Il suo sforzo è diametralmente opposto a quello di Grillo e di Berlusconi: non si tratta di demolire la politica e le sue istituzioni ma di rianimarla, di ridarle lo slancio del desiderio. Il carisma di Renzi è legato allo slancio vitale,alla giovinezza, al desiderio, all’apertura di un nuovo orizzonte... Deve però liberarsi dell’ideologia della rottamazione se vuole davvero essere un figlio giusto. Non può volere la pelle dei padri. Lacan diceva che per liberarsi dei padri bisogna essere in grado di servirsene».
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