domenica 15 settembre 2013

PERCHÉ LA DIVINA COMMEDIA È SCRITTA DA UN NARCOLETTICO



Giuseppe Plazzi

"La Repubblica", 29 agosto 2013 


«Io non so ben ridir com' i' v' intrai, / tant' era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai». Prime terzine dell' Inferno di Dante Alighieri e primo dei tanti indizi che troveremo nel suo lungo cammino: il viaggio nell'aldilà che il poeta sta per percorrere avviene in uno stato «pien di sonno». Da questo momento in poi nella Divina Commedia si ripeteranno sonnolenza, sogni, rapide transizioni dallo stato di veglia al sogno, sonnellini brevi e ristoratori, visioni e allucinazioni, comportamenti automatici in condizioni di torpore ed episodi di debolezza muscolare fino a vere e proprie cadute scatenate da forti emozioni. L' insieme di questi segni, presenti anche in tutta l' opera letteraria di Dante, è tipico della narcolessia, una rara malattia neurologica descritta a fine Ottocento, della quale Dante potrebbe avere sofferto. Nel 1880 Jean-Baptiste-Édouard Gélineau, un avventuroso medico francese, coniò il fortunato termine narcolessia per descrivere una malattia di cui era affetto un giovane bottaio che presentava decine di episodi di sonno irresistibili, ma brevi e riposanti, ed episodi di cedimento del tono muscolare, fino all' improvvisa caduta a terra, scatenati dal riso, più tardi denominati cataplessia. Nonostante il termine sia stato largamente abusato per indicare stati di sonnolenza patologica di diversa natura, esso si riferisce a una bizzarra malattia oggi di grande interesse nell' ambito delle neuroscienze, soprattutto a seguito delle recenti scoperte. Colpisce circa quattro persone ogni diecimila abitanti ed è clinicamente caratterizzata, oltre che da attacchi di sonno e cataplessia, da paralisi del sonno (la sensazione di non riuscire a muoversi al momento del risveglio, o all' addormentamento), da allucinazioni e da un sonno notturno interrotto da molti risvegli. Questi sintomi sono dovuti a una disfunzione del sonno REM, la fase del sonno caratterizzata dalla presenza del sogno. Da pochi anni sappiamo che la narcolessia dipende dalla scomparsa di un piccolo nucleo di cellule cerebrali che producono un neuro mediatore denominato orexina, che tra l' altro coordina numerose funzioni metaboliche. Ma circa sei secoli prima della segnalazione di Gélineau, Dante Alighieri descrive, come tratto autobiografico, le caratteristiche cliniche della narcolessia. Benché sia verosimile che alcuni tratti delle sue opere siano espedienti letterari, è più difficile sostenere che la perfetta corrispondenza dell' insieme dei segni descritti con la narcolessia sia accidentale. Secondo i modelli narrativi medievali, il viaggio di Dante nell' aldilà, dall' Inferno al Paradiso, viene descritto all e g o r i c a mente come una visione durante il sonno. Dante infatti cade addormentato all' inizio della Commedia, per svegliarsi spontaneamente al termine del suo viaggio. All' inizio del poema, come visto, Dante è talmente stanco, anzi ha tanto sonno, da non ricordare come e dove abbia varcato la soglia dell' aldilà. Eppure Dante presta un' estrema precisione ai dettagli, colloca con esattezza l' inizio del viaggio nella notte prima del Venerdì Santo del 1300 e «Nel mezzo del cammin di nostra vita» ( Inferno - I, 1 ), quando ha 35 anni. Ma sorprendentemente omette di spiegare la causa di tanta sonnolenza, come se il vagare in uno stato così estremo da non ricordare dove lo avesse portato il suo camminare, non fosse per lui una condizione inconsueta. Durante la Divina Commedia Dante descrive il suo sonno come vero sonno e come tale viene testimoniato da chi lo osserva: al termine del poema, San Bernardo, guida nell' ultimo tratto del viaggio in Paradiso, si preoccupa di tagliar corto sulla descrizione di chi siano santi e angeli che affollano il Paradiso quando si accorge che Dante si sta risvegliando, e vuol concedere al poeta il privilegio unico della visione di Dio: «Ma perché ' l tempo fugge che t' assonna, / qui farem punto, come buon sartore, / che com' elli ha del panno fa la gonna»: ( Paradiso - XXXII, 132-139 ). Ma non c' è solo il sonno. Ci sono le rapide transizioni dalla veglia al sogno, sogno che normalmente compare dopo almeno un' ora dall' addormentamento («e ' l pensamento in sogno transmutai»: Purgatorio - XVIII, 145 ), ma che in una persona con narcolessia compare immediatamente. Ci sono sonnellini brevi e ristoratori, senza nessuna inerzia ipnica al risveglio («come persona ch' è per forza / desta e l' occhio riposato intorno / mossi»: Inferno - IV, 1-4 ). Ma, ancor più interessante per una lettura "medica" di questi segni, rari episodi di debolezza muscolare e vere e proprie cadute a terra scatenate da emozioni intense. Di fronte alla lupa Dante si sente improvvisamente debole: «Questa mi porse tanto di gravezza» ( Inferno - I, 52 ); dopo aver ascoltato il commovente racconto della vita di Paolo e Francesca dalla stessa anima di Francesca da Rimini cade a terra per l' emozione: «E caddi come corpo morto cade» ( Inferno V, 142 ). L' insieme di questi segni evoca in modo suggestivo i sintomi cardinali della narcolessia: attacchi di sonno con l' immediato ingresso nel sonno REM, brevi episodi di sonno, ma ristoratori, infine la cataplessia. L' ipotesi che la brillante creatività di Dante potesse essere sottesa a un tratto di personalità o a una vera e propria malattia ha trovato discreto spazio a fine Ottocento, suscitando spesso aspre reazioni da parte degli interpreti "classici" del poeta. Nel 1880 il dantista Giuseppe Puccianti suggerisce che sogni e sonni di Dante siano «vero sognoe vero sonno». Circa negli stessi anni Cesare Lombroso, il discusso inventore dell' antropologia criminale, asserisce che Dante soffrisse di epilessia, per le cadute improvvise e visioni, scatenando accese polemiche. Gli episodi di caduta che Dante tuttavia presenta, sempre scatenati da intense situazioni emotive, sono ben diversi dalla crisi epilettica che devasta il corpo e la mente di Vanni Fucci («E qual è quel che cade, e non sa como, / per forza di demon ch' a terra il tira, / o d' altra oppilazion che lega l' omo, / quando si leva, che ' ntorno si mira / tutto smarrito de la grande angoscia» Inferno - XXIV, 112-118 ). Con un' accurata descrizione, Dante non solo testimonia di conoscere molto bene l' epilessia, ma si addentra anche in teorie eziologiche e, attribuendo tale punizione a uno dei dannati, implicitamente stigmatizzando il connotato negativo che nella sua epoca aveva una manifestazione epilettica. Contesto e descrizione della crisi epilettica di Vanni Fucci sono ben diversi dalle cadute che Dante stesso presenta. Sulle ipotesi mediche ritornano più recentemente alcuni studiosi di Dante: Marco Santagata rivaluta l' ipotesi dell' epilessia, Barbara Reynolds avanza l' ipotesi provocatrice che Dante assumesse qualche sostanza psicotropa, Mirko Tavoni interpreta le visioni dantesche come ispirate da veri sogni. Sonno, sogni, cadute e allucinazioni possono però anche essere ritrovate in altre opera dantesche, fin dalla sua prima produzione, a diciott' anni, indicando un possibile filo rosso. Nella Epistola IV, scritta durante l' esilio al suo ospite Moroello Malaspina, Dante racconta un episodio allucinatorio; nella Vita Nuova, la maggior fonte d' informazioni autobiografiche sulla sua adolescenzae sulla gioventù, Dante racconta di episodi di sonno impellente a seguito di emozioni, anche ad orari inappropriati durante la giornata, della comparsa di attività onirica subito dopo l' addormentamento e, soprattutto, di nuovo di episodi di debolezza muscolare scatenati da emozioni intense. Sonnolenza ed emozioni sono infine una novità per ogni topos letterario medievale: il mal d' amore, l' amor heroicus, causa al contrario insonnia in chi ne è affetto. 

Questo articolo è una sintesi di Dante' s description of narcolepsy apparso su Sleep Medicine. L' autore è ricercatore al Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell' Università di Bologna 

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