domenica 15 settembre 2013

In punta di calligrafia



ROSSELLA MENEGAZZO 

"il manifesto", 7 settembre 2013

L'arte della scrittura è intramontabile. In Giappone sta conoscendo una nuova stagione, con mostre, sale di musei, collezioni rare e associazioni di cultori del genere. Fra i fenomeni più recenti, le «shodo girls», club femminili di calligrafia talmente popolari da battezzare un manga e una serie tv
Quando pensiamo al gesto dello scrivere, la prima immagine che ci appare è quella della mano che tiene la penna sulla carta, oppure delle dita che pigiano sui tasti, o ancora del dito che scorre veloce sul touch screen. Certo, esiste ancora qualcuno che ci tiene alla bella scrittura e esistono associazioni calligrafiche che promuovono corsi e incontri, ma i più in Italia (e non solo) credono che questa forma d'arte sia morta da quando non si insegnano più le aste a scuola, prima ancora che computer e tablet avessero il sopravvento. E così il calligrafare rimane prerogativa di pochi poeti e artisti eccentrici o di qualche romantico esteta, ma non fa più parte del nostro quotidiano, come avviene ad esempio in Cina, dove ancora si incontrano persone che al parco si esercitano calligrafando con l'acqua sulla pietra caratteri evanescenti. Tuttavia, può ancora capitare di passare una calda sera di luglio milanese chiacchierando per ore, amabilmente e senza divagazioni, proprio di calligrafia, di progetti concreti legati allo scambio internazionale con un rinomato calligrafo e direttore di un curioso istituto chiamato Characterism Art Institute di Xitang, Luo Qi, e un calligrafo di scrittura cinese ma autoctono, Silvio Ferragina, che sperimenta sul tema calligrafia-musica. Alla fine, ciò che emerge è la sensazione che parallelamente al rigore accademico, i confini della calligrafia contemporanea stiano allargandosi a est e a ovest abbracciando ogni espressione artistica, intrecciando epoche, stili, scritture, supporti come una sorta di ponte interculturale. La conferma arriva anche dal Giappone con le splendide opere esposte al Tokyo National Museum in una mostra dal titolo Calligrafia in stile giapponese (Wayo no sho) con i tesori di quell'arte dall'VIII al XIX secolo su tessuto, lacca, ceramica, paraventi e rotoli. Una collezione rarissima per quantità e qualità dei pezzi esposti, di cui si potrà godere di nuovo forse tra una trentina d'anni (al termine della mostra verranno richiusi nel buio dei caveau per essere conversati), che completa una serie di grandi mostre proposte dal Museo per divulgare la conoscenza della calligrafia cinese e giapponese.

I numerosi amatori 
Contemporaneamente, nel cuore alla moda di Tokyo, disposte sui tre piani del National Art Centre di Roppongi una selva di quindicimila opere calligrafiche contemporanee, perlopiù incorniciate all'occidentale, negli stili più disparati e con l'uso in qualche caso di inchiostri colorati, rappresenta la selezione itinerante della 65ma mostra dell'Associazione calligrafica del quotidiano Mainichi, una delle due associazioni più rappresentative del Giappone, insieme a quella del quotidiano Yomiuri , con circa 4mila aderenti tra amatori e professionisti. Intanto, giunge comunicazione dalla vicina Corea della Nona World Calligraphy Biennale di Jeollabuk-do nel sud del paese programmata per il prossimo ottobre e divisa in ben tredici sezioni che valorizzano ogni aspetto della tradizione calligrafica orientale fino alle sperimentazioni con nuovi materiali, media e forme tridimensionali che vanno nella direzione della word art . A giudicare dal fermento, sembra che non solo la calligrafia non sia morta ma che, almeno in Oriente, stia vivendo un periodo di grande popolarità e rinnovamento. Un rinnovamento che va gettando semi in tutto il mondo attraverso l'opera di personaggi come il grande artista cinese Xu Bing, chiamato in tutto il mondo per le sue installazioni calligrafiche tanto affascinanti e avvolgenti quanto visionarie, che trasformano lettere e caratteri in forme volanti, staccandole dalla carta fino a occupare lo spazio intero, o al fotografo giapponese Maruyama Shinichi che ispirandosi alla calligrafia zen trasforma le sue pennellate tracciate nel vuoto in performance e immagini fotografiche e video di alta precisione. Oppure, ancora, al fenomeno pop tutto giapponese delle shodo girls sviluppatosi all'interno dei club femminili di calligrafia scolastici, ma divenuto talmente popolare da aver giustificato la nascita di un manga e di una serie televisiva tematica intitolata con lo stesso nome Shodo Girls. 

Ibridazioni contemporanee 
Si tratta di performance calligrafiche, eseguite a più mani su fogli e con pennelli di enormi dimensioni e a ritmo di musica pop, creata su misura così come i costumi, da squadre di ragazze che si confrontano annualmente in veri e propri tornei nazionali tenuti in grandi palazzetti sportivi con giudici professionisti. Tutti fenomeni che, se da un lato allontanano la calligrafia dalla tradizione, dall'altra la rendono più avvicinabile all'Occidente facilitando il contagio e l'ibridazione. Di fatto, si assiste negli ultimi anni a un crescente interesse verso le forme calligrafiche, orientali e non solo, sempre più spesso fulcro di dibattiti, conferenze, lezioni, mostre, sperimentazioni artistiche promosse da università, musei, associazioni culturali a diverso livello. Un movimento lento ma dilagante, interculturale e interdisciplinare, che prende spunto dalla varietà e dalla complessità della scrittura cinese e giapponese per riscoprire le potenzialità della parola in quanto significato, segno e gesto. «La calligrafia, non importa saperla leggere, è bella lo stesso!»: questo il messaggio chiave che il vicedirettore del Tokyo National Museum e abile calligrafo, Hiroyuki Shimatani, riporta in copertina del suo recente volume La bellezza della calligrafia ( Sho no bi , Mainichishinbunsha, 2013), sottolineando come, anche non comprendendo il significato di un'opera calligrafica, la si possa apprezzare in quanto segno, per la sua forza di comunicare e mettersi in relazione con chi guarda. Non si spiegherebbe, altrimenti, il fascino che questi caratteri hanno da sempre esercitato sul pubblico occidentale, fino alla scelta definitiva da parte di alcuni di tatuarseli sul corpo. Porsi di fronte a un rotolo di carta colorata, impreziosita di polveri e scaglie d'oro o d'argento, dipinta con paesaggi e motivi della natura a fare da sfondo allo scorrere fluido e ritmicamente variegato di caratteri e spazi vuoti, equivale a porsi in ascolto di un bellissimo spartito musicale. Non importa saper leggere le note, la musica è per tutti. Nella calligrafia come nella musica esistono stili, strumenti, ritmi diversi e la parte scritta, siano tratti calligrafici o note, ha lo stesso peso dello spazio lasciato vuoto. Perciò chiunque si ponga in libero ascolto di un'opera noterà la differenza di ritmo, armonie, spessori, potenza, velocità. Ognuno troverà il proprio corrispondente, il segno più vicino al proprio carattere, al proprio gusto, alla propria sensibilità: elegante e sottile come nei componimenti poetici di epoca Heian (794-1185), quando tra le dame di corte si affermò lo stile calligrafico definito «a filo d'erba», oppure forte, vigoroso, austero come negli spessi ed enormi tratti calligrafici tracciati su paraventi destinati a residenze e castelli di potenti samurai, o ancora nelle semplici, veloci e istintive pennellate dei monaci-artisti zen che le utilizzavano come supporto per la meditazione, spesso affiancandole a veloci illustrazioni di parabole oppure in un'unica riga verticale che riassumeva in pochi caratteri una massima buddhista.

Un cammino spirituale 
La calligrafia in Oriente non è mai pura decorazione ma esercizio e disciplina del corpo e dello spirito. Esiste la cerimonia del tè che tutti conosciamo per la sua gestualità rituale, ma potremmo parlare anche di cerimonia della scrittura, perché la calligrafia comincia dalla preparazione degli strumenti stessi, considerati i «quattro tesori del calligrafo» e comprendenti pennelli, carta, panetto d'inchiostro e pietra per scioglierlo e diluirlo. Lo dicono i termini utilizzati per calligrafia in Cina, shufa «tecnica, arte della scrittura», in Giappone, shodo «Via della calligrafia», in Corea, soye «arte della scrittura». Tutti indicano una Via, un'arte a cui dedicarsi come cammino lento e costante, in cui lo spirito dell'individuo si forma e si esprime al meglio solo dopo aver preso pieno possesso delle regole fisse fino a renderle naturali. Solo allora lo stesso gesto compiuto infinite volte emergerà come proprio, originale, distintivo, come dicono chiaramente le parole del maestro Teshima Yuhkei (1901) riportate nella retrospettiva dedicatagli dall'Associazione Mainichi all'interno della 65ma rassegna annuale: «Che valore ha una calligrafia priva di eleganza? È come un fiore senza profumo». «La calligrafia può essere descritta come movimento e come forma, ma anche come respiro vitale». E mentre i classici affermano questo la scienza procede e all'università Keio di Tokyo il professor Seiichiro Katsura ha già sperimentato un robot che riesce a registrare forza, azione e movimento del calligrafo riproducendone la traccia del pennello sulla carta. Che profumo avrà?

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