Melania Mazzucco
"La Repubblica", 25 agosto 2013
Per me è semplicemente un nudo oceanico", scrive Gauguin. C'è una ragazza bocconi sul letto, sopra un lenzuolo di foglie di palma e un pareo blu, pronta a fare l'amore. Ma sul suo volto si legge la paura. Di cosa? Una polinesiana non si vergogna, come la biblica Susanna, di essere vista nuda.
Gauguin considera questo dipinto, emblematico per la semplificazione delle forme e l'appiattimento delle superfici, il più importante del suo primo soggiorno tahitiano (non vuole venderlo per meno di 2.000 franchi). Ne spiega più voltela genesi - in lettere e racconti di viaggio. Ritiene che il significato di un quadro risieda nell'armonia delle forme, delle linee e delle tinte, e non nel suo soggetto, perciò motiva ogni particolare e scelta cromatica: il giallo del lenzuolo perché il chiarore che emana gli evita di dover escogitare una fonte di luce; il porpora violetto dello sfondo perché adatto a trasmettere inquietudine; i fiori perché necessari come elementi decorativi. Svela così la sua tecnica di composizione, basata sugli accordi musicali del colore.
Non dipinge mai dal vero, ma racconta di essere stato ispirato in questo caso da un episodio reale. Una sera, tornando nella sua casa di Mataiea, 45 chilometri a sud di Papeete, lo colpisce la visione di Teha'amana nuda sul letto, nell'oscurità. È la tahitiana di 14 anni, silenziosa, malinconica e beffarda, con cui convive. La sua vahiné. Ma si proibisce di dipingerla come gli appare. Quel nudo "sarebbe indecente". Perché?
La donna nuda è un soggetto glorioso dell'arte europea. Le Veneri di Giorgione e Tiziano, Rubens e Velázquez sono sempre sembrate erotiche, ma non indecenti, anche se si titillavano il sesso. Però Gauguin ha in mente Olympia. La nuda di Manet lo ossessiona. Ne ha eseguito una copia e appeso una riproduzione sulla parete: Teha'amana crede sia la sua donna. Nel 1892 nemmeno la giovane età della modella susciterebbe troppo scandalo. Nelle colonie i bianchi si considerano proprietari dei corpi delle indigene, e Gauguin è partito con l'illusione di diventare un selvaggio e di sottrarsi alla schiavitù del denaro, ma anche per inseguire il mito edenico dell'Eva primitiva, non ancora inibita dalla colpa della caduta. Almeno in questo non è rimasto deluso. Le ragazze di Tahiti, pelle ambrata e morbida, spalle larghe e fianchi stretti, occhi infantili e ingenui, conservano la "bellezza animale del primo giorno" ma hanno sviluppato un'intelligenza acuta e sono capaci di tradire.
Gauguin - che secondo van Gogh anteponeva all'ambizione sangue e sesso - ne ingraviderà parecchie e ne avrà sempre una accanto, almeno finché la sifilide e l'eczema che lo deturpa non lo renderanno ripugnante anche alla più docile.
Nei primi mesi del suo soggiorno, Gauguin - che crede di essersi sbarazzato spensieratamente di famiglia, figli e obblighi della società europea - si entusiasma del folclore locale e dà alle sue tele titoli tahitiani. Ma le indigene che ha scelto come guide ai misteri del luogo restano un enigma. Così, sente di dover assegnare al nudo della sua
vahiné un significato simbolico. Forse è proprio in questa confusa necessità che la sua fuga a Tahiti trascende la ricerca di facile esotismo e sregolata libertà.
Se dipingerà la ragazza nuda, sarà per fare "qualcosa di casto": far vivere, attraverso il suo bruno corpo androgino, il suo mondo, i suoi miti, le sue tradizioni.
Perché - come Gauguin ha scoperto amaramente - essi stanno morendo. Dopo la conversione e l'annessione alla Francia, la società polinesiana è crollata. La cosmologia cancellata, i mara'e abbattuti, i culti annientati. Il cristianesimo ha capovolto valori, soppresso usanze, tradizioni e riti millenari. Ha separato l'uomo dalla natura, insegnato il peccato, represso la musica e la danza - principali forme artistiche di un popolo che affidava all'oralità la sua memoria. Malattie sconosciute hanno spopolato le isole, il lavoro coatto e la malinconia falciano i superstiti. Teha'amana non conosce più la storia della sua gente né i suoi dèi. Solo gli spiriti malvagi, che brulicano ovunque e possono manifestarsi in ogni istante.
Così questo "nudo oceanico" comunica la paura della ragazza - e un inquietante senso di pericolo. Alle spalle di lei, in un arcano alone di luce, circondata da enormi, fosforescenti fiori di anona (segno della presenza del divino), incombe una figuretta nera. È un fantasma, cui i polinesiani assegnano sempre le fattezze di un morto.
Manaö Tupapaü, spiega Gauguin, ha un duplice significato: "Pensiero. Credenza fantasma. O lei pensa al fantasma, o il fantasma pensa a lei". Anche l'immagine è ambigua e non svela chi sta immaginando chi. Lo spirito fa paura perché è insieme familiare e barbarico. Ricorda la strega delle nostre fiabe, una vecchia bretone dall'inespressivo volto di sasso, col fazzoletto sul capo. Ma anche gli idoli incas, cambogiani e giavanesi di cui Gauguin si era via via invaghito, e gli enigmatici ti'ki polinesiani scolpiti nel legno e nella pietra, esseri sessualmente indeterminati, insieme protettori e geni del luogo, distrutti dai missionari ma sopravvissuti sulle montagne e nelle foreste. Uccisi, gli antenati vegliano sui discendenti che li hanno rinnegati, proiettando su di loro l'ombra della morte. Ma vegliano anche su Gauguin: sono la materializzazione del suo disagio, l'ombra del disinganno che sgretola il sogno di trovare il Paradiso nei Mari del Sud.
Tentando di fondere culture diverse, esprimendo una doppia angoscia, la combinazione ragazza/Tupapaü sintetizza l'esperienza di Gauguin in Polinesia. Infatti il pittore replica questa "Olympia tropicale", con varianti nella posa di lei e nell'iconografia del fantasma; incide più volte il quadro e ne trae una litografia. E nell'autoritratto che esegue a Parigi dopo il ritorno, nel 1893, si raffigura con alle spalle proprio Manaö Tupapaü. Solo anni dopo - quando, fallito il reinserimento in Francia, si stabilisce nelle remote Isole Marchesi, in un fa're dal tetto di foglie di pandano - il Tupapaü gli svela il suo vero volto. Malato, emarginato, solo, Gauguin sobilla gli indigeni contro le autorità coloniali, civili e religiose, di cui denuncia lo sfruttamento e l'indottrinamento. Una delle sue ultime opere, un monotipo caricaturale, è una dissacrazione di questo quadro così amato: la ragazza ora è Thérèse, la vahiné del vescovo, e il persecutorio Tupapaü il Vescovo stesso nelle sembianze del diavolo. Lo Spirito dei Morti che spaventa le ragazze polinesiane non è indigeno. Gauguin, il vescovo, i bianchi, lo hanno portato con sé.
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