Paolo Ferri*
"Nòva - Il Sole 24 Ore"
29 settembre 2013
La scuola digitale è ancora un'utopia nella maggior parte degli istituti scolastici italiani. L'Ocse in un suo recente rapporto sulla scuola italiana (marzo 2013) mette in rilievo, con accenti molti critici, come a questo ritmo di investimenti la nostra scuola avrebbe bisogno di 15 anni per raggiungere in questo campo i risultati della scuola inglese che ha digitalizzato l'80% delle classi. Su questo fronte, però, i governi Monti e Letta hanno certamente corretto la rotta, dopo più di un decennio di colpevole disattenzione rispetto al «digital divide» della scuola italiana.
L'Italia ha oggi un'Agenda digitale, dove è contenuta una specifica «Agenda digitale della scuola». Quest'ultima individua la necessità, almeno «normativa», (i fondi stanziati non sono, invero, molti) del cablaggio a banda larga e dell'infrastrutturazione digitale delle scuole (tablet e lavagne elettroniche, ma anche classi virtuali, registri elettronici e gestionali per l'amministrazione scolastica). Una necessità improrogabile vista l'urgenza di proporre nuove metodologie didattiche e nuovi «contenuti digitali» per adeguare gli stili di insegnamento dei docenti a quelli di apprendimento dei «nativi digitali».
Tematiche che vengono approfondite in «Scuola 2.0. Verso una didattica aumentata dalle tecnologie», dove ho fornito una road map che orienti dirigenti, insegnanti e famiglie nel cammino verso la scuola digitale. In particolare, di recente si è molto dibattuto sul tema dei «libri digitali», che secondo le linee guida dell'Agenda digitale della scuola prenderanno, presto, il posto dei vecchi manuali scolastici. Anche il «pacchetto scuola» varato il 9 settembre dal ministro Maria Chiara Carrozza, ritorna su questa tematica, apparentemente "frenando", perché sposta l'introduzione obbligatoria dei «libri digitali» all'anno scolastico 2015/2016. In realtà, una lettura attenta del testo permette di comprendere come Carrozza si muova in maniera anche più radicale di Profumo. Il suo intento è quello di liberalizzare, in prospettiva digitale, il mercato dei testi scolastici.
Vediamo come: la «bozza Carrozza», se verrà convertita realmente in legge e in regolamenti attuativi, rende opzionale l'adozione dei libri di testo scolastici! Un fatto nuovo e per molti versi rivoluzionario, permette, cioè, a dirigenti e insegnati di decidere se adottare i testi degli editori educational o utilizzare altri contenuti didattici. La «bozza», infatti, modifica il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) che recitava all'articolo 151: «I libri di testo sono adottati, secondo modalità stabilite dal regolamento dal collegio dei docenti». In modo sottile la «bozza Carrozza» corregge: «I libri di testo possono essere adottati». Una sola parola «possono» che però cambia lo scenario dell'editoria scolastica italiana. Si tratta, in prospettiva, di una forte liberalizzazione nell'adozione di testi, contenuti e materiali su cui basare l'attività didattica. Insegnanti e dirigenti potranno, ora, scegliere tra varie opzioni oppure mixarle. In pratica: adottare i libri analogici e/o i contenuti digitali degli editori proposti dagli editori scolastici tradizionali, forzati dalla liberalizzazione a innovare in questo campo; utilizzare contenuti digitali e testi disponibili in rete in modalità "free" o "creative commons", ad esempio i "classici" non più sotto diritti disponibili, ad esempio, all'interno di Google Libri o le video lezioni delle Ted conference. Ma anche utilizzare testi, materiali didattici e contenuti digitali progettati dai docenti stessi o da altri docenti. Come i «libri di testo» del progetto Book In progress, manuali scritti dagli 800 docenti della rete nazionale del progetto che permettono un risparmio di circa 300 euro rispetto ai tetti di spesa del ministero.
Da questo punto di vista la bozza Carrozza, sempre se approvata, rappresenta un passo decisivo nella direzione di una riforma, anche digitale, della scuola italiana che la renda più attenta e responsabile rispetto ai nuovi stili di apprendimento dei cittadini «nativi digitali»: i suoi allievi e studenti.
* Professore associato di Tecnologie didattiche e Teoria e tecniche dei Nuovi Media all'Università Milano Bicocca
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