domenica 22 settembre 2013

I Classici ispirarono Galeno

Armando Torno

"Corriere Salute",  22 settembre 2013

Sotto il titolo Nuovi scritti autobiografici, è uscita presso l'editore Carocci una raccolta di brevi opere dell'antico medico e filosofo Galeno (pp. 304). Dotato di un sapere vastissimo, resta legato agli imperatori Marco Aurelio e Commodo, che ebbe tra i suoi pazienti; ma tra essi figurano anche gladiatori, intellettuali, cittadini romani. Il volume è stato tradotto, commentato e ha un'introduzione di Mario Vegetti, che a suo tempo curò un'ampia raccolta di testi di Galeno per i «Classici» Utet. Egli stesso ricorda il significato di «nuovi» che figura nel titolo: «Sono quattro brevi trattati di cui possediamo soltanto ora il testo greco integrale, grazie al ritrovamento nel 2005 da parte di Pietro Belli di un manoscritto di scritti galenici a Salonicco». Tra essi ha una notevole importanza L'imperturbabilità. Racconta la resistenza morale di Galeno dinanzi alle enormi perdite che egli subì a causa dell'incendio di Roma del 192 d. C., nel quale andò distrutta buona parte della sua ricca biblioteca. Ma proprio le caratteristiche di questa raccolta emergono dalle pagine ora pubblicate da Carocci, in cui si trovano anche i due scritti L'ordine dei miei libri e I miei libri.
Vegetti, insomma, ci presenta la biblioteca di Galeno; o quanto è possibile oggi conoscere. In essa era custodita l'enorme massa dei suoi scritti oltre ad opere di altri autori, tra i quali il Corpus Hippocraticum e i commenti dei medici antichi ad esso. Poi vi erano i testi di altri celebri anatomisti: Erofilo, Erasistrato, Ateneo. Erano presenti molti filosofi: Vegetti evidenzia che tra le letture del celebre medico non mancava tutto Platone (nota: «probabilmente era un'edizione dei dialoghi che è la stessa da noi utilizzata»), né Aristotele con i suoi trattati biologici, certamente l'Etica nicomachea e gli ardui libri di logica, ovvero l'Organon. Aveva anche un'opera, nota Vegetti, dello stesso Aristotele sulle piante: si tratta di un testo perduto. Ma poi c'erano tutto quanto scrisse lo stoico Crisippo, del quale abbiamo soltanto frammenti (ricavati in buona parte dalle citazioni di Galeno) ; inoltre Teaofrasto, del quale possedeva le opere di logica e di botanica. Tra gli altri autori, evidenzia Vegetti, «c'erano la Storia di Tucidide, tutta la commedia e la tragedia greca (oltre Aristofane, egli citava molti altri autori comici)». Galeno aveva inoltre grandi raccolte di ricette per comporre farmaci che potè conoscere in ogni parte del mondo greco. Si trattava di scritti preziosi tanto che, ricorda Vegetti, «egli scambiava con altri medici queste ricette; ovviamente una delle sue ne valeva due o tre di un collega». Dobbiamo immaginare una biblioteca grandissima: non va dimenticato che soltanto i suoi scritti occupavano settecento rotoli di papiro. Di ogni testo egli ne fece realizzare altre due copie: una destinata alla sua villa in Campania e l'altra era per la biblioteca di Pergamo. Un particolare che rivela la sua grande ricchezza: il numero di copie va moltiplicato per il costo del papiro, che era alto. Siamo dinanzi a qualcosa di unico nel mondo antico. Colpiva soprattutto l'ampiezza degli argomenti che in codesta raccolta erano conservati. «Galeno soltanto — ci confida Vegetti — aveva questi interessi trasversali. Di solito i filosofi leggevano altri filosofi, i letterati si occupavano dei concorrenti che scrivevano cose simili alle loro e i medici sovente si occupavano solo di opere di medicina. Galeno era una eccezione e leggeva direttamente i testi classici, in un'epoca che aveva diffuso il ricorso ai manuali e ai compendi, i medesimi che offrivano praticamente riassunti e una conoscenza indiretta». Una biblioteca che era anche un formidabile strumento di lavoro: trattati logici, epistemologici ed etici aiutavano Galeno a «concepire meglio la sua attività terapeutica». Stiamo parlando inoltre di un'epoca nella quale si era già sviluppato un commercio libraio attivo. Vegetti ricorda che le opere di Ippocrate, il cosiddetto Corpus Hippocraticum, «era un patrimonio di biblioteche o di circoli medici chiusi», mentre gli scritti di Galeno si diffondono rapidamente sul mercato, tanto più che circolavano sia falsi che plagi. Nella raccolta di Carocci si mette in evidenza come lo stesso Galeno abbia riconosciuto una falsificazione in vendita sul banco di un libraio. E infine va aggiunto che le opere ora pubblicate in italiano ebbero a suo tempo anche un compito pratico: redigere il catalogo degli scritti autentici del celebre medico, per combattere appunto plagi e patacche. Galeno ebbe la cattiva idea di sistemare provvisoriamente tutti i libri in un deposito protetto sulla via sacra, al Palatino. Lo fece per preservarli dai furti durante la sua assenza da Roma, dovuta alle vacanze.
Malauguratamente questo sito, dove gli interessati affittavano delle stanze, fu distrutto da un incendio che ridusse in cenere anche le altre grandi biblioteche pubbliche del Palatino (ve n'erano almeno tre grandi). Per Vegetti quelle fiamme causarono «una catastrofe culturale, perché si persero sia gli originali che le copie della ricca biblioteca». Galeno riuscì a rimettere insieme una parte dei suoi scritti, «quelli che erano già stati diffusi, venduti, distribuiti». Ma in quella perduta c'è «qualcosa che lui ha riscritto in parte, come il Trattato sulla Composizione dei farmaci e il Trattato sulle procedure anatomiche. Altre opere spariranno, fra le quali vale la pena ricordare, nota il curatore, «un grande lessico della commedia antica in 48 libri, nel quale Galeno spiegava tutti i termini dei comici di epoca classica». Vegetti aggiunge un'ultima curiosità: «Uno scritto dal titolo Sulle mie opinioni distingue le teorie di cui Galeno diceva di essere scientificamente convinto da quelle che riteneva degne di scetticismo, quale per esempio l'immortalità dell'anima». Il medico di Marco Aurelio, non a caso, chiarisce Vegetti, «seguiva Aristotele, contro Platone, nel considerare che l'anima costituisse l'insieme delle funzioni di un corpo vivente e non fosse separabile da esso. L'immortalità è una concezione teorica di Platone e della sua scuola, ma nella filosofia antica non era condivisa né dagli stoici, né dagli epicurei, meno che mai dagli scettici o dallo stesso Aristotele». Galeno portava a compimento una delle tendenze dominanti nella scienza e nella filosofia della sua età: «Consolidare, ricomporre sistematicamente il sapere». Per questo ebbe bisogno di una biblioteca formidabile. Per il medesimo motivo la sua medicina guardava la realtà e non invocava gli dei.

Aristotele era il suo riferimento ma non lo «subiva» come altri

Si può parlare, a proposito della medicina di Galeno, di «ragionevole scetticismo». Vegetti nota che questa caratteristica «non gli impedisce però di nutrire qualche certezza anche nel campo della teologia e della psicologia». In altre parole, l'antico medico è «almeno sicuro» che il mondo, e in particolare gli esseri viventi, siano retti da «un disegno provvidenziale che ne assicura l'ordine immanente e ne consente una spiegazione teleologica (appare poi indifferente ascrivere questo disegno agli dèi stessi o alla "natura")». Non crede nell'immortalità dell'anima; tuttavia è certo che essa sia divisa in tre parti, «o centri motivazionali», come riferisce Platone nel IV libro della Repubblica (nel Timeo, invece, la localizza somaticamente). Di più: scrive Vegetti che per Galeno l'anima «una volta insediata in un corpo, è solidale con esso, sia nello svolgere le sue funzioni, sia nel subirne gli influssi patologici, risultandogli in questo senso completamente "asservita"». Insomma un equilibrato scetticismo che «risulta perfettamente compatibile con l'antidogmatico eclettismo di Galeno, che non va affatto concepito come un bricolage di opinioni». Più vicino ad Aristotele che a Platone («nonostante preferisca tacere questa affinità», sottolinea Vegetti), non è comunque un seguace passivo del filosofo, come accadrà per molti uomini di scienza dei secoli successivi: egli sa che l'errore capitale di Aristotele è il cardiocentrismo. Questo non gli impedisce di valorizzare temi aristotelici nella sua etica, come quello della «moderazione passionale».

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