Donna Eleonora, la viceregina che aiutò i deboli...
Salvo Fallica
"L'Unità", 7 marzo 2013
Una rivoluzione durata un ciclo lunare in terra sicula, con protagonista l’unico Vicerè donna nella storia dell’isola. Una rivoluzione raccontata e reinventata da Andrea Camilleri in un romanzo storico edito da Sellerio e da oggi nelle librerie.
La rivoluzione della luna è un romanzo ambientato nel Seicento, nel 1677 per l’esattezza, che contiene manzonianamente delle riflessioni critiche anche sul mondo contemporaneo, sulle lotte di potere e sui meccanismi del potere, sul coraggio delle riforme e sulla possibilità che attecchiscano solo se legate alle esigenze concrete delle persone in carne ed ossa, ispirate da una visione illuminata ed egualitaria.
E la sensibilità femminile del Vicerè diventa elemento fondamentale di identificazione fra legge ed esigenza di giustizia, fra principio e prassi. È un libro profondo La rivoluzione della luna, uno dei più bei romanzi camilleriani, ed è forgiato con una struttura linguistica che è un esempio straordinario di fusione di linguaggi, e non solo per la freschezza vitale della mistione di italiano e dialetto, o meglio dialetti, intrisi di termini arcaici e di altri creati ex novo, ma anche per la formidabile versione italo-spagnola della parlata della viceregina donna Eleonora di Mora.
Una figura realmente esistita, Eleonora de Moura, vedova del Vicerè don Angel de Guzman, marchese di Castel Roderigo. Camilleri, così come in precedenti romanzi storici, parte da un fatto accertato e poi rielabora in maniera originale la vicenda. Del resto, partendo da episodi minori, sui quali vi è pochissima bibliografia, la sua fantasia prolifica diventa dimensione d’invenzione, ma con un rigore razionale nella ricostruzione che riesce a dare luce a fatti che altrimenti cadrebbero nell’oblio.
La vivacità della sua narrativa, permeata da ironia critica, dà freschezza e immediatezza agli eventi, nella parte iniziale del romanzo è esilarante la descrizione dell’incedere del Vicerè che si avvia a presiedere il Sacro Regio Consiglio. «Non era facili per lui cataminarisi. Data la grassizza delle cosce, per fari un passo, non potiva portari il pedi in avanti come voli natura ma doviva spostari prima tutta la gamma di lato e po’ avanzari il pedi».
Un Vicerè ammalato del quale i consiglieri si prendono gioco, giungendo al punto che accortisi della sua morte, continuano con la seduta per far approvare delle norme a favore dei loro interessi e dei loro amici. Leggi che il Vicerè in vita, nonostante le difficoltà legate alla sua malattia, non avrebbe mai fatto approvare. Son sicuri di farla franca nel loro inganno perché controllano i gangli del potere, perché il loro clientelismo è cosi diffuso da distorcere i normali meccanismi del funzionamento delle istituzioni.
Perché non immaginano che qualcuno possa scoprirli e fermarli, del resto sono abituati a commettere ogni forma di abuso e di ingiustizie, coprendole con collusioni e corruzioni. Ma anche per loro giunge l’ora della giustizia, anche per gli intoccabili. E la giustizia prende la forma di una donna, la marchesa Eleonora di Mora, che Camilleri delinea così: «La picciotta che lo stava a taliare aspittanno che parlasse era nìvura di capilli, àvuta, slanciata, aliganti, vistuta alla spagnola. Il meglio pittori che c’era supra alla facci della terra non avrebbi mai saputo pittarla com’era».
E la bellissima viceregina è anche dotata di una intelligenza fuori dal comune, da una capacità di osservatrice acuta, e sa anche governare. Prende subito in mano le redini del governo, riesce a mutare la composizione dell'intero Sacro Regio Consiglio, fa punire gli ex consiglieri per le loro colpe, riesce a far restituire le ricchezze illecitamente accumulate. Ma la sfida più difficile la deve combattere contro Turro Mendoza, l’arcivescovo di Palermo, il capo della Chiesa siciliana.
Uomo potente, astuto, furbissimo, manipolatore dell'opinione pubblica attraverso le sue prediche dal pulpito della cattedrale, riesce pure ad organizzare manifestazioni di piazza contro la viceregina. Ma donna Eleonora riesce ad anticipare od a controbattere ad ogni sua mossa, e con riforme eque a vantaggio dei ceti deboli, quali il dimezzamento delle tasse sul grano con conseguente diminuizione del prezzo del pane, conquista la fiducia di moltitudini di gente. Ed ancora, agisce su quello che oggi definiremmo welfare, aiuta le orfane, le donne in difficoltà, i più deboli, i disagiati, con riforme vere. E cosa non irrilevante finanzia le nuove uscite con i soldi recuperati dalla corruzione, dai potenti che evadevano le tasse del Regno. Il vescovo Mendoza contrattacca, cerca cavilli, ma ha degli scheletri nell'armadio, accuse di nefandi crimini versi due bambini del coro della cattedrale.
Donna Eleonora con la collaborazione del protomedico, i nuovi consiglieri, il Capitano di giustizia, e quello che potremmo definire un antenato del commissario Salvo Montalbano, delegato alle indagini sul campo, Torregrossa, riesce a far emergere i crimini dell'arcivescovo che cade su una provata accusa di essere mandante di un omicidio. Anche le potenti protezioni delle quali aveva goduto si sciolgono come neve al sole. Anche per il vescovo Mendoza si aprono le porte del carcere.
Ma una operazione del vescovo va in porto, il Papa ha chiesto al Re di Spagna di destituire la viceregina perché in quanto donna non può essere «il Legato nato», del Papa. La marchesa Eleonora tornò in Spagna, ma le leggi e le decisioni da lei assunte non decaddero per volontà del Re. La rivoluzione fu breve ma la viceregina nel romanzo camilleriano riesce a far condannare il vescovo, non per vendetta, ma per giustizia...
Il video: Camilleri presenta il suo nuovo romanzo. CLICCA QUI.
Andrea Camilleri 1677, la vedova del Viceré sul trono di Sicilia
Governò per 27 giorni con eccezionale capacità:
un fatto storico alla base del nuovo romanzo dello scrittore
L'anticipazione da "La Stampa"
II sigritario si susì, anno a pigliare la busta, la considerò con attenzioni e dissi:
«Fettivamenti cca supra c'è scritto "da consegnare e da fare leggere subito al Sacro Regio Consiglio in caso di mia morte improvvisa". Ci stanno macari il sigillo e la firma di don Angel. Che fazzo, lo rumpo il sigillo?».
«Certamenti» dissi il Gran Capitano. Il sigritario ruppi il sigillo, raprì la busta, ne cavò un foglio, lo isò 'n aria ammostrannolo a tutti.
«È scritto dalla mano del Viciré» dissi.
«Avanti, avanti» fici 'mpazienti il viscovo.
Finalmenti il protonotaro si misi a leggili.
«Qui esprimo il mio volere ultimo, che rendo a Voi manifesto in pieno e chiaro senno e nell'esercizio dei poteri alla persona mia conferiti per grazia di Dio e di Sua Maestà il Re Carlo III di Spagna. In caso di mia morte improvvisa, la diletta mia sposa donna Eleonora di Mora, marchesa di Gastel de Roderigo, dovrà accedere a pieno titolò alla carica di Viceré di Sicilia, con tutti gli onori e gli oneri, i doveri e i diritti a tal carica annessi, in attesa che la Sacra Persona di Sua Maestà Carlo III consenta a questo mio volere o in caso contrario invii altra persona da Lui scelta. Pertanto non vige la norma consueta che in assenza del Viceré sia il Gran Capitano di Giustizia ad assumerne la carica provvisoria. Questo è il mio volere e desidero che sia accolto e rispettato da tutti senza por tempo di mezzo.
«Firmato: il Viceré, don Angel de Guzmân, marchese di Caste! de Roderigo» II silenzio fu tali che si sintì persino 'na musca che volava vicino alla testa del protonotaro.
«Minchia!» fu la prima parola che lo ruppi.
Era stato il viscovo a dirla.
E subito appresso fu tutto un murmuriare, un parlottiare, un gesticoliare, un agitarisi con qualichi risateddra addivirtuta sparsa cca e ddrà e subito assufficata.
Il principi di Ficarazzi si scotì dalla gran botta che l'aviva 'nzallanuto, storduto e mezzo assintomato, arriniscì faticosamenti a mittirisi addritta supra al troniceddro squasi per soprastari ancora chiossà a tutti l'autri e gridò:
«'Sto tistammento non ha nisciun valori!».
«E pirchì, fici il viscovo, è scritto di pugno dal Viciré e c'è macari tanto di sigillo!».
«Pirchì... pirchì...» fici il Gran Capitano che stava circanno alla dispirata 'na raggiuni qualisisiasi alle paroli che aviva ditto. Ma non cinni viniva una che fusse una 'n menti.
«Sintemo il pareri del protonotaro che la liggi l'accanosce bona» suggerì don Cono Giallombardo.
«Sintemelo! Sintemolo!» ficiro l'autri Consiglieri 'n coro e pigliannsi un potiri decisionali che non avivano.
Don Gerlando Musumarra si susì. A malgrado della scarsa luci, si vidiva che era pallito e prioccupato.
«C'è picca da diri. La liggì parla chiaro e non ammetti dubbio. Il voliri del Viciré è supremo e inoppugnabili sia che sia stato espresso a voci 'n prisenza di testimoni sia che sia stato scrivuto. Come in questo caso. E va applicato macari se tutto il Consiglio è contrario».
«Ma è il voliri di un morto!» vociò il Gran Capitano.
«A parti che per questo avrebbi maggior valori, 'sto voliri don Angel l'addichiarò, scrivennolo, quann'era ancora vivo» replicò friddo il protonotaro.
Il Gran Capitano, a malgrado che avvertiva a pelli che tutto il Consiglio gli era contro, non volli mollare l'osso.
«Ma la norma non può essiri cangiata dal Viciré, abbisogna che a farlo sia il Re stisso!».
«E 'nfatti la norma non è stata cangiata» replicò il protonotaro. «Tant'è vero che le dilibire fatte oggi sono state firmate da voi, signor principi, post mortem del Viciré. Quindi, doppo morto, il Viciré ha continuato, attraverso di voi, a manifistari il so volili. Se mittemo 'n discussioni il tistamento, dovemo di necessità mettiri 'n discussioni macari tutte le dilibire fatte stamatina dal Consiglio pirchì non portano la firma di don Angel».
Era un colpo vascio tirato dal protonotaro. Lassava accapire che se il tistamento viniva arrefutato, allura puro tutte le malifatte, i favori, i soprusi, l'anghirie che i Consiglieri avivano cangiato 'n liggi facenno fìnta che il Viciré era sulamenti sbinuto e no morto, arrischiavano di non arrivari a signo.
Per un momento, il principi di Ficarazzi sinni risto muto.
E il viscovo sinni approfittò. «Pirchì non mittemo ai voti l'approvazioni del tistamento? » spiò facenno 'na facci di 'nnuccenti angiluzzo.
I Consiglieri pigliaro come la menta.
«Ai Voti! Ai voti!» ficiro 'n coro.
Il Gran Capitano accapì d'aviri pirduto la partita. Tornò ad assittarisi supra al troniceddro. «Fate come voliti».
«Chi riteni valido il tistamento isasse il vrazzo» dissi il protonotaro.
Cinco vrazza si isaro 'n aria, n tistamento di don Angel era stato approvato.
Tutti allura si votaro a taliare a donna Eleonora che sinni era sempri ristata ferma e muta 'n mezzo al saloni.
"«Fatemi posto» dissi lei arrivolta al principi, senza che nella so voci ci fusse la minima 'mperiosità.
Ma il principi si scantò propio per quell'assenza di cumanno. La friddizza di quella fìmmina gli faciva aggilare il sangue. Calò la testa, scinnì dal troniceddro e sinni tornò al so posto di Gran Capitano.
Donna Eleonora traversò il saloni sutta all'occhi affiatati dei prisenti, si firmò davanti al trono vacanti del Re, calò la testa, si spostò, acchianò con grazia i tri scaluna, s'assittò supra al troniceddro, s'aggiustò il vistito e po' a lento si livò il velo nìvuro scummigliannosi la facci.
A tutti di colpo ammanco il sciato.
Fu come se nella scurìa del saloni fusse comparso tutto 'nzemmula un punto di luci cchiù luminoso del soli che abbagliava accussì forti da fari lacrimiare l'occhi.
«Dâteme el signo de vuestra obediencia».
E macari stavota nisciun tono di cumanno, era 'na semplici, aducata, gentili richiesta di 'na fimmina di granni nobirtà.
I Consiglieri, stracatafuttennosinni della gerarchla, scattare tutti e sei addritta, compriso il Gran Capitano macari lui affatato, e correrò squasi fusse 'na gara verso il troniceddro ammuttannosi e travaglianno di gomito, s'attrupparo ai pedi dei tri scaluna, s'agginocchiaro, portare la mano dritta al cori, calaro la testa.
'N quel priciso momento a don Cono Giallombardo scappo di murmuriari:
«Beddra!».
«Beddra!» ficiro l'autri cinco Consiglieri.
«Beddra beddra!».
«Beddra beddra!» arripitero l'autri.
«Fìmmina di Paradiso!» fici don Cono.
«Fìmmina di Paradiso!» litaniaro l'autri.
Donna Eleonora 'nterruppi l'adorazioni.
«Tornate al vuestro posto».
S'allontanare a malincori, con la testa votata verso di lei, come a chi devi lassare 'na fonti d'acqua avenno ancora siti.
Donna Eleonora parlò.
«Confirmo che no habrà ningun entierro de solemnidad y ninguna visita de condolencias. In Sacro Regio Consiglio se réunirà pasado manana a la misma hora de hoy. La sesión ha terminado».
«Fettivamenti cca supra c'è scritto "da consegnare e da fare leggere subito al Sacro Regio Consiglio in caso di mia morte improvvisa". Ci stanno macari il sigillo e la firma di don Angel. Che fazzo, lo rumpo il sigillo?».
«Certamenti» dissi il Gran Capitano. Il sigritario ruppi il sigillo, raprì la busta, ne cavò un foglio, lo isò 'n aria ammostrannolo a tutti.
«È scritto dalla mano del Viciré» dissi.
«Avanti, avanti» fici 'mpazienti il viscovo.
Finalmenti il protonotaro si misi a leggili.
«Qui esprimo il mio volere ultimo, che rendo a Voi manifesto in pieno e chiaro senno e nell'esercizio dei poteri alla persona mia conferiti per grazia di Dio e di Sua Maestà il Re Carlo III di Spagna. In caso di mia morte improvvisa, la diletta mia sposa donna Eleonora di Mora, marchesa di Gastel de Roderigo, dovrà accedere a pieno titolò alla carica di Viceré di Sicilia, con tutti gli onori e gli oneri, i doveri e i diritti a tal carica annessi, in attesa che la Sacra Persona di Sua Maestà Carlo III consenta a questo mio volere o in caso contrario invii altra persona da Lui scelta. Pertanto non vige la norma consueta che in assenza del Viceré sia il Gran Capitano di Giustizia ad assumerne la carica provvisoria. Questo è il mio volere e desidero che sia accolto e rispettato da tutti senza por tempo di mezzo.
«Firmato: il Viceré, don Angel de Guzmân, marchese di Caste! de Roderigo» II silenzio fu tali che si sintì persino 'na musca che volava vicino alla testa del protonotaro.
«Minchia!» fu la prima parola che lo ruppi.
Era stato il viscovo a dirla.
E subito appresso fu tutto un murmuriare, un parlottiare, un gesticoliare, un agitarisi con qualichi risateddra addivirtuta sparsa cca e ddrà e subito assufficata.
Il principi di Ficarazzi si scotì dalla gran botta che l'aviva 'nzallanuto, storduto e mezzo assintomato, arriniscì faticosamenti a mittirisi addritta supra al troniceddro squasi per soprastari ancora chiossà a tutti l'autri e gridò:
«'Sto tistammento non ha nisciun valori!».
«E pirchì, fici il viscovo, è scritto di pugno dal Viciré e c'è macari tanto di sigillo!».
«Pirchì... pirchì...» fici il Gran Capitano che stava circanno alla dispirata 'na raggiuni qualisisiasi alle paroli che aviva ditto. Ma non cinni viniva una che fusse una 'n menti.
«Sintemo il pareri del protonotaro che la liggi l'accanosce bona» suggerì don Cono Giallombardo.
«Sintemelo! Sintemolo!» ficiro l'autri Consiglieri 'n coro e pigliannsi un potiri decisionali che non avivano.
Don Gerlando Musumarra si susì. A malgrado della scarsa luci, si vidiva che era pallito e prioccupato.
«C'è picca da diri. La liggì parla chiaro e non ammetti dubbio. Il voliri del Viciré è supremo e inoppugnabili sia che sia stato espresso a voci 'n prisenza di testimoni sia che sia stato scrivuto. Come in questo caso. E va applicato macari se tutto il Consiglio è contrario».
«Ma è il voliri di un morto!» vociò il Gran Capitano.
«A parti che per questo avrebbi maggior valori, 'sto voliri don Angel l'addichiarò, scrivennolo, quann'era ancora vivo» replicò friddo il protonotaro.
Il Gran Capitano, a malgrado che avvertiva a pelli che tutto il Consiglio gli era contro, non volli mollare l'osso.
«Ma la norma non può essiri cangiata dal Viciré, abbisogna che a farlo sia il Re stisso!».
«E 'nfatti la norma non è stata cangiata» replicò il protonotaro. «Tant'è vero che le dilibire fatte oggi sono state firmate da voi, signor principi, post mortem del Viciré. Quindi, doppo morto, il Viciré ha continuato, attraverso di voi, a manifistari il so volili. Se mittemo 'n discussioni il tistamento, dovemo di necessità mettiri 'n discussioni macari tutte le dilibire fatte stamatina dal Consiglio pirchì non portano la firma di don Angel».
Era un colpo vascio tirato dal protonotaro. Lassava accapire che se il tistamento viniva arrefutato, allura puro tutte le malifatte, i favori, i soprusi, l'anghirie che i Consiglieri avivano cangiato 'n liggi facenno fìnta che il Viciré era sulamenti sbinuto e no morto, arrischiavano di non arrivari a signo.
Per un momento, il principi di Ficarazzi sinni risto muto.
E il viscovo sinni approfittò. «Pirchì non mittemo ai voti l'approvazioni del tistamento? » spiò facenno 'na facci di 'nnuccenti angiluzzo.
I Consiglieri pigliaro come la menta.
«Ai Voti! Ai voti!» ficiro 'n coro.
Il Gran Capitano accapì d'aviri pirduto la partita. Tornò ad assittarisi supra al troniceddro. «Fate come voliti».
«Chi riteni valido il tistamento isasse il vrazzo» dissi il protonotaro.
Cinco vrazza si isaro 'n aria, n tistamento di don Angel era stato approvato.
Tutti allura si votaro a taliare a donna Eleonora che sinni era sempri ristata ferma e muta 'n mezzo al saloni.
"«Fatemi posto» dissi lei arrivolta al principi, senza che nella so voci ci fusse la minima 'mperiosità.
Ma il principi si scantò propio per quell'assenza di cumanno. La friddizza di quella fìmmina gli faciva aggilare il sangue. Calò la testa, scinnì dal troniceddro e sinni tornò al so posto di Gran Capitano.
Donna Eleonora traversò il saloni sutta all'occhi affiatati dei prisenti, si firmò davanti al trono vacanti del Re, calò la testa, si spostò, acchianò con grazia i tri scaluna, s'assittò supra al troniceddro, s'aggiustò il vistito e po' a lento si livò il velo nìvuro scummigliannosi la facci.
A tutti di colpo ammanco il sciato.
Fu come se nella scurìa del saloni fusse comparso tutto 'nzemmula un punto di luci cchiù luminoso del soli che abbagliava accussì forti da fari lacrimiare l'occhi.
«Dâteme el signo de vuestra obediencia».
E macari stavota nisciun tono di cumanno, era 'na semplici, aducata, gentili richiesta di 'na fimmina di granni nobirtà.
I Consiglieri, stracatafuttennosinni della gerarchla, scattare tutti e sei addritta, compriso il Gran Capitano macari lui affatato, e correrò squasi fusse 'na gara verso il troniceddro ammuttannosi e travaglianno di gomito, s'attrupparo ai pedi dei tri scaluna, s'agginocchiaro, portare la mano dritta al cori, calaro la testa.
'N quel priciso momento a don Cono Giallombardo scappo di murmuriari:
«Beddra!».
«Beddra!» ficiro l'autri cinco Consiglieri.
«Beddra beddra!».
«Beddra beddra!» arripitero l'autri.
«Fìmmina di Paradiso!» fici don Cono.
«Fìmmina di Paradiso!» litaniaro l'autri.
Donna Eleonora 'nterruppi l'adorazioni.
«Tornate al vuestro posto».
S'allontanare a malincori, con la testa votata verso di lei, come a chi devi lassare 'na fonti d'acqua avenno ancora siti.
Donna Eleonora parlò.
«Confirmo che no habrà ningun entierro de solemnidad y ninguna visita de condolencias. In Sacro Regio Consiglio se réunirà pasado manana a la misma hora de hoy. La sesión ha terminado».
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