Anna Li Vigni
"Il Sole 24 Ore", 24 marzo 2013
L'attività del narrare è uno dei comportamenti umani più antichi, che non conosce confini né geografici né culturali. A mostrare che esiste un'intima connessione tra filosofia e la letteratura è già Aristotele, il quale nella Poetica afferma che «la poesia è più filosofica della storia». Il che significa che la letteratura, nella finzione, offre qualcosa in più rispetto alla mera informazione contenuta in un testo storiografico: la letteratura rappresenta gli eventi in modo universale, offre all'immaginazione del lettore un'occasione di riflessione profonda sulla vita umana, grazie anche al coinvolgimento emotivo. Cercare di comprendere cosa sia la letteratura, dunque, è un modo per conoscere più a fondo la stessa natura umana.
Nel saggio Filosofia della letteratura, Carola Barbero offre, in un unico prezioso volume, una sapiente ricostruzione dell'attuale panorama di studi filosofici – soprattutto d'ambito analitico – incentrati sull'arte della narrazione. È un libro pieno di domande e denso di risposte, perché per ogni domanda esiste più di una risposta giusta, come accade ogni volta che la filosofia interroga l'arte. Che cosa è esattamente la letteratura? I personaggi letterari sono oggetti esistenti o sono falsità? Il testo letterario è solo frutto del parto creativo e dell'intenzione dello scrittore oppure ogni lettore collabora alla costruzione dell'opera interpretandola sempre in modo diverso? E si potrebbe andare ancora avanti a lungo.
Tra le teorie più influenti nella storia dell'estetica, v'è quella che considera la letteratura un comportamento artistico il cui fine è imitare la realtà nella finzione. Ma, interviene Searle, la categoria di finzione non ci aiuta a comprendere la natura di quest'arte, «perché non tutte le opere di finzione sono letteratura e non tutta la letteratura è finzione». La definizione di cosa sia un testo letterario chiama in causa Goodman e la sua nozione di arte «allografica»: un libro non è che una delle innumerevoli copie materiali di un'opera letteraria, la cui vera esistenza risiede nell'evento artistico creato dalla mente dell'autore. Se quindi, da una parte, la distruzione di qualche copia di Madame Bovary non causa la distruzione dell'opera; è pur vero, dall'altra, che se fossero soppresse tutte le copie esistenti del romanzo di Flaubert, nessuno potrebbe mai più leggerlo e l'opera cesserebbe di esistere.
Poniamoci ora la seguente questione: sbagliamo quando ci capita di parlare di Anna Karenina come se si trattasse di una persona vera, per esempio dicendo di lei che «era infelice»?
Sì, per alcuni filosofi «eliminativisti», perché per loro i personaggi dei romanzi non esistono, sono privi di realtà. Ma i «realisti» di tradizione meinongiana, al contrario, riconoscono alle entità fittizie una realtà sui generis con una propria verità: pertanto, se qualcuno affermasse che Anna Karenina era «una donna felice», gli si potrebbe obiettare che sta affermando il falso; la Karenina-personaggio esiste eccome, anche se non nella realtà circostante.
La letteratura pone, poi, alcuni paradossi. Come è possibile provare emozioni, piangere o ridere, per eventi rappresentati in un testo che sappiamo essere frutto di immaginazione? Si tratta di emozioni vere, anche se nate dalla finzione? Se Ferraris pensa di sì, Wallton invece ritiene che durante la lettura si finge solamente di provare emozioni. Infine, come giudicare le opere letterarie dal contenuto immorale? «L'arte – risponde Barbero – ci permette di esplorare modi di pensare e di vedere il mondo diversi da quelli che solitamente adottiamo. Le opere letterarie che trasmettono valori morali problematici possono contribuire addirittura in maniera maggiore rispetto ad altre ad aumentare la nostra comprensione della vita (...) proprio perché ci consentono di mettere momentaneamente tra parentesi le nostre certezze».
Nessun commento:
Posta un commento