Da Cesare alla Prima guerra mondiale, storie di eroi e disertori
Un 'etica nata nel Medioevo, intorno all'anno Mille
Un cavaliere degno di questo nome non poteva mai fuggire di fronte al nemico, ma come il paladino Orlando resistere e combattere fino al sacrifìcio della vita
STEFANO MALATESTA
"La Repubblica", 28 marzo 2013
Prima della battaglia i comandanti delle legioni romane passavano in rivista i loro uomini schierati in perfetto allineamento e dicevano: «Roma e onore» e i centurioni e tutti gli uomini della legione rispondevano «Roma e onore». Ma onore per i romani non significava solo mantenere compatta la testuggine, non indietreggiare mai, uccidere quanti più nemici fosse possibile. Le legioni romane non scendevano in campo per combattere ma per vincere. Tutti i soldati si aspettavano dai loro comandanti audacia e fortuna: aggressività e ottimismo. Normalmente Cesare guidava i suoi uomini stando leggermente arretrato rispetto alla prima linea, ma in certi casi come contro i Nervi, quando si era accorto che una parte dello schieramento stava cedendo, andava nel folto della mischia menando grandi colpi con il gladio, riconoscibilissimo nel colore rosso sangue che sempre portava. La presenza di Cesare, adorato dai suoi uomini, diffondeva un immediato coraggio, e lo scontro prese un altra piega. Questo era l'onore di Cesare.
L'onore militare come comunemente veniva inteso fino a ottant'anni fa è nato in Francia nel primo Medioevo, intorno all'anno Mille, nell'ambito della cultura cavalleresca. Nel ciclo letterario di Orlando, il paladino si trova a decidere se difendere il passo di Roncisvalle oppure di fuggire. Ma in realtà la sua era una scelta obbligata: un cavaliere che fosse degno di questo nome non poteva mai fuggire ma doveva difendere e combattere fino alla morte. In una società dove si dava estremo valore al coraggio passare per un codardo era la peggiore disgrazia che potesse accadere e faceva precipitare chi dimostrava viltà di fronte al nemico in un baratro di disprezzo impossibile da recuperare. Ancora nell'autunno del Medioevo il cavaliere esemplare era il famoso Baiardo, che aveva meritato il titolo di "chevalier sans tache ni reproche".
Gli ufficiali di Federico II il Grande venivano scelti in quanto aristocratici, i soli titolati ad avere un onore e a esserne responsabili. I soldati semplici non avevano onore, erano solo carne da macello e marciavano terrorizzati non dalla paura del nemico ma dai castighi che gli avrebbero inflitto i loro comandanti se non avessero obbedito agli ordini.
L'onore come la gloria militare è stato sempre un affare dall'aspetto bifronte, dai connotati estatici e non razionali: il sogno che secolo dopo secolo ha fatto infiammare l'immaginazione degli uomini. Trombe, piume, vestiti sfarzosi, la pompa della guerra, l'esultanza della vittoria, comandare grandi armate, sfilare lungo le strade infiorate, essere magnifico, famoso con il valore esaltato come suprema avventura. E per chi non aveva fegato c'erano le degradazioni ampiamente pubblicizzate e spettacolari con i bottoni e le mostrine strappati con violenza e le fucilazioni. Ma nello stesso tempo l'onore militare veniva usato strumentalmente per annullare la personalità dei soldati, in modo da poterli mandare al massacro sotto le bandiere che sventolavano, convinti che era bello morire per la patria, come allora si diceva.
Ancora fino alla Prima guerra mondiale, chi dimostrava titubanza o incertezza nell'attacco o semplicemente manifestava segni di paura, veniva preso e fucilato. Alla battaglia della Somme, nel luglio del 1916, partirono all'attacco delle postazioni tedesche centoventimila ragazzi inglesi. Quando ritornarono la sera oltre la loro linea, sessantamila erano morti o feriti e un discreto numero di quelli che erano riusciti a sopravvivere venne fucilato dai compatrioti. Ricordate il magnifico finale di Orizzonti di gloria di Kubrik, un film che fu proibito in Francia e che finalmente dice la verità in chiaro sull'amore patrio, sulla retorica della nazione e sull'eroismo dei soldati. Un generale ha ordinato la fucilazione di un certo numero di fantaccini francesi per codardia di fronte al nemico e il loro comandante, interpretato da Kirk Douglas, che invece ha avuto un comportamento impeccabile e coraggioso, lo va a trovare per cercare di salvare i suoi uomini senza riuscirci. E al generale che gli annuncia una promozione, risponde: «Vuole che brutalmente le dica che cosa ci faccio con questa promozione?». E il generale ribatte rilevando finalmente la vera natura della guerra, fatta di sangue e atrocità, senza mai citare l'onore: «Ma lei è un idealista, un sentimentale. Quindi un mutilato. Noi qui dobbiamo vincere la guerra e non ci sono posti per questi debolezze e sentimentalismi». In quegli stessi giorni il grande poeta inglese Owen, che stava combattendo anche lui sul fronte occidentale, si rivolgeva a un amico dicendo nelle parole finali di una poesia: «Spegni il tuo entusiasmo, finalmente sappiamo che il detto romano "dulce et decorum est pro patria mori" è solo una vecchia, stanca e immorale bugia».
LIBRI
GIANFRANCO PASQUINO Finale di partita Università Bocconi 2013
S.COLARIZI M.GERVASONI La tela di Penelope Laterza 2012
PAOLO PELUFFO La riscoperta della patria Bur 2012
GIORGIO SCERBANENCO Patria mia Aragno 2011
PAUL GINSBORG Salviamo l'Italia Einaudi 2010
UMBERTO ECO A passo di gambero Bompiani 2007
GIORGIO MANGANELLI Mammifero italiano Adelphi 2007
M.GUARINO F. RAUGEI Gli anni del disonore Dedalo 2006
GIORGIO CALCAGNO (a cura di) L'identità degli italiani Laterza 1998
LUCIEN FEBVRE Onore e patria Donzelli 1997
VITTORIO FOA Questo Novecento Einaudi 1996
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