Dimitar Sasselov: «Il mio obiettivo? Cercare forme di vita fuori dal sistema solare»
«Gli oggetti cosmici simili alla Terra
sono moltissimi.
Abbiamo i telescopi,
dunque un’ottima possibilità di trovare la vita»
Pietro Greco
"L’Unità", 7 giugno 2013
QUALCUNO LO HA DEFINITO UN «CACCIATORE DI PIANETI». LI CERCA FUORI DAL SISTEMA SOLARE, NATURALMENTE. Ha battuto anche un record: nel 2002 ha scovato il pianeta che allora era il più lontano mai rilevato da essere umano. Nato in Bulgaria, lavora alla Harvard University, negli Stati Uniti, dove dirige la Harvard Origins of Life Initiative, un progetto di ricerca sull’origine della vita. Si chiama Dimitar Sasselov e il suo più grande obiettivo è cercare forme di vita sui pianeti extrasolari. Ha appena pubblicato per Codice il libro: Un’altra Terra. La scoperta della vita come fenomeno planetario. E pochi giorni fa è stato al Wired Next Fest di Milano dove ha tenuto una conferenza dal titolo: «Alla ricerca dei nuovi mondi. Un viaggio tra astrofisica e biologia». Lo abbiamo intervistato.
Nel chiudere il suo libro su «Il caso e la necessità», il grande biologo francese Jacques Monod, ha scritto: «ora sappiamo di essere soli, nell’immensità indifferente del cosmo». Professor Sasselov, lei invece scruta il cosmo nella convinzione che la vita sia piuttosto diffusa. Su cosa fonda questa sua convinzione?
«Sono un ottimista. Io ci credo! Penso che non ci sentiremmo soli in un Universo dove più di un pianeta ospita forme di vita, anche quella vita dovesse essere microbica, con esseri viventi formati da una sola cellula. Sento che le probabilità sono a favore della presenza di esseri viventi su altri pianeti abitabili. Ma, naturalmente, finché non ne avremo una solida prova empirica, tutto quello che ho affermato è una mera questione di ottimismo».
Negli anni ’40 del secolo scorso un grande fisico teorico, Erwin Schödringer, scrisse un libro seminale dal titolo «Che cos’è la vita». Schrödringer si riferiva, evidentemente, alla vita presente sul pianeta Terra. Noi oggi abbiamo un’idea abbastanza precisa di cosa sia la vita e di come evolve nel tempo. Ma ci riferiamo sempre all’unico esempio conosciuto. Pensa che queste nostre conoscenze siano generalizzabili? Ovvero che dobbiamo cercare nell’universo forme sostanzialmente simili alla vita terrestre? Questo non vincola troppo la nostra ricerca?
«Il libro si Schrödringer è un classico, ma la risposta alla domanda “cos’è la vita” in fondo resta ancora elusiva. Noi davvero non sappiamo cos’è la vita, di conseguenza è più sicuro assumere che la prospettiva centrata sulla Terra potrebbe essere troppo limitata quando cerchiamo segni di vita nell’universo. Penso che in questa ricerca è cruciale procedure con una mente aperta».
«Professor Sasselov c’è un’analogia tra la nostra conoscenza della vita e la nostra conoscenza dell’universo. In entrambi i casi abbiamo solide teorie scientifiche sulla loro evoluzione – la teoria neodarwiniana per quanto riguarda la vita e il modello standard della cosmologia per quanto riguarda l’universo – ma non abbiamo ancora una teoria scientifica solida né sull’origine della vita né sull’origine dell’universo. Secondo lei perché? «Le questioni delle origini sono sempre molto diffìcile. In parte, perché sono questioni storiche ed è difficile studiare le precise condizioni del passato. In parte, perché sono questioni che riguardano l’emergenza di strutture e di ordine secondo regole che potrebbero essere state differenti dalle regole che determinano la loro evoluzione successiva e contemporanea. A rendere la faccenda ancora più difficile da districare c’è che in entrambi i casi, l’origine dell’universo e l’origine dell’universo, siamo limitati dal fatto siamo costretti a studia un caso singolo. Un caso unico».
Nel suo libro lei sostiene che la vita è un fenomeno planetario. Negli ultimi anni abbiamo scoperto molti pianeti extrasolari, alcuni dei quali sono simili alla Terra. Possiamo dedurne che nell’universo pianeti simili alla Terra sono molto diffusi. Ce ne sono miliardi e miliardi. Ma abbiamo concrete possibilità di verificare se c’è vita su questi pianeti? «Le scoperte di molti nuovi pianeti (chiamati esopianeti, perché orbitano intorno ad altre stelle) negli anni scorsi ha dimostrato che oggetti cosmici con temperatura, clima e altre caratteristiche simili a quelle della Terra sono molto più comuni di quanto noi potessimo persino sperare solo pochi anni fa. Questi pianeti sono potenzialmente abitabili, sebbene noi sappiamo così poco sull’origine della vita, né che abbiamo la minima idea se qualcuno di loro sia effettivamente abitato. Ma il fatto che questi pianeti siano oggetti comuni nell’universo è una grande notizia, perché significa che molti esopianeti abitabili orbitano intorno alle stelle a noi più vicine. E noi abbiamo i telescopi e le tecnologie per cercare la vita su di loro da lontano. Cosicché abbiamo un’ottima possibilità di trovarla!» Ma la vita, magari diversa da quella presente sulla Terra, potrebbe essere un fenomeno non solo planetario. In quali altre condizioni cosmiche potrebbe presentarsi?
«La superficie dei pianeti deve avere un intervallo di temperatura tale da consentire la presenza di acqua, o di un solvente simile, che sia allo stato liquido, almeno a volte. Generalmente ciò richiede la presenza di un’atmosfera. Quindi un grosso pianeta roccioso – come la Terra o anche più grande – è meglio. Ecco la situazione migliore è quella di una super-Terra. Oltre queste condizioni fondamentali, noi davvero non sappiamo altro. Ecco, ora questo è un nuovo settore di ricerca scientifica».
L’italiano Enrico Fermi era scettico sulla possibilità che esista una vita intelligente fuori dalla Terra. E ha espresso questa convinzione con una famosa domanda: «E allora, perché non sono qui?». In effetti da almeno mezzo secolo il progetto SETI (Search for extraterrestrial intelligence) sta scrutando il cielo alla ricerca di tracce di vita intelligente. Finora senza apparenti risultati. Lei pensa che esistano altre forme di vita intelligente nell’universo? E se sì, perché non l’abbiamo intercettata?
«Il problema posta da Enrico Fermi, e il paradosso che ha proposto, sono davvero affascinanti. Sono anche tra quelli più difficili che l’umanità abbia mai preso in considerazione, insieme ai due problemi dell’origine: quello della vita e quello della coscienza (e dell’intelligenza tecnologica). La combinazione può indurti allo scetticismo! Potrebbe essere che la vita è relativamente comune, ma che le forme di vita intelligente ha bisogno di miliardi di anni per svilupparsi. Sulla Terra sono stati necessari 4.000 milioni di anni: noi non sappiamo, tuttavia, se questo tempo è una media o se è un tempo breve. Ciò non toglie che si tratta di un tempo profondo, lungo. La nostra galassia, con tutte le sue stelle, ha un’età inferiore a 13.000 milioni di anni: le stelle che hanno accumulato abbastanza elementi pesanti da generare pianeti rocciosi sono anche più giovani. Cosicché penso che il paradosso di Fermi e il mancato incontro con di ETI, della vita intelligente, potrebbe essere solo una questione di tempo: noi potremmo essere la Generazione I».
Trovare vita fuori dalla Terra sarebbe una delle più grandi scoperte mai realizzate dall’uomo, se non la più grande in assoluto. Sarebbe la riprova di una sorta di principio copernicano perfetto. Sapremmo di essere un esperimento qualsiasi in un punto qualsiasi dello spazio e del tempo. Come pensa reagirebbe l’opinione pubblica dopo millenni in cui ci siamo consolati credendo di essere il centro dell’universo?
«Potrebbe essere la scoperta più importante, perché è fondamentale sia per la scienza e la comprensione del mondo, così come per definire chi siamo noi. Quest’ultimo aspetto è una percezione profondamente personale poiché è relativa al nostro quadro di riferimento. Qualcuno potrebbe avvertire come una sensazione di perdita».
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