domenica 9 giugno 2013

Paul Verlaine e Arthur Rimbaud, amanti dolenti e vagabondi


Aldo Busi


"La Repubblica",  8 giugno 2013

Giuseppe Marcenaro ricostruisce con lettere e documenti inediti la relazione fra i due grandi scrittori 
Le donne, Parigi, il carattere impietoso e sfrontato della coppia cui si deve molto della modernità

Tempi duri per un lettore fortissimo come me! Mica è facile trovare un testo in italiano cui tributare riconoscenza perché di sicuro si lascerà leggere fino in fondo: uno di questi è fuor di dubbio Una sconosciuta moralità di Giuseppe Marcenaro (Bompiani, pagg. 400) sulla “vita avventurosa di Paul Verlaine e Arthur Rimbaud, poeti maledetti nella Parigi di fine ‘800”. Dico si lascerà, perché l’ho preso in mano tre ore fa e sono soltanto a pag. 145, ma mi fermo un necessario momento per rendere partecipi di questa meraviglia quanti nelle ultime due settimane sono arrivati, come me, a pagina 20 di almeno venti volumi, tra romanzi e saggi in lingua italiana di fresca stampa e tutti di nipotini di Liala a vario titolo, e li hanno impilati sul primo gradino delle scale in attesa del prossimo carico a beneficio del Mato Grosso, delle pesche di beneficenza, perfida, e delle prigioni.
Devo premettere che di Arthur Rimbaud (1854-1891) conosco vita e opere e memorabilia, parenti diretti e acquisiti e amici fresconi d’infanzia e servi africani, cialtronerie romanzate di travet minori, serissime pubblicazioni critiche poco conosciute, tra le quali la più memorabile, prima di questa di Marcenaro, resta quella di Françoise Lalande Madame Rimbaud, 1987, perché, documenti alla mano, ribalta tutto quanto di negativo e spregevole era stato scritto da un secolo in avanti sulla madre di Arthur ovvero la V. Cuif, e V. sta non per Vitalie, suo nome di battesimo, ma per vedova, bianca, una virago per necessità, e solo apparentemente arida e crudele, che sembra uscire da un’opera di Wagner con libretto scritto da Iginio Ugo Tarchetti; il libro di Lalande, temo ancora non tradotto in italiano, contiene anche le lettere, fino ad allora inedite, tra la veuve di forzata vocazione e Verlaine, e quelle di Vitalie hanno un fascino aggiunto, anche formale, che Verlaine nelle sue si sogna, tant’è vero che la figura del bigotto la fa lui, con i suoi sensi di colpa e il suo profondersi in giustificazioni non richieste, non lei, fiera, pragmatica, senza alcuna inclinazione al sentimentalismo, gallica infine, e invero poeticissima e struggente nel suo dolore rappreso, tenuto giù, molla ulteriore in lei per reagire agendo, senza piangersi addosso un solo istante e senza delegare, viva, vitale, un mostro terragno, sì, di abnegazione, di sacrificio di sé, di orgoglio nella rinuncia, di amore che non conosce le parole, no, nemmeno una, ma i fatti d’amore, tutti, muti, sordi, crudeli per sé per prima; e devo ammettere che ho tenuto tra le mie mani autografi di A. Rimbaud di inestimabile valore senza osare non solo rubarli… me ne era stata data facoltà: nessuna telecamera, nessuna guardia in giro, e quando, dopo un paio di ore, ritornò quel direttore di fondo nazionale che non nomino per non mettere nei guai, chiuse la cartella, la rimise nel faldone senza fare alcun controllo e, per la verità, senza neppure chiedermi che facevo per l’ora di cena… ma nemmeno sfiorarli con un polpastrello; e continuerò a premettere che ho visitato quanto resta, poco, delle varie abitazioni di Charleville-Mézières… compresa la cascina di Roche di cui non resta in piedi niente dei muri originali… in cui la madre paesana ripulita continuava di trasloco in trasloco a illudersi di migliorare almeno le apparenze del decoro borghese malgrado i quattro figli interamente a suo carico, figli del Frédéric Rimbaud militare cinque volte incintatore di passaggio e padre e marito assente del tutto e per sempre dopo sette anni di, si fa per dire, vita in famiglia.
Dico tutto questo per una sola ragione: non volevo nemmeno aprirlo il saggio di Marcenaro arrivatomi per corriere, temevo una delusione, temevo il risaputo condito di nostalgici arabeschi per fare foliazione, che poteva mai rivelare di nuovo a me, rimbaldiano di ferro, a parte, e per qualche istante, di avere una cattiva memoria? E invece quante sorprese, quanti soprassalti di stupore e di invidia, che bibliofila maniacalità esemplare quest’uomo! Un segugio dell’inedito impossibile e dato per perso solo dai pigri. E che ritmo, che luminoso, illuminato noir! Qui i documenti, anche di testimonianze di riporto fino al 1968, e i pettegolezzi inventariati dallo storico scivolano in modo naturale… certo, il colore delle facciate più rispettabili non sarà camoscio ma minimo chamois, niente corsivo, per carità, e poi ci sarebbero “i malemmi”… in una narrazione che ha la tempestosa ondosità sottomarina delle acque chete e bonarie in superficie e che ti tira giù in un’apnea di godimento un po’ strangolatore, e reale e subliminale avidità di abissi sempre più profondi. E le donne di Rimbaud e di Verlaine, la moglie, la suocera di quest’ultimo, e le madri di entrambi che affrontano le altre due che hanno attentato all’onorabilità sessuale dei loro rispettivi figli spargendo menzogne?
E la nascita del quadro più famoso della storia della letteratura francese, il ritratto degli otto poeti per mano di Fantin-Latour che dovevano essere nove e uno fu sostituito dal vaso di gerani bianchi? E la cricca dei fuoriusciti francesi in quel di Londra, una metropoli-ciminiera in cui si respira fumo e si espettora catarro e, ndr, non per niente dà il via a pieni polmoni ai sognanti e favolosi afflati dei Preraffaelliti? E i caratteri impietosi, scurrili, sfrontati torniti con una precisone da orafo maudit dei due dolenti amanti vagabondi ai quali si deve gran parte della modernità ben prima di Freud, di de Saussure e di Albert Hofmann, padre dell’LSD, anche se l’assenzio dei due dissoluti bevitori sta all’acido lisergico come la carabina ad aria compressa alla bomba atomica? E che libro chiederà il diciannovenne Arthur non appena riuscirà, falsando la propria data di nascita, a mettere piede alla British Library? Scopritelo da voi, se siete forti. Tanto non glielo daranno nemmeno lì, relegato com’è nell’Enfer… Bene, corro a riprendere la lettura di Una sconosciuta moralità, il mio dovere di lettore grato l’ho fatto.
Come faccio a sapere che lo leggerò fino in fondo? Semplice: sono andato a piluccare qui e là e ho scoperto che, poche pagine prima della fine, c’è una lettera niente di meno che di Georges, il figlio di Verlaine. Quante volte mi sono chiesto che fine avrà fatto! Chissà se Marcenaro ci dirà qualcosa anche sulla discendenza dei Rimbaud, perché quel gran puttaniere ubriacone del bellissimo Frédéric (1853-1911), il fratello maggiore di un anno di Arthur, due figli in regolare matrimonio li ha poi avuti…

Giuseppe Scaraffia


"Domenica .- Il sole 24 ore", 30 giugno 2013

Una sconosciuta moralità di Giuseppe Marcenaro (pubblicato da Bompiani pagg. 400)

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