venerdì 14 giugno 2013

La Scuola siciliana in Lombardia


I testi dei poeti di Federico II diffusi prima nel Nord Italia e poi in Toscana

Cesare Segre

"Corriere della Sera",  13 giugno 2013

Negli ultimi mesi, e persino giorni, sono saltati fuori da biblioteche pubbliche e private testi letterari che offrono notizie imprevedibili ed eclatanti sulla cultura letteraria dell'Italia medievale, e in particolare del Nord. Il primo importante ritrovamento è quello di Luca Cadioli, che ha riconosciuto in un manoscritto mutilo, rinvenuto nella soffitta di una casa signorile, l'unica fedele traduzione dal francese, finora sconosciuta, del Lancelot du Lac, il romanzo sugli amori di Lancillotto e Ginevra, di cui ci erano noti solo adattamenti molto liberi.
Quanto all'altra scoperta, il discorso è più complesso. Ci si era fatta l'idea che la Lombardia fosse rimasta sorda a quel fermento straordinario che fu la Scuola poetica siciliana, fiorita nell'isola alla corte di Federico II, e poi risalita lungo lo Stivale sino a trovare un ambiente favorevole nella Toscana predantesca. Si è discusso in altri tempi sui modi in cui questa poesia può essersi diffusa, oltre che attraverso la declamazione di esecutori professionali, o dei poeti stessi, fieri di sfoggiare le loro creazioni. C'è in effetti una diffusione scritta, attraverso le copie tratte da qualche quaderno o libro d'autore: a noi sono rimasti alcuni canzonieri (detti così perché la canzone è la forma metrica prevalente in questi manoscritti), caratterizzati da un tratto specifico: la toscanizzazione di testi in origine scritti in siciliano. È in prevalenza tramite questa toscanizzazione che i versi dei poeti della corte di Federico II sono stati conosciuti, tanto che si rimase, a suo tempo, spiazzati nei minimi casi in cui ci si è trovati davanti a una poesia siciliana in lingua originale. Ora un nuovo ritrovamento pare smentire questo scenario.
Ci si domanda il perché di questo improvviso rivelarsi di testi due e trecenteschi. Molto è dovuto a migliori strumenti di analisi. Ma prevale il cambiamento di prospettiva. Se prima il filologo si soffermava sulle pagine dei codici, ora ha imparato a guardare anche alle legature, in cui spesso si usavano, come riempitivo, fogli di altri manoscritti, spesso destinati a questo tipo di riutilizzo perché parzialmente danneggiati. E si fa più attenzione ai documenti di ambito notarile, ben consapevoli del fatto che i notai erano in buon numero poeti. In effetti c'era già il precedente dei «Memoriali bolognesi», carte notarili dei secoli XIII e XIV in cui gli spazi bianchi, a evitare aggiunte fraudolente, venivano riempiti con poesie contemporanee. E poi, vent'anni fa, Giuseppina Brunetti aveva trovato, in un foglio di guardia di un manoscritto conservato a Zurigo, un frammento di Giacomino Pugliese in una veste linguistica probabilmente veneta.
Ora, Giuseppe Mascherpa, già allievo, come Cadioli, della Scuola di dottorato in Filologia romanza che ha unito le Università di Siena, Milano e Pavia, ha fatto un ritrovamento non meno straordinario dell'altro, nel quadro di una ricerca finanziata dallo Iuss di Pavia e dalla Regione Lombardia: alcune poesie della Scuola siciliana, reperite, in frammenti (le pergamene che le ospitano erano state, al solito, utilizzate per rinforzare la legatura di un codice), presso una biblioteca lombarda. I fogli pergamenacei ospitano delle sentenze che condannano alcuni esponenti di note famiglie, in prevalenza guelfe, per violazioni delle norme sui tornei; ma negli spazi rimasti bianchi, sul verso delle pergamene stesse, trova posto la trascrizione di almeno quattro testi poetici siciliani ascrivibili ad autori come Giacomo da Lentini, Paganino da Sarzana, Percivalle Doria, e addirittura all'imperatore Federico II (la poesia qui trascritta è in realtà di attribuzione non sicura, dato che un altro testimone la dà a tale Ruggerone di Palermo). È probabile dunque che queste trascrizioni derivino da un piccolo canzoniere di liriche della Scuola siciliana circolante in Lombardia, ma il dato ancora più importante è che questi componimenti non sembrano giunti attraverso la solita trafila toscana: la lingua dei testi presenta qualche lombardismo, eredità dell'ultimo copista, ma lascia intravedere una veste siciliana che sembra quella del modello. E se si considera che l'analisi paleografica e storica pare suggerire che ci troviamo, all'incirca, tra il 1270 e il 1290, dobbiamo dedurre che queste trascrizioni sono anteriori a quelle offerte dai principali canzonieri toscani.
Per farsi un'idea dei materiali appena ritrovati, riporterò i vv. 11-20 della poesia di Giacomo da Lentini, affiancandola all'edizione dell'unico testimone prima noto (l'illustre canzoniere Vaticano) e aggiungendo una parafrasi moderna.
Le prospettive che questa scoperta apre sono di notevole portata. La Lombardia risulterebbe aver avuto un interesse precoce e di prima mano per la poesia siciliana, cosa che non si poteva nemmeno sospettare: in quest'area sarebbero circolati i testi dei poeti della corte di Federico, in anni ancora anteriori a quelli in cui nasce la moda lirica attestata dai grandi canzonieri toscani. Tutto ciò apre un discorso che potrebbe portarci molto lontano.
P.S. Come accennato, gli autori delle due scoperte si sono entrambi formati presso una scuola di dottorato la cui esistenza, quantomeno nella forma originaria, è ora messa in crisi dalle nuove norme che regoleranno i dottorati di ricerca e che, nel nome di principi d'efficienza puramente quantitativi, obbligheranno, di fatto, ad accoppiamenti tra discipline anche lontane, il che andrà a scapito della serietà scientifica dei progetti e della possibilità di offrire ai dottorandi una formazione davvero specifica e approfondita.

Il nuovo amore cortese che cantavano i notai

Dopo il secondo decennio del Duecento, per opera di Federico II di Svevia, imperatore e poi re dei Romani, nell'Italia meridionale, tra Messina e Palermo, Capua e Napoli, si sviluppa una scuola poetica che trasforma la Sicilia nel centro letterario più attivo dell'epoca. Tra i protagonisti più influenti Giacomo da Lentini, che già Dante considerava il caposcuola della lirica illustre di provenienza siciliana. Altri nomi di spicco sono Stefano Protonotaro, Pier della Vigna e Guido delle Colonne.
All'origine di queste liriche ci sono i modelli trovadorici, incentrati sull'amore cortese nella concezione provenzale e cortigiana dei rapporti amorosi in senso feudale: ovvero un legame tra una donna superba od orgogliosa, distaccata, e un «servo» d'amore che protesta per la sua condizione e chiede pietà. La Scuola siciliana arricchisce questo schema tradizionale con nuove scelte liriche, linguistiche e metaforiche, grazie al patrimonio di conoscenze scientifiche e retoriche che caratterizzava molti dei poeti che avevano ruoli di spicco nella pubblica amministrazione, in particolare notai.
Le forme sono quelle del sonetto, della canzone, della tenzone.
Finora ci si è concentri sull'influenza che la Scuola siciliana ha avuto in Toscana, ma da recenti ritrovamenti è testimoniata anche la sua diffusione nel Nord Italia, in particolare in Lombardia.

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