domenica 30 giugno 2013

Quei corpi maschili avvinghiati nell’erba hanno la potenza dei nudi di Michelangelo


Melania Mazzucco 


"La Repubblica", 30 giugno 2013

È un quadro che disorienta. Le pennellate caotiche, a creare un tappeto tattile, organico; i colori colati sulla tela; l’immagine nitida ai lati e liquefatta al centro, come in una fotografia con l’esposizione sbagliata, incapace di fermare il movimento. E’ un quadro che provoca. Per la forma, il soggetto e perfino il titolo, che richiama la terminologia accademica: Due figure nell’erba.
Nel 1954, anno in cui fu dipinto, l’arte astratta ha sopraffatto l’arte figurativa e condannato il soggetto come inutile zavorra della tradizione. Bacon si ostina a conservare l’apparenza delle cose.
Siamo nello stesso tempo dentro una sorta di camera della tortura — recintata da una struttura tubolare simile a un ring e da un panneggio simile a un sipario di teatro — e all’aperto, su un prato: i fili d’erba, fittissimi, sembrano mossi dal vento. La struttura imprigiona e nello stesso tempo protegge le due figure avvinghiate che lottano furiosamente. La loro pelle si compenetra con l’erba, metamorfosandosi in essa. I loro corpi si congiungono sino a fondersi l’uno nell’altro. Il coagulo di carne che ne risulta assume una forma animalesca. L’enigmatico rettangolo nero, che occupa la parte inferiore della tela, respinge lo spettatore come uno specchio cieco — lo tiene a distanza.
Bacon non dipingeva dal vivo, davanti al modello reale. Preferiva partire da una fotografia. Nel suo studio ammucchiava in un magmatico caos ciò che aveva visto e selezionato: foto di boxeurs, calciatori, cani, dittatori, amici, foto mediche ritagliate da libri sulle malattie della bocca, radiografie di cavi orali, studi di anatomia e disegni di nudi di Michelangelo, il fotogramma della bambinaia della Corazzata Potëmkine il pastello di un nudo femminile di Degas, ritratti di antichi maestri riprodotti coi colori saturi o sballati. La manipolazione di un testo altrui gli garantiva più autonomia di espressione e nella libertà della creazione la promiscuità delle immagini generava imprevedibili associazioni, inconsce e non intenzionali. Fra i suoi quadri più celebrati figurano gli studi che realizzò, a partire dal 1950, dal Ritratto di Innocenzo X di Velázquez, alla Galleria Pamphilj. Quel quadro di papa in porpora ossessionò Bacon per tutta la vita. Eppure, nemmeno quando venne a Roma, nel 1954, sentì la curiosità di vederlo.
Due figure nell’erba nasce da una fulminante combinazione. «Michelangelo e Muybridge si sono fusi nel mio spirito» ha dichiarato Bacon «può darsi che io abbia appreso da Muybridge qualcosa sulle posizioni e da Michelangelo la grandezza della forma». A Michelangelo Bacon attribuiva i nudi maschili più voluttuosi della storia dell’arte; di Eadweard Muybridge invece lo assillavano le sequenze sulla meccanica del movimento umano (pubblicate in volume nel 1887, avevano influenzato anche Degas). Two men wrestling coglieva due lottatori nudi avvinghiati sul tappeto di un’arena. Nel 1953 la foto era già servita a Bacon come struttura di base per Two figures: Due figure nell’erba può considerarsi il secondo pannello di un dittico immaginario.
Ma, come sempre, Bacon opera una deformazione — o “registrazione distorta”. E ai corpi fotografati sovrappone corpi reali. I due maschi si danno battaglia sull’erba, ma non stanno praticando sport. E’ come se Bacon accendesse i fari della macchina, investendoli di una luce abbagliante. Siamo voyeur di una scena di violenza o di sesso — o piuttosto di entrambe: di sesso violento. Nessuno aveva mai osato mostrare l’atto che per ogni società e convenzione artistica è il più osceno — indicibile e non rappresentabile. Tollerato ipocritamente nel segreto di una camera da letto, ma a volte nemmeno in quello. Nel 1954 in molti stati la sodomia era ancora perseguita penalmente, e in Inghilterra — paese in cui Bacon, nato a Dublino, viveva dopo la giovinezza trascorsa a Parigi e Berlino — l’omosessualità divenne legale solo nel 1967.
Due figure nell’erba fu esposto a Parigi e a Roma, ma nessun museo pubblico l’ha acquistato. A Bacon però non interessa scandalizzare né sedurre. Refrattario a ogni messaggio politico o morale, non intende rivendicare alcunché, né mettere in piazza la sua vita privata (benché qualcuno abbia voluto identificare nelle Due figure lui stesso e il suo amante). Dagli anni ‘40 pratica una pittura aggressiva, monumentale e disturbante, popolata da ammassi di carne sanguinolenta, bocche urlanti senza volto, membra sfatte e bestiali. I suoi sostenitori ritengono che quelle figure mostruose esprimano la disperazione dell’umanità massacrata dalla dittatura e dalla guerra mondiale, e in sostanza la solitudine e la disperazione dell’uomo contemporaneo. I suoi detrattori la trovano solo repellente. Lui ritiene che l’arte sia sempre un modo di reinventare ciò che viene chiamato reale, strappando il velo che lo offusca: e la realtà nuda non ha nulla di spirituale o trascendente, è materia, carne, violenza. L’uomo è una creatura futile, un corpo destinato alla disgregazione, e la sua vita non ha significato né scopo. L’artista può solo tentare di «registrare i suoi sentimenti riguardo a certe situazioni, rimanendo il più possibile vicino al suo sistema nervoso».
Due figure nell’erba è più indefinito del predecessore senza erba, e talvolta lo si vede perfino nelle pubbliche mostre. Eppure trasuda un erotismo selvaggio. Dal tempo di Michelangelo nessuno aveva rappresentato il corpo virile con simile oltranza.
Bacon non pone limiti alla rappresentazione. Dipingerà un nudo maschile seduto sulla tazza del cesso. Mentre vomita e muore. Dipingerà altre volte anche i due maschi a letto, su un materasso o in una stanza. Il tema claustrofobico della “figura in un interno” — rinchiusa come una bestia in gabbia, e incorniciata e isolata nello spazio da intelaiature, trespoli, sipari — può anzi essere considerato il più propriamente suo. Quello di Due figure nell’erba è insomma uno dei suoi temi ossessivi. Anni dopo, Bacon spiegò all’intervistatore-biografo che questo era «un soggetto senza fine. Davvero, non c’è bisogno di nessun altro». Alla fine, si tratta del desiderio di passare da un corpo all’altro, di sciogliere i confini della pelle e diventare uno. Chiunque può riconoscervisi.

Francis Bacon, Due figure nell’erba, 1954

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