Perché tali indagini hanno tanto fascino?
C’è sudditanza degli umanisti agli scienziati?
Per capire dove si dirige l’attenzione quando si apre un libro, prima si registravano i movimenti oculari. Ora la risonanza magnetica permette di fare molto di più.
Le stesse ricerche si praticano per la visione di immagini
Robert Musil si sofferma sulla predilezione di alcuni “nell’attribuire i moti dell’animo alle secrezioni interne e la bellezza alla buona digestione”
Ci sono i maniaci di queste indagini, ma sono stati filosofi e scrittori a dar loro man forte
Paolo Legrenzi
"La Repubblica", 9 giugno 2013
Natalie Phillips, giovane ricercatrice dell’Università del Michigan, sta per pubblicare una serie di ricerche che potremmo definire di neuro-letteratura. Durante la lettura di passi tratti da romanzi, come Mansfield Park di Jane Austen (1814), Phillips osserva le modificazioni del cervello dei lettori utilizzando le tecniche di risonanza magnetica. Il cervello è un insieme di aree specializzate e molte di queste aree sono attive mentre leggiamo, da quelle che recuperano i significati delle parole a quelle corrispondenti alle emozioni del lettore.
Natalie Phillips non è la sola a usare questa nuova tecnica che ci permette di esaminare le aree cerebrali responsabili delle più diverse attività, come leggere, far di conto, risolvere problemi, guardare figure o quadri o, più prosaicamente, avvisi pubblicitari. È una tecnologia duttile, da cui sono scaturiti campi d’indagine come la neuro-estetica, la neuro-etica e tanti altri neuro+, tra cui la neuro- letteratura.
Per capire dove si dirige l’attenzione mentre si legge un testo o si guarda un’immagine, tradizionalmente ci si limitava a registrare i movimenti oculari. Le tecniche di risonanza magnetica ci permettono di fare di più. Dato che conosciamo le specializzazioni delle varie zone del cervello, possiamo indirettamente misurare le variazioni dei livelli di attenzione e di coinvolgimento emotivo durante la lettura.
Altre università statunitensi, come Vanderbilt e Duke, stanno allestendo centri specializzati non solo di neuro-letteratura, ma più in generale di neuro-humanities.
Il principio è sempre lo stesso, sia che si legga un libro o che si guardi un quadro. Quando una determinata funzione mentale è in atto, le aree cerebrali corrispondenti sono attive. Se stiamo cercando un amico in un ambiente affollato, si attivano le aree cerebrali che presiedono all’orientamento dell’attenzione nello spazio (sono situate nel lobo parietale) e quelle che presiedono al riconoscimento dei volti noti (sono situate nel lobo temporale). Lo stesso potete fare con la visione d’immagini. Semir Zeki, dell’University College di Londra, dapprima ha studiato i correlati neurali delle caratteristiche percettive dei quadri, poi è passato a ricerche più vicine a quelle di neuro-letteratura. Per esempio, Zeki ha mostrato 300 dipinti e ha registrato le aree cerebrali coinvolte nei giudizi di bellezza o di bruttezza.
Nel numero della rivista Nation uscito il 27 maggio, Alissa Quart fa un bilancio critico di queste “avventure nelle neurohumanities” interpellando storici dell’arte e letterati. Todd Cronan della Emory University, insieme ad altri, si lamenta della subalternità degli umanisti agli scienziati. C’è del vero in queste critiche. Molte di queste rassegne, e Nation non fa eccezione, sono arricchite da immagini colorate che inducono a credere che gli scienziati siano davvero capaci di vedere il cervello al lavoro. In realtà i colori sono un artificio grafico. Gli scienziati si limitano a registrare le differenze segnalate dalla diversa risonanza nel campo magnetico degli atomi di idrogeno presenti nel flusso sanguigno. Conoscere queste differenze è decisivo per individuare quello giusto tra più modelli di una stessa funzione mentale. È meno utile per sapere se il passo di un romanzo provoca paura oppure no. Ve ne accorgete leggendolo. Inoltre la paura può dipendere dalla lettura di quel passo, ma anche dalle circostanze e dagli stati d’animo del lettore.
Come mai, allora, le neonate discipline del tipo neuro+, come la recente neuro-letteratura, piacciono tanto? Questa è un’altra storia. Carlo Umiltà ed io l’abbiamo raccontata in Neuromania (2009), un libretto che cerca di difenderci dal fascino dei neuro-riduzionismi. Va però precisato, a difesa degli scienziati, che il fascino eccessivo non è colpa loro. L’origine è antica, e la troviamo già ben formulata da Robert Musil, nel capitolo 72 del romanzo-saggio L’uomo senza qualità (1930). Musil si sofferma a lungo sulla «predilezione per le definizioni materiali alle quali è stato come cavato il cuore … attribuire i moti dell’animo alle secrezioni interne e la bellezza alla buona digestione … trovano sempre una specie di preconcetto favorevole». Questo preconcetto serpeggia anche nella letteratura popolare. Per il celebre investigatore Nero Wolfe, creato da Rex Stout, l’innamoramento si origina, à la Darwin, dagli «attributi delle giovani donne che costituiscono il principale appiglio della nostra specie nella sua coraggiosa lotta contro la minaccia degli insetti» (Prisoner’s Base, 1952). Ci sono scienziati neuromaniaci, ma sono stati filosofi e letterati a dar loro man forte, creando il gusto per le definizioni alle quali è stato come cavato il cuore. E tuttavia è troppo facile fermarsi qui, sorridere di fronte all’ingenuità di ricerche rese possibili dalla risonanza magnetica. Lo stesso Robert Musil alludeva con ironia al preconcetto volto a ricondurre i nostri stati d’animo alle condizioni del corpo. E Rex Stout vuol divertirci quando il suo investigatore dichiara che l’uomo non è altro che una tra le tante specie animali in lotta. È troppo facile dileggiare i tentativi di concentrare nel cervello l’origine di fenomeni apparentemente non riducibili ai segnali del flusso sanguigno. Finisce così che non ci accorgiamo che l’antico sogno dei naturalisti ha preso oggi nuova forza perché questa “concentrazione” della mente nel cervello si alimenta sempre più della materializzazione della mente all’esterno del corpo. L’estensione della mente è resa possibile da protesi tecnologiche, smartphone e reti di computer. L’interazione tra cervelli naturali e artificiali si deposita in miriadi di documenti, che ne sono messaggeri e testimoni. La mente umana, concentrandosi nel cervello, si frantuma in localizzazioni neurali indipendenti. E tuttavia, in parallelo, si espande nel mondo tramite le nuove protesi.
La prospettiva naturalista si afferma perché permette una sempre migliore comprensione dei meccanismi interni del cervello e delle sue estensioni. Se esaminate le opere dell’arte contemporanea non dal punto di vista dei fruitori, ma da quello dei creatori, esse vi appariranno come i prodotti di un sorprendente laboratorio, dove le immagini mentali vengono concentrate, frammentate ed estese prima di tradursi in oggetti o eventi che stupiscono lo spettatore e, poi, lo fanno pensare. Vi invito a visitare la Biennale che si è aperta questa settimana nella città da cui scrivo.
Ma Joyce e l’Amleto non si apprezzano scrutando lobi parietali
Capire il legame tra il fisiologico e lo psicologico è utile
Però la descrizione della mente non spiega una metafora
Giuseppe Montesano
Signori che volete applicare le neuroscienze alla letteratura, vi prego, siate cauti, perché quando si scava il terreno iper-complesso di un sonetto di Shakespeare o di una pagina dell’Ulisse di Joyce, servono vanghe magnetiche agili e pensanti, e memorie le quali ricordino che la neuro- letteratura non sta al di fuori del labirinto della letteratura, ma va a tentoni in quello stesso labirinto. Cosa che sapeva Aleksandr Lurija, autore di Le funzioni corticali superiori nell’uomo e di The working brain, lui che con Vygotskij inventò la neuropsicologia ma trovò necessario scrivere romanzi neuropsichici come il meraviglioso Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla o come il drammatico Un mondo perduto e ritrovato: vale a dire che Lurija, per poter esprimere alcune “verità” scientifiche, raccontò delle vite vere in forma di romanzi. Del resto il signor Freud di Vienna aveva scritto già romanzi sublimi e intricati come L’uomo dei lupi o Il piccolo Hans: i casi clinici dove la psicanalisi, per giungere più a fondo nella mente, rinunciava ai concetti scientifici e usava la letteratura. E se i Maestri antichi vi potranno apparire troppo lontani e superati, cari neuro-studiosi letterari, allora basterà che vi rivolgiate a Maestri viventi come Oliver Sacks, alle storie degne di Edgar Allan Poe che troverete in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello e a quelle lisergiche che vi colpiranno in quel romanzone epico alla Kerouac che è Risvegli. Poi, resi cartesianamente dubbiosi da queste letture, converrà che diate un’occhiata all’Etica di Spinoza e all’Etica Nicomachea di Aristotele, in modo da accorgervi definitivamente che i vostri studi sono una branca all’interno di una mappa più ampia: quella della Letteratura Universale. Dite che la risonanza magnetica studia la zona corticale che regola l’orientamento? Ottimo! Ma quando qualcuno legge l’Amleto di Shakespeare e capisce che in Danimarca tutto è “rotten”, marcio, a pezzi, sfasciato, di cosa dà conto la risonanza magnetica alla parola “Danimarca”? Della funzione che si attiva quando devo cercare se via Turati è o no a Copenhagen? No, la mente che si attiva con l’Amleto si orienta nel tempo metaforico, e da lì nello spazio storico, e da lì in quello immaginativo: la Danimarca del principe Amleto si trova dovunque c’è marcio e sfascio, non nella Danimarca geografica. La letteratura opera attraverso il linguaggio, che è storico e culturale, e ha un grado di complessità massimo: si può applicarle la risonanza magnetica, ma purtroppo con essa non si scopre niente che scrittori e lettori attenti non sappiano molto meglio e molto più in profondità. Per non dire del fatto che la letteratura opera con categorie come la menzogna e la metafora, decisamente più complicate di ciò che sappiamo dei lobi parietali e frontali. Arrivare a toccare il legame tra il fisiologico e lo psicologico è essenziale per la conoscenza, lo sapeva già Spinoza quattro secoli fa, ed è ciò che tenta di fare la neurobiologia, forse la più importante delle scienze che studiano il cervello: ma la neurobiologia sa bene che la descrizione che dà del funzionamento mentale è uno schema riduttivo, e che persino la chimica del cervello adoperata dalla moderna pratica psichiatrica è un po’ come la pratica terapeutica per i primitivi: vi diamo questo psicofarmaco perché funziona sul sintomo, ma non sappiamo da cosa derivi il sintomo, dato che ignoriamo quasi tutto della mente e delle sue passioni.
Forse alla neuro-letteratura non resta che rassegnarsi a leggere con impegno Gli elisir del Diavolo di Hoffmann per sapere come un uomo possa essere insieme buono e malvagio, e a studiare Delitto e castigo di Dostoevskij per capire come funziona il senso etico. La logica matematica ci parla degli insiemi, e spiega che un insieme più vasto ha dentro si sé vari sotto-insiemi, ma che il sotto-insieme non può contenere l’insieme: la logica ci sussurra che è l’insieme Uomo senza qualità a contenere dentro di sé il sotto-sotto-insieme neuro-letteratura, e che è l’insieme Don Giovanni di Mozart a contenere il sotto-sottoinsieme neuro-estetica musicale, ed è l’insieme Simposio di Platone a contenere il sotto-sotto-insieme neuro-erotica. È chiaro e distinto, come direbbe Cartesio, no? Ma se per gli scienziati si spalancano baratri, per gli scrittori si spalancano le porte di una letteratura neuro-letteraria, con personaggi fantastici, abitatori di laboratori che si combattono per il predominio di un’idea come gli eresiarchi in un racconto di Borges. A quale nuovo Proust toccherà in sorte scrivere Alla ricerca del neuro- studioso di letteratura perduto? E chi sarà il nuovo Philip K. Dick che ci offrirà Ma i neuro-psicoletterati sognano risonanze magnetiche?
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