Armando Torno
"Corriere Salute", 23 giugno 2013
Chiunque apra un dizionario di filosofia scoprirà che abbiamo a disposizione, per comportarci nel migliore dei modi, numerose etiche. Qualcuno, ironizzando, sostiene che sono troppe. Negli ultimi anni si sono moltiplicate, ma una di esse riguarda tutti gli uomini: è quella della cura medica. Anche chi desiderasse ignorarla ne dovrà condividere, prima o poi, talune regole. Nella sua A Short History of Medical Ethics (Oxford University Press 2000) Albert R. Jonsen ha individuato tre temi principali che ne hanno contraddistinto la storia sin dalle origini, ovvero il decoro, la deontologia e l'etica politica. Si sta parlando di una medicina che non va confusa con quegli aspetti terapeutici della religione, né con le guarigioni praticate da maghi o da personaggi particolari. Elisa Buzzi, proprio partendo dal testo di Jonsen, ha da poco pubblicato una Etica della cura medica (La Scuola, pp. 160, 12) nella quale mette in evidenza come le questioni poste da tale materia coinvolgano tutti i settori della medicina e la società nel suo complesso, tanto che i tre temi ricordati «individuano altrettante sfere della filosofia morale». Mette in evidenza, tra l'altro, che quando si parla di etica della cura si delineano prospettive della filosofia del Novecento quali «la fenomenologia husserliana, l'analitica esistenziale di Heidegger, la riabilitazione della filosofia pratica, l'ermeneutica, l'etica dialogica e della responsabilità». C'è inoltre, per così dire, un antecedente diretto, vale a dire il pensiero femminista «e la sua critica ai modelli maschili di etica e bioetica». Il libro tocca poi gli innumerevoli aspetti che riguardano tale materia. Dalla relazione medico-paziente alla stessa definizione di malattia («problema centrale in medicina, non solo a livello teorico, con importanti ricadute pratiche nella clinica, complesse implicazioni sociali, economiche e giuridiche»), dai temi della sofferenza e della cura allo stesso ragionamento clinico. Il quale si può considerare, da Aristotele in poi, una delle espressioni migliori della ragione. Né si scordano le implicazioni etiche della cura medica, dove emergono temi quali la dignità della persona, il consenso, la fiducia. Oltre, naturalmente, il bene del paziente.
Ma se oggi noi possiamo parlare di tutto questo, porci questioni di bioetica, chiederci cosa dobbiamo intendere per malato o discutere di nuovi programmi di ricerca su taluni aspetti del dolore, il merito di aver posto razionalmente le prime domande — che oggi potremmo anche considerare in parte superate — va agli antichi Greci. L'origine della «medicina colta occidentale» è indissolubilmente legata al nome di Ippocrate, vissuto tra il 460 e il 377 circa dell'epoca precristiana. Il cosiddetto Corpus ippocratico non è una raccolta di opere organiche ma è costituito da scritti che vanno dalla fine del V secolo sino al primo della nostra era. Tra essi c'è il celebre Giuramento, punto di riferimento dei principi etici normativi; molte altre questioni sono affrontate nei testi chiamati deontologici (per esempio, La legge, I precetti) e anche in qualche trattato clinico (è il caso del primo libro delle Epidemie). Pur facendo riferimento a diverse scuole filosofiche, giacché nel mondo ippocratico esistevano numerosi orientamenti teorici e metodologici, stupisce la fermezza che caratterizza proprio le norme che si leggono nell'originale del Giuramento. Per fare degli esempi: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se sarà richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un simile consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo», oppure: «In qualsiasi casa mi recherò, entrerò in essa per il sollievo dei malati, astenendomi da ogni offesa e danno volontario e, tra l'altro, da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, siano essi liberi o schiavi»; e ancora: «Di quanto potrò vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori da esso riguardante la vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili». Principi che nascevano in un mondo in cui il medico era visto come una sorta di intermediario tra gli dei e gli uomini. I secoli non li hanno resi obsoleti, caso mai hanno diversamente interpretato le risposte da essi offerte, sovente si sono limitati a confermarli. E questo anche se taluni studiosi, tra i quali lo specialista di medicina antica Ludwig Edelstein (1902-1965), ritengono improbabile che il Giuramento abbia contribuito a diffondere un insieme largamente accettato di regole morali per i medici greci: sarebbe più ragionevole credere che lo status oggi attribuito a quel testo sia stato possibile soltanto in epoca cristiana.
Elisa Buzzi sottolinea che «l'aspetto più notevole dell'etica ippocratica è lo stretto legame tra metodo razionale e orientamento morale». Il Giuramento, che consideriamo un'epitome della deontologia medica, è stato ritenuto dal medesimo Edelstein (in Ancient Medicine, John Hopkins University Press 1967) un «manifesto pitagorico». In esso sarebbe confluito il sapere filosofico e religioso di una scuola che aveva fissato regole alimentari e comunicative molto severe e che si caratterizzava per le sue conventicole non aperte al pubblico. Potrebbe insomma essere che questo documento-base dell'etica medica occidentale altro non fosse che una formula di iniziazione per la confraternita elitaria che si ritrovava nel nome di Pitagora. Soltanto più in là nel tempo sarebbe diventato un punto di riferimento per l'umanità. È il caso di aggiungere in margine a queste osservazioni che il Giuramento potrebbe indicare la nascita della corporazione dei medici e che i processi di affinamento e di contaminazione da esso avuti nel tempo sono ancora materia di riflessione. D'altra parte, per fare un esempio, quando l'etica ippocratica incontrò la filosofia stoica la medicina diventò una professione. Fu Scribonio Lago, medico militare durante il tempo dell'imperatore Claudio, che aiutò codesta nascita, determinando ruoli e doveri di coloro che intendevano praticarla. Le virtù richieste allora erano misericordia e humanitas. Altre se ne aggiunsero e il Giuramento non fu più possibile dimenticarlo. Oggi, anche se si utilizza l'espressione «etica post-ippocratica», i principi dell'antica Grecia continuano a essere evocati, fosse anche per ricordare che essa non è più in grado di rispondere con le sue norme alle complesse questioni della medicina contemporanea, rivoluzionata dalla tecnica e dai nuovi orizzonti da essa disegnati. In tal caso si può dire che la crisi di una tradizione ne prova la sua grandezza, perché di essa è rimasta la magnifica morale.
Nessun commento:
Posta un commento