sabato 1 giugno 2013

Don Chisciotte e i magici espedienti per non morire



Un libro di Pietro Citati dedicato all'eroe di Cervantes.

Paolo Mauri

"La Repubblica", 31 MAGGIO 2013



I capolavori si abitano: questa è, mi sembra, la scelta di fondo di Pietro Citati che ripercorre ora con invidiabile scioltezza la meravigliosa storia di don Chisciotte (Il Don Chisciotte, Mondadori, pagg. 147). Quello di Citati è in sostanza un omaggio che, dopo il lungo travaglio del saggio su Leopardi, sembra sgorgare improvviso da una rilettura. Ed è, lo si sente in ogni pagina, una rilettura che ha confermato il grande piacere del testo, il godimento per la comicità inesauribile delle mille situazioni che la strana coppia del Cavaliere dalla Trista Figura (la definizione è di Sancio Panza stesso) e del suo scudiero attraversano dialogando senza fine. O meglio: attraversano da quando si incontrano, perché c'è un momento in cui don Chisciotte è ancora senza scudiero e tutte le sue avventure (o disavventure) non hanno il conforto di un complice, come Sancio finirà con l'essere, pur continuando a vedere con i suoi occhi e a ragionare con la sua testa.
Citati organizza il suo viaggio in compagnia di don Chisciotte facendo perno su alcuni momenti chiave del gran romanzo, a cominciare da una premessa: l'identità dell'autore. Cervantes si inventa un autore arabo, Cide Hamete Benengeli, di cui lui stesso compra e si fa tradurre il manoscritto, diremmo oggi, per quattro soldi: nella fattispecie per le spese di traduzione l'investimento consiste in due sacchetti di uvette e due di grano. La vicenda è trattata «con garbo, discrezione, ironia, buffoneria, menzogna, verità», che è come dire che tutto avviene secondo i parametri dell'intera opera che appartiene a tutti e a nessuno, ma ha tuttavia una sua storia e un suo autore ben preciso, Cervantes, a cui piace infinitamente travestirsi e altrettanto infinitamente svelare i travestimenti. Così Citati può scrivere che Cide Hamete, lo "storico melanzana" (questo è uno dei significati di Benengeli) «è il segno della radicale ambiguità del Don Chisciotte, dove tutto è, al tempo stesso, assolutamente falso e assolutamente vero: dove il vero, senza cessare di essere vero, è assolutamente falso, e dove il falso, senza cessare di essere falso, è assolutamente vero». Non è un rompicapo, ma la celebrazione dell'immaginario letterario che nel Don Chisciotte arriva alla massima raffinatezza, e anche alla massima sfacciataggine, essendo la storia di don Chisciotte figlia della tradizione cavalleresca, ma rivissuta in chiave comico-farsesca e dunque con un passaggio continuo tra vero e falso che incanta il lettore, invitato a mettersi ora dalla parte del Cavaliere che scambia una locanda per un castello e i mulini a vento per temibili giganti, ora da quella degli altri protagonisti, Sancio compreso, che continuano a vedere locande e mulini e un vecchio pazzo con la celata di cartone pronto all'assalto.
Nella sua iniziazione al Don Chisciotte, Citati invita il lettore a riflettere sul nome stesso del cavaliere e su ciò che di lui sappiamo prima che si metta in via alla ricerca di gloriose avventure: «Colui che si chiamerà Don Chisciotte, ed è ora soltanto Quijada o Quesada o Quijana, era un hidalgo: dunque non lavorava, non pagava le tasse; e viveva una vita chiusa e monotona, come la moltitudine degli hidalgos che popolavano la Spagna nell'età di Filippo II». Di lui, una volta diventato cavaliere, l'autore non ci dice mai abbastanza e sempre aggiunge, nel corso del romanzo, qualche sfumatura. Si tenga presente che tra la pubblicazione della prima parte del libro e la seconda intercorrono dieci anni durante i quali un certo Avellaneda si impadronisce della storia e la continua a modo suo, sicché a Cervantes tocca intervenire per raddrizzare, diciamo così, la trama e le avventure di don Chisciotte e di Sancio, protagonisti di un romanzo che non solo interpretano ma potrebbero perfino leggere.
Nel terzo capitolo del suo Il Don Chisciotte, Citati punta su Dulcinea del Toboso, uno straordinario personaggio che esiste «soltanto come fantasia o ossessione, mai come realtà», ed è proprio su questo punto che, avendo letto la prima parte del romanzo, la Duchessa osserva che Don Chisciotte non l'ha mai vista e dunque l'ha partorita, come tante altre cose, nel suo cervello.
Alla fine, come si sa, don Chisciotte rinsavisce, detta il proprio testamento e in capo a tre giorni muore: si chiama ora Alonso Quijano el Bueno. Nelle Novelle esemplari che Cervantes scrisse tra la prima e la seconda parte del Don Chisciotte c'è il personaggio dell'avvocato Vetrata che, impazzito, crede di essere di vetro e dunque teme che chiunque, avvicinandolo, possa romperlo. Vetrata, dopo una vita difficile e piena di angherie viene guarito e reimmesso nella vita civile. Cambia nome e diventa l'avvocato Ruota, ma anche questo non basterà a salvarlo. Il nome cambiato è comunque un espediente quasi magico, un travestimento che consente di moltiplicare le identità e dunque le azioni. Don Chisciotte della Mancia dice alla fine di essersi meritato per i suoi costumi l'appellativo di "Bueno": potrebbe forse vivere un'altra vita, ma sa che sta per morire e questa volta seriamente.
Naturalmente don Chisciotte non muore: come ha osservato una volta Cesare Segre, Cervantes fa parte del gruppo ridottissimo dei creatori di personaggi senza morte: da Amleto a madame Bovary. L'omaggio di Citati è, ancora una volta, una conferma. 

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