mercoledì 26 giugno 2013

Cari romanzieri, troppo facile scrivere di sogni


Le fantasie oniriche sono utili per capire la realtà? 
Il dilemma a due voci del premio Nobel


John M. Coetzee

"La Repubblica",  25 giugno 2013


l brano di John Maxwell Coetzee sarà letto dall’autore  al Teatro dal Verme di Milano nell’ambito della Milanesiana 2013, il festival di letteratura, musica, cinema, scienza, arte, filosofia e teatro ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi. Con Coetzee saranno presenti Michael Chabon, Andrea De Carlo, Wole Soyinka. Introduce Antonio Gnoli




Caro O, 
grazie per la copia del tuo nuovo romanzo, che ho letto con ammirazione. C’è una questione che vorrei approfondire con te. Non è una cosa che può interessare il pubblico, ma una domanda rivolta da un addetto ai lavori a un altro addetto ai lavori.
Nel capitolo 15 Gregor, il tuo personaggio, si trova in un vicolo cieco. Deve continuare a cercare la verità sul suicidio di sua moglie, o deve abbandonare la ricerca e tornare alle comode e sobrie abitudini della sua vita di vedovo? Incerto su cosa fare, scivola nel sonno e sogna.
Il sogno in sé è confuso, come lo sono in generale i sogni nella vita vera, pieno di particolari irrilevanti o superflui. E nondimeno — come subito riconoscerà il lettore perspicace — contiene un indizio vitale, un indizio che, se solo Gregor lo afferrasse, lo porterebbe alla verità.
Il nodo (e qui tu come me dovresti cogliere il problema meglio della maggior parte dei lettori) è che nella vita vera, cioè a dire nella vita costituita sia dai giorni in cui è in scena nel tuo romanzo, sulla pagina, sia dai giorni che passi sotto silenzio, Gregor sogna molto. Non c’è niente che dica al Gregor della vita reale che proprio questo sogno, il sogno che tu, suo fedele scriba, scegli di sottoporre alla nostra attenzione, sia un sogno speciale, col potenziale di districare il mistero che lo inquieta.
Gregor fa molti sogni. A noi, suoi lettori, d’altra parte, viene presentato solo questo unico sogno (non ce ne sono altri nel libro).Perché ci viene offerto un sogno?, ci domandiamo.
L’unica risposta possibile è che sia significativo. Che contenga un indizio. E allora cerchiamo questo indizio.
C’è un altro modo in cui posso chiarire il mio punto. Nella forma del sogno di Gregor, tu, il romanziere, metti in scena la tesi che segue: «A un qualche livello, Gregor sapeva la verità sul perché la sua amata moglie si era uccisa. E tuttavia, poiché trovava doloroso quello che sapeva, reprimeva quella cognizione. La reprimeva così bene che riusciva a riemergere solo nel sonno, quando le sue difese psichiche erano abbassate ».
La mia domanda: perché mettere in scena la tesi? Perché non scrivere semplicemente: Gregor sapeva perché si era uccisa sua moglie ma si rifiutava di confrontarsi con quanto sapeva perché lo trovava troppo doloroso?
Perché darsi tanta pena e costruire un sogno di due pagine, pieno di elementi irrilevanti e superflui accuratamente architettati, un sogno che comunque il lettore decodificherà subito per quello che significa: né più e né meno di quello che ho detto?
I sogni nei romanzi mi sembrano un espediente primitivo quanto i sogni nelle fiabe popolari. Non hanno fatto il loro tempo?
Cordiali saluti, 
John 

*** Caro John, 
grazie per la tua lettera. Sono un po’ sorpreso dai tuoi commenti sul sogno di Gregor — avrei pensato che qualsiasi cosa entri nella nostra vita diurna o notturna debba entrare anche nel romanzo — ma farò del mio meglio per rispondere. Lo farò segnalandoti una poesia della scrittrice polacca Wislawa Szymborska, che è molto più eloquente di quanto riuscirei ad essere io sul tema del sogno.
In questa poesia, intitolata Il Sogno, Szymborska descrive alcuni tratti che distinguono l’esperienza onirica dall’esperienza quotidiana. Per esempio nei sogni ci succede di esperire spazio e tempo in modi nuovi e inquietanti. Nei sogni riusciamo a vedere le cose nei particolari con una chiarezza e una minuziosità allucinatoria irraggiungibili nella vita vera. Abbiamo poteri sorprendenti: voliamo in cielo, nuotiamo negli abissi. Incontriamo donne di una bellezza incredibile che cedono immediatamente ai nostri desideri. Tutto questo è possibile nel nostro mondo onirico. E inoltre, conclude Szymborska, di tanto in tanto i sogni ci danno una chiave, un’indicazione su come trasformare la nostra vita vera.
I sogni fanno tutto questo per noi. Arricchiscono la nostra gamma di esperienze e ci mostrano come cambiare la nostra vita. Tornando al sogno di Gregor, mi stai davvero dicendo che avrei dovuto eliminarlo e sostituirlo con la formulazione pedestre da te fornita: Gregor sapeva perché si era uccisa sua moglie, ma si rifiutava di confrontarsi con quanto sapeva perché lo trovava troppo doloroso?
Questo non è scrivere romanzi. Questo è un riassunto della trama dei più noiosi. Mi meraviglio di te.
Sempre tuo, 
O

*** Caro O, 
tu ignori un assioma del mestiere del poeta: «Se una poesia è facile da scrivere, in quella poesia ci deve essere qualcosa che non va». I sogni sono facili da scrivere; per questo ci sarà sempre qualcosa di sospetto nei sogni in un romanzo, nei sogni inventati.
Citi Szymborska per sostenere la tua posizione. Se lasciamo da parte, per il momento, la frecciata nel finale della sua poesia, che cosa ci dice? Che nei sogni si possono avere esperienze che non è possibile avere nella vita vera, come fare l’amore con le star del cinema. E perché è possibile? Risposta: perché si tratta di esperienze immaginarie, non della vita vera.
Ma non è proprio quello il punto? L’impegno del romanzo non è con la realtà piuttosto che con la fantasia? Non è quello che ci dice Cervantes quando scrive il suo testo seminale per il mestiere che facciamo tu ed io? Che non ci possiamo inventare la vita secondo i nostri desideri man mano che andiamo avanti, che dobbiamo affrontarla per quello che è?
Potrei capire se, nel raccontarci tutto il sogno di Gregor, tu di fatto avessi inteso dirci: «Ecco, Gregor in questa fase della sua vita è questo tipo di uomo. Questo è il tipo di fantasie che ha. Le nostre fantasie rivelano molto del nostro carattere». Ma non è quello che dici. Tu dici: «Dai più profondi recessi della memoria repressa, riemerge un’informazione cruciale sulla moglie: lei sapeva che i nomi Roland e Ronald e Orlando e Ronaldo erano tutte varianti uno dell’altro». Noi, come lettori, riconosciamo subito questa informazione come di un ordine diverso dalla fantasia convenzionale del resto del sogno. Èun indizio.Ma Gregor non riconosce l’indizio come tale. Non vuole riconoscerlo. Come Edipo, Gregor ha tutti i fatti sotto gli occhi, ma non può o non vuole metterli insieme. Si rifiuta, per così dire, di mettere insieme il quadro. Allora ripeto la mia domanda: perché non limitarsi a dire,Gregor sospettava che l’uomo che sua moglie aveva incontrato a Malaga, Orlando, altri non fosse che Ronald, il suo collega all’istituto per la traduzione; ma quella cognizione era troppo penosa per lui, perciò se la nascose?
Potresti perfino aggiungere: «È coraggioso l’uomo che è capace di accettare con spirito filosofico che la donna amata abbia una vita emotiva ed erotica dalla quale lui è escluso. Gregor non era un uomo coraggioso. Preferiva ignorare l’evidenza; preferiva la sua beatitudine irreale». 
Sempre tuo, 
John 

*** Caro John, 
sono sempre più sorpreso dal tipo di argomentazione che proponi. Stai davvero suggerendo che dovrei scrivere quella roba su Gregor, che dovrebbe accettare «con spirito filosofico» l’infedeltà della moglie? Che dovrei scrivere io in prima persona? Non riesco a crederci. Vorresti che scrivessi un romanzo tutto diverso da quello che ho scritto, un romanzo in cui costruisco un narratore intermediario cui è affidato il compito di raccontare la storia di Gregor, o meglio di riflettere la storia di Gregor attraverso il tipo di temperamento che si esprime parlando di “spirito filosofico,” eccetera — un temperamento tutto diverso dal mio.
Ma non è questo che mi interessa fare, John. Nei miei romanzi le persone fanno quello che fanno nella vita vera; dormono, vegliano, mangiano, cacano, ridono, piangono, scopano, mentono, e tutto il resto. Mentono al consorte e a se stesse. Mentono a se stesse e poi fanno sogni in cui quelle menzogne saltano fuori. Le menzogne saltano fuori e vengono subito ricacciate nel sacco dell’oblio.
Peccato che il libro non ti sia piaciuto. Ce la metterò tutta la prossima volta.
Sempre tuo, 
O

© John Coetzee 2013 Traduzione di Maria Baiocchi



Wislawa Szymborska, Elogio dei sogni


In sogno
dipingo come Vermeer.

Parlo correntemente il greco
e non solo con i vivi.
Guido l’automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci
non peggio di autorevoli santi.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia con le mie forze.
Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.
Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.
Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l’altro ieri un pinguino.
Con la più grande chiarezza.

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