lunedì 15 luglio 2013

Il distinto pediatra-poeta che ispirò la Beat Generation


Alberto Paleari

"Corriere della Sera", 14 luglio 2013

Da scrittore, sono stato medico, e da medico sono stato scrittore. Quasi un'epigrafe, la dichiarazione in cui William Carlos Williams racchiuse il senso della propria vita. Williams seppe trovare tra le sue vocazioni la giusta compresenza, come nella poesia Complaint, che così si conclude: «Ecco una grande donna / che giace su un fianco nel letto. È malata / forse sta vomitando, / forse è in travaglio / per dare alla vita / un decimo figlio. / Le scosto dagli occhi i capelli / e osservo la sua pena / con compassione». E ancora: «L'ala nascosta / dell'ospedale / dove mai / nulla crescerà / là vi è cenere / e lo splendore / dei cocci d'una verde / bottiglia».
Alcune poesie le creava sui fogli per le prescrizioni mediche, altre le batteva a macchina nei pochi minuti tra una visita e l'altra: «Una frase mi si palesava per un istante, e la buttavo giù su qualunque pezzo di carta avessi sotto mano».
Anni dopo William Carlos Williams dirà: «La professione medica dà l'occasione di conoscere attraverso strade imprevedibili la vita, e questa conoscenza per lo scrittore è viva carne, i miei malati sono stati un nutrimento per la mia musa ... ero presente all'atto della nascita e a quello della morte... la medicina dà l'opportunità di capire cosa è la vita».
Fu anche medico condotto, alzandosi nel cuore della notte per accorrere presso chi che aveva invocato il suo aiuto.
Williams era nato nel 1883 nel New Jersey, a Rutheford («dove andavo a cacciare anatre e topi muschiati»), da padre di origine inglese e madre portoricana. Il padre gli leggeva Dante e Shakespeare, e lui, William Carlos, amava Dante e il romantico John Keats ma anche i versi "liberi" dello statunitense Walt Whitman, che sentiva come «una spinta verso la libertà».
Giovanissimo fu dominato dal terrore di non essere all'altezza delle aspettative dei genitori. Per un certo tempo fu in Europa a studiare. Al liceo iniziò a coltivare interesse per l'uso e le possibilità espressive della lingua. Studiò anche a New York poi si iscrisse all'Università della Pennsylvania. Nel 1906 si laureò in medicina, specializzandosi in pediatria. All'Università si era legato di fraterna amicizia con Ezra Pound, che lo introdurrà nel mondo dell'Imagismo, una corrente poetica tipicamente statunitense. Di quell'incontro Williams scrisse: «Fu per me uno spartiacque, una sorta di prima e dopo Cristo». Nel 1912 sposò Florence Herman, la Flossie delle sue poesie.
Ebbe inizio e si sviluppò una vita che scorreva su due binari. Quella di poeta — il primo libro, Poems, era uscito nel 1909 — e quella di medico, con l'internato al French Nursery & Child's Hospital di New York, poi con il ruolo di primario di pediatria e quindi di direttore dell'ospedale nella cittadina industriale di Paterson, nel New Jersey.
Qui assistette allo sciopero degli operai; vide le cariche della polizia e gli arresti in massa; vide l'esistenza nella fame di tante famiglie e fu dalla loro parte. I figli di quella gente lui li aiutava a venire al mondo.
Intanto i suoi interessi letterari si ampliavano: non solo poesia ma anche teatro, critica, racconti, romanzi, saggi e più tardi un'autobiografia. Al centro, l'amore per l'America (In the American GrainNelle vene dell'America — è del 1925) e la ricerca di un innovativo metodo per comporre in versi, fino alla messa a punto di un linguaggio poetico che definì «piede variabile». Dall'imagismo passò al modernismo. Il contemporaneo successo raggiunto con The Waste Land dal futuro naturalizzato inglese Thomas S. Eliot tenne a lungo in ombra il nome di Williams, che non si scoraggiò. Nemmeno a Paterson e a Rutherford, suoi stabili habitat, erano in molti a sapere di questa "altra" attività dedicata alle lettere.
Lavorò per decenni quasi in preparazione della sua opera più importante, Paterson, un ritratto in versi e prosa della città, intesa come rappresentazione dell'Uomo, perché «l'uomo stesso è una città». Diviso in cinque parti — la prima uscirà nel 1946 e l'ultima nel 1958 — il lavoro gli valse un riconoscimento di rilievo nazionale, il National Book Award, preludio al Pulitzer, postumo, del 1963.
Nel 1952 gli era stato offerto un posto di prestigio alla Library of Congress di Washington, offerta che venne immediatamente ritirata per l'accusa (rivelatasi falsa) di essersi iscritto al partito comunista e — in palese controsenso — a causa della sua stretta amicizia con Ezra Pound, per le dichiarate simpatie di questi nei confronti del nazismo.
Nel 1956 la piccola casa editrice di San Francisco appartenente al poeta Lawrence Ferlinghetti, City Lights Books, pubblicava il poema di Allen Ginsberg, Howl, Urlo: «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche, / trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa». La prefazione era firmata da William Carlos Williams. I due poeti si conoscevano da tempo: «Quando lui era più giovane, e io ero più giovane, conoscevo Allen Ginsberg, un giovane poeta che viveva a Paterson, New Jersey, dove — figlio di un ben noto poeta — era nato e cresciuto».
Il vecchio e ormai affermato Williams, un distinto signore dall'aspetto perbene, con gli occhiali e la calvizie incipiente, vestito di grigio in giacca e cravatta, si era incontrato con la nuova generazione dei poeti americani, in particolare con quella Beat, dove militava Ginsberg. Questi «ragazzi» lo consideravano loro «padre spirituale» e lui cercava da sempre nuove idee, nuovi modi d'esprimersi, nuovi fermenti. Williams indicava una strada alternativa all'accademismo di Eliot. Howl, il poema di Ginsberg, scatenò accuse e processi, ma Williams non ne fu toccato. Nella lunga gestazione di Paterson trovò modo di inserirvi lettere di Ginsberg e di Pound, la cartella clinica di un paziente, articoli di giornali, e di insistere su quello che era il suo credo: «Nessuna idea, se non nelle cose». Il linguaggio doveva essere lo stesso in uso tra la gente.
Dal 1948 Williams cominciò ad avere problemi di salute, che più tardi lo renderanno disabile e quasi cieco.
La fedele Flossie leggeva ad alta voce e lui ascoltava e continuava imperterrito a scrivere e a creare (l'ultima parte di Paterson è di quegli ultimi faticosi anni). Venne un altro capolavoro, dall'incipit memorabile: «Dell'asfodelo, quel fiore verdeggiante / come un ranuncolo / sopra il gambo che si dirama - / solo che è verde e legnoso - / vengo, mia dolce, / a cantarti». C'era l'amore e c'era la speranza in qualche cosa al di là della vita.
Morì a 79 anni, il 4 marzo 1963. Il poeta beat Jonathan Williams lo ricorderà così: «Sono contento / che tu sia morto / il mese / in cui viene primavera».

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