Tiziano Vecellio, Venere di Urbino (1538), Firenze, Galleria degli Uffizi |
Melania Mazzucco
"La Repubblica", 14 luglio 2013
Questa donna nuda è felice, potente e irresistibile. Erotica, disponibile, audacissima e però di una purezza perfino sublime. Il fatto che si possano — e si debbano — usare per lei questi aggettivi contraddittori spiega le reazioni incontrollate che ha scatenato fin da quando, nel 1538, il ventiquattrenne Guidobaldo della Rovere signore di Camerino — che forse l’aveva commissionata, o forse no — la vide ancora in lavorazione nello studio del pittore e voleva farsela consegnare, anche se non aveva i soldi per pagarla (dovette chiederli alla madre, fatto che, visto il soggetto del quadro, spiega la sua paura che costei glieli negasse e un altro acquirente più danaroso potesse soffiargliela). Negli spettatori suscitava desiderio, imbarazzo o scandalo. Negli artisti una cupidigia altrettanto violenta: possederla replicandola. È forse il quadro più copiato della storia dell’arte. Fino a oggi i pittori si sono confrontati con lei, offrendone una versione più casta, più astratta, oppure più pornografica. Ma, nonostante i rifacimenti, la nuda di Tiziano è rimasta senza sorelle.
La cosiddetta Venere di Urbino ha però una “madre”. Nel 1510 Giorgione aveva dipinto per un aristocratico veneziano una Venere nuda, dormiente in un paesaggio (la Venere di Dresda).
Quel quadro, incompiuto, lo aveva finito Tiziano stesso. Ventotto anni sono un tempo lunghissimo nella vita di un uomo: da sodale di Giorgione era diventato uno dei pittori più celebri d’Europa. Nel 1538 aveva una cinquantina d’anni. Eppure, tornò al modello dell’amico scomparso: riprese la posizione della figura femminile, ma — apportando delle varianti — mutò completamente il senso del quadro. La Venere di Dresda dorme. Si titilla il pube, ma in sogno forse — o, in un gesto di pudore, per coprirsi. Non sa che la stiamo guardando. La nuda di Tiziano è sveglia. Di più, è consapevole della nostra presenza: ci guarda. Le labbra accennano un sorriso.
Questo quadro ha generato infinite repliche, ma anche fiumi di parole e polemiche secolari. Riassumendo brutalmente, le interpretazioni si dividono in due scuole. Alcuni studiosi — forti della definizione del quadro data dal suo primo acquirente: «la donna nuda», appunto — negano ogni implicazione mitologica, e leggono l’immagine per ciò che essa è: un magnifico nudo contemporaneo. Senza messaggi e implicazioni allegoriche. La modella sarebbe una cortigiana — amica di Tiziano o del giovane della Rovere o di entrambi: la sua identità non conta. La donna reale diventa l’incarnazione della bellezza effimera e però trionfante della carne. Altri, forti della testimonianza di Vasari (che definì il soggetto come una «Venere giovanetta»), vi decifrano implicazioni filosofiche, neoplatoniche, oppure epitalamiche: leggono gli oggetti del quadro come simboli, propedeutici alla sessualità riproduttiva del matrimonio e alla fecondità della sposa. Questo sarebbe un quadro nuziale. Ma la ragione del suo fascino risiede proprio nel fatto che l’immagine non si lascia spogliare della sua ambiguità.
La nuda è distesa su un letto. La pelle lattea è il suo vestito. Unici ornamenti, un braccialetto d’oro tempestato di pietre preziose, un orecchino di perla a forma di pera e un anellino al mignolo. E i capelli biondi: sistemati in una complicata acconciatura che però s’è sciolta, le ricadono sulla spalla. Le lenzuola spiegazzate lasciano affiorare il rivestimento del materasso, un prezioso tessuto rosso a motivi floreali. Poggiata sul braccio destro, la nuda giocherella con un mazzo di rose. Un fiore caduto spicca tra i fiori finti del tessuto, come sollecitasse il paragone tra realtà e finzione artistica. Un paragone evocato in primo luogo da lei. È a grandezza naturale (il quadro è lungo un metro e sessantacinque). Stoffe e carnagione sono dipinti con tale maestria da sembrare vera epidermide e vero broccato. Lei è qui, davanti a te.
La mano sinistra si carezza il pube, con lo scopo apparente di nascondere il pelo, ma in realtà attirando il nostro sguardo proprio su quel triangolo, scurito dall’ombra. Ai piedi di lei è acciambellato un cagnetto da compagnia — l’occhio vispo, come promessa di fedeltà e di vigilanza.
Una linea verticale (il bordo di un rettangolo scuro) divide in due lo spazio, separando la nuda in primo piano dalla stanza sullo sfondo. Il letto però non poggia sul pavimento, non si trova davvero in quella stanza. La prospettiva non è rispettata, e la diminuzione in scala delle figure non è scientifica. La nuda e le donne non esistono nello stesso spazio, non appartengono alla stessa realtà. È stato ipotizzato perfino che lei sia dipinta — sul coperchio interno del cassone in cui rimesta la serva. Una specie di quadro nel quadro. Comunque nella parte destra si svolge una scena di vita quotidiana: le serve trafficano coi suoi vestiti — che nel 1538 le veneziane conservavano in cassoni dipinti o intagliati (solo in seguito si diffuse l’abitudine di lasciarli in forma sui manichini di legno). Una serva, china sul cassone, vi fruga dentro. L’altra, in piedi davanti alle tappezzerie, le tiene sollevato il coperchio col braccio nudo, mentre con noncuranza ospita sulla spalla un elegante abito blu. Sul davanzale di una finestra a bifora campeggia un cespuglio di mirto tosato da un giardiniere, mentre un alberello stormisce alla brezza del tramonto. In questo interno cittadino la natura è tenuta sotto controllo, a distanza.
La natura che trionfa qui è un’altra: il corpo della donna — la bellezza della carne nuda che sigilla ogni mistero. Se gli occhi di lei ti invitano, il centro del quadro è la sua mano sul sesso. Le dita piegate suggeriscono il movimento — e muovono lo sguardo dello spettatore, che viene risucchiato là dove ha inizio ogni cosa. La combinazione degli occhi teneri e maliziosi della nuda col gesto della sua mano raggiunge una perfezione — concettuale, pittorica, emozionale — irripetibile. Tiziano ne fu consapevole. In seguito si specializzò nella raffigurazione di Venere a letto con musicista o di eroine mitologiche nude (come Danae). Ma non ripeté mai questa. Lo sguardo e il gesto sono rimasti unici. Come fosse consapevole di aver colto l’essenza della vita: nessuno può spingersi oltre.
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