Complice l’energia oscura, le altre galassie si allontanano:
non potremo studiare lo spazio come oggi
Rimarremo soli come in un guscio di noce
E gli astronomi rinunceranno a sentirsi come Amleto
John D. Barrow
"La Repubblica", 15 luglio 2013
La nostra collocazione nell’Universo, sopra un pianeta roccioso con tanti pianeti vicini che orbitano tutti intorno a una stella dalle caratteristiche standard, è stata utile sotto diversi aspetti per aiutarci a comprendere l’universo che ci circonda. Il nostro sistema solare contiene numerosi pianeti e per secoli gli astronomi si sono arrovellati per comprendere il loro moto. Se fossimo stati l’unico pianeta a orbitare intorno al Sole, il nostro movimento sarebbe stato estremamente semplice. Grazie agli studi del sistema solare condotti da Keplero, Copernico, Galileo e Newton, è stato possibile dedurre le prime leggi universali della dinamica e della gravitazione. Anche quando, nel 1915, arrivò la teoria della relatività di Einstein a estendere queste leggi, si riteneva che le differenze osservabili fra la descrizione di Newton e quella di Einstein fossero molto piccole, di poche parti su centomila. Fortunatamente, il sistema solare conteneva un piccolo pianeta interno, Mercurio, che con la sua orbita stretta e vacillante consentiva di testare le previsioni di Einstein. L’altra cosa nuova che predisse Einstein — la deflessione dei raggi luminosi provenienti da stelle lontane nel loro passaggio vicino al Sole, prima di arrivare ai nostri telescopi — poteva essere osservata solo durante un’eclissi totale di Sole. Il fenomeno dell’eclissi si verifica a causa di una coincidenza stretta fra le dimensioni apparenti del Sole e della Luna nel cielo. In nessun’altra parte del sistema solare il cielo offre uno spettacolo così prolungato.
Ci sono molte altre caratteristiche locali specifiche che hanno guidato il nostro sviluppo scientifico in determinate direzioni. Per la maggior parte del tempo, i nostri cieli sono relativamente sgombri di nubi, e questo ci consente di osservare il cielo astronomico. Se il tempo fosse perennemente nuvoloso non saremmo stati in grado di compiere le osservazioni dei moti dei pianeti e delle stelle che ci hanno consentito di comprendere la gravità e l’universo astronomico; forse avremmo dedicato più attenzione allo studio della meteorologia. I minerali magnetici presenti nelle rocce hanno facilitato la nostra comprensione del magnetismo e dell’elettricità, e i materiali radioattivi vicini alla superficie hanno condotto alla fisica atomica e nucleare.
Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo costruito gradualmente un’immagine dell’universo in espansione, dove circa il 68 per cento del suo contenuto assume la forma di un’“energia oscura” che accelera questa espansione. Il resto sembra consistere per il 27 per cento di qualche forma di materia oscura simile a neutrini, di cui speriamo di riuscire a scoprire presto la natura grazie agli esperimenti in corso nel Cern, e solo il 5 per cento assume le forme ordinarie di materia di cui noi e le stelle siamo composti.
Il ruolo dominante giocato da questa sfuggente energia oscura ci induce a prevedere un futuro particolare per chiunque cerchi di comprendere l’universo. A causa dell’espansione nel tempo a velocità esponenziale determinata da questa energia, quando l’universo sarà circa sette volte più vecchio di com’è adesso lo studio del medesimo di fatto terminerà. Raggiungeremo un limite assoluto alla distanza a cui saremo in grado di guardare: sarà come vivere dentro un grande buco nero. Tutto nel cielo apparirà sempre più rosso, finché non saremo più capaci di individuare altri fotoni emessi da galassie sempre più lontane. Quando tutte queste altre galassie avranno oltrepassato il nostro limite di visibilità, ci aspetterà un futuro in cui tutto quello che potremo fare sarà osservare la Via Lattea e i suoi vicini più prossimi, avvinti a essa dalla gravità. Gli astronomi non saranno più in grado di vedere l’espansione dell’universo o la presenza di altre galassie oltre alla Via Lattea e alla sua manciata di vicini prossimi. Non vedranno il cielo pieno di galassie e ammassi stellari che vediamo oggi, e non saranno in grado di usare queste galassie e questi ammassi per capire com’era l’universo in un lontanissimo passato. Il loro piccolo universo non sarà in espansione. E purtroppo non saranno nemmeno in grado di capire perché, dato che gli effetti dell’energia oscura nella piccola fetta di universo che rimarrà visibile saranno troppo limitati per essere individuabili, nonostante sia la forma di materia dominante: noi l’abbiamo scoperta solo perché i suoi effetti aumentano man mano che spingiamo più in là lo sguardo, e li vediamo sulle scale astronomiche più grandi.
Notizia ancora più triste per i cosmologi del futuro, le radiazioni termiche dei bollenti inizi dell’universo, di cui il satellite Planck recentemente ha tracciato una mappa dettagliata, non saranno più visibili dalla Terra. I cosmologi non saranno più in grado di studiarle quando l’universo avrà appena 50 volte circa l’età che ha oggi, perché le radiazioni non potranno penetrare il plasma che occupa lo spazio tra le stelle della nostra galassia. In ogni caso, l’espansione dell’universo avrà allungato la loro lunghezza d’onda e ridotto la loro intensità a un punto tale da renderle inosservabili in quanto radiazioni termiche.
Il nostro Sole si sarà espanso e avrà inghiottito i pianeti più interni del sistema solare quando subirà una crisi energetica, fra circa 5,5 miliardi di anni. Se i nostri discendenti riusciranno a sopravvivere a questo cataclisma, o si saranno trasferiti in massa altrove prima che arrivi, potranno portarsi dietro una conoscenza dell’universo che non sarà più accessibile a esseri intelligenti dell’universo che non possono contare su una storia altrettanto lunga. Viviamo in un’epoca della storia cosmica che apparentemente ci offre le chance migliori per comprendere la storia, l’espansione e la maestosa struttura dell’universo. L’universo a disposizione degli astronomi del lontano futuro sarà un universo impoverito. Non potranno vendere la grandiosità dell’espansione, l’eco delle radiazioni del calore iniziale o la parata di ammassi stellari dispiegati nel cielo. Chiusi in un guscio di noce, non potranno più considerarsi, come Amleto, re dello spazio infinito.
John D. Barrow è professore di scienze matematiche all’Università di Cambridge e autore de “Il Libro degli Universi” (Mondadori) (Traduzione di Fabio Galimberti)
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