Massimo Recalcati
"La Repubblica", 21 luglio 2013
La nostalgia è una risorsa o una malattia dell’anima? Dal punto di vista della psicoanalisi la nostalgia non deve essere confusa con la tristezza cronica che affligge la vita del depresso. Nella depressione noi assistiamo a un’alterazione profonda del senso soggettivo del tempo: il passato diventa un incubo che occupa il presente e che risucchia l’avvenire rendendolo impossibile. Per il depresso tutto è già avvenuto, la vita è vita morta, senza futuro, senza speranza, priva di slancio, pietrificata nel passato, divenuta come una stazione ferroviaria, secondo un’immagine efficace proposta da Binswanger, dove non passano più treni.
Diversamente dalla depressione, la nostalgia non rende la vita prigioniera del passato. Quando siamo colpiti dal guardare anche dei semplici oggetti che hanno accompagnato la nostra vita in una stagione passata, o quando ripercorriamo luoghi un tempo frequentati o evochiamo nella memoria immagini di persone che non fanno più parte della nostra vita, siamo presi da un sentimento nostalgico che però, diversamente dall’affetto depressivo, non chiude la porta della vita. La nostalgia ci fa certamente affondare nel passato e da questo punto di vista implica sempre uno sguardo che si rivolge all’indietro. Ma questo sguardo non svuota la vita né del suo presente, né del suo futuro. Mentre per il depresso tutto è già accaduto ed egli resta letteralmente incatenato all’ombra di un passato che sbarra la strada a ogni possibile avvenire, nella nostalgia c’è ancora fame di vita.
Non c’è rifiuto della vita, ma amore insaziabile della vita. Di tutta quella vita che si è sedimentata nelle cose, nei luoghi, nei volti, nei profumi, nei suoni, nelle immagini del nostro passato.
La nostalgia non è una malattia – come forse vorrebbe farci credere il recente DSM V lestissimo a tradurre in forme patologiche tutti gli aspetti non chiaramente performanti della nostra vita – ma una risorsa. È un modo positivo di afferrare il senso della caducità della vita che, come affermava Freud, non rende una rosa meno bella per il solo fatto che è destinata a sfiorire. La nostalgia è questo sentimento della bellezza della vita che sa conservarsi nonostante sia destinato ad essere corrotto dalla caducità fatale del tempo.
Per questa ragione la psicoanalisi associa frequentemente (Melanie Klein, Jacques Lacan) la nostalgia alla sublimazione propria di ogni creazione artistica.
L’artista lavora attorno alla memoria – quella propria e quella del mondo – per aprire all’inedito, al non ancora visto, al non ancora conosciuto. Mentre la vita depressa è vita bloccata dal passato, vita fissata ad un tempo che è per sempre morto, l’azione nostalgica dell’artista – come quella che vibra potentemente nelle celebri bottiglie di Giorgio Morandi – consiste nell’elevare la polvere del tempo alla dignità di un mistero, alla forza di un assoluto. Non si tratta di rimanere incollati passivamente ai nostri ricordi ma di attingere ai ricordi attivamente per fare emergere un nuovo senso della realtà. Le bottiglie di Morandi non sono più allora solo cose, ma indici di un altrove, di una trascendenza che abita il mondo.
È il grande insegnamento che troviamo in Cézanne: «Tutto quello che vediamo dilegua; la natura è sempre la stessa, ma nulla di essa resta. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata, deve farcela gustare eterna». La nostalgia sottrae le cose del mondo dalla loro dissoluzione rendendole per sempre vive, anche se perse in una lontananza che non possiamo ridurre. È quello che realizza forse in modo insuperabile la poetica di Giorgio Morandi, ma che accade più in generale nel miracolo dell’arte:i fiori, le bottiglie, le caffettiere, le teiere, le strade impolverate diventano immagini senza tempo, eterne, presenze silenziose sullo sfondo di una assenza.
È lo stesso paradosso che circonda l’esperienza più comune del lutto. La persona a noi cara non c’è più, è scomparsa, ma prima di poter accettare psichicamente la sua assenza siamo costretti ad un lavoro doloroso della memoria. Ripensiamo a lei, la ricordiamo, percepiamo il vuoto che ha lasciato. Nondimeno al termine di questo lungo e doloroso lavoro, la sua assenza non paralizza più la nostra vita – come invece accade negli stati depressivi che indicano sempre un fallimento del lavoro del lutto – perché siamo riusciti, per così dire, a incorporare l’oggetto perduto,a farlo nostro. La nostalgia sarà allora il sentimento positivo che senza annientare la nostra vita, la manterrà in un contatto invisibile con quella di chi ci ha lasciato.
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