"La Stampa", 12 maggio 2014
Dimenticatevi l’Holden che avete conosciuto. La copertina è sempre quella. Tutta bianca, come voleva Salinger, perché è importante la storia, non l’immagine di facciata. Quanto al testo, invece, facciamocene una ragione (e teniamoci stretta la copia che abbiamo in libreria, diventerà introvabile):
Il giovane Holden non è mai stato così giovane. Praticamente, un esordiente.
Einaudi ha deciso di tradurlo una seconda volta. Aggiornarlo. Con il coraggioso lavoro durato due anni di Matteo Colombo, passato al vaglio di severe approvazioni da parte della famiglia dello scrittore, inizialmente contraria a qualunque intervento sul testo.
Sono passati 63 anni dalla pubblicazione del longseller – era il 1951 – e 53 dalla traduzione che tutti abbiamo conosciuto di Adriana Motti. Per un classico che sembra scritto ieri, saper parlare alle nuove generazioni sul canale giusto è doveroso. Così, Einaudi si è fatta forza. Ha pesato sulla bilancia una perdita di copie importante, con il passare del tempo. E ha deciso di rischiare.
Ha affidato alle mani di Colombo, trentasettenne di Acqui Terme, ora residente a Berlino, faccia temeraria e rassicurante, l’impresa titanica. Niente più «infanzia schifa», o espressioni così. Un libro che è tutto il suo linguaggio, e che negli Anni 60 doveva fare i conti con la censura delle volgarità, oggi può dare spazio perfino alle parolacce. «Perché non ha più senso tradurre goddam con “dannazione” - spiega Colombo -. Holden ha un linguaggio povero, ristretto. Da quindicenne di forti opinioni condanna con disprezzo persone e situazioni che ritiene false. Usa la lingua in modo difensivo. È pieno di contraddizioni. Questo non risultava in tutta la sua pienezza».
Rabbia, disagio di un giovane che si confronta con l’età adulta, eppure un animo sensibilissimo. Che il nuovo traduttore - all’attivo decine di titoli di narrativa americana contemporanea, da Don DeLillo a Palahniuk, dice di aver «tirato fuori meglio di chi mi ha preceduto. Anche se Adriana Motti ha avuto tanti meriti». La traduttrice di mezzo secolo fa non conobbe mai lo scrittore, gli fu vicino con un carteggio. L’Einaudi dovette fare i conti con le proteste accese dello scontroso Salinger. «Ho ritrovato - dice Colombo - due telegrammi, in cui si diceva disgustato e risentito per la sovracopertina del libro. La Motti parlò di questo, in lunghe lettere inviate all’Einaudi, con Calvino, Fruttero, Foa».
Ma quando si inizia la scalata, tornare indietro non si può. «Se sento il peso della responsabilità? Certo, di qui in poi Salinger passerà dalle mie parole. Ma è stato facile. Ho ascoltato il testo originale. Il mio Holden, oggi, è più fedele». Un salto notevole, tra la versione di ieri e quella lanciata da Einaudi al Salone del libro (con un reading a cui hanno partecipato Giuseppe Culicchia, Concita De Gregorio, Diego De Silva, Fabio Geda, Paolo Giordano, Maurizio de Giovanni, Joe Lansdale, Elena Loewenthal, Paola Mastrocola, Michela Murgia e Anna Nadotti), Colombo l’ha compiuto cambiando il tempo verbale con cui il protagonista racconta: «Dal passato remoto al passato prossimo». Osare per osare, perché non aggiornare anche il titolo? «Quello più autentico sarebbe “Il pescatore nella segale”, ma tutti continuerebbero a chiamarlo Il giovane Holden”. Ci sono anche questioni di marketing da considerare».
Ma c’è un trucco, che Colombo ha avuto a disposizione, e la Motti no: «Google. Nell’era di Internet, e della parola che può essere cercata per immagini», tradurre è quasi un altro mestiere che negli Anni 60. «Salinger oggi», modestia a parte, ma neanche troppo, «sarebbe più contento del risultato».
Paola Zanuttini
"Il Venerdì", 2 maggio 2014
Una nuova traduzione restituisce freschezza (e fedeltà all'originale) al romanzo cult di Salinger, e si scopre che la storica versione in italiano s'era presa un po' troppe libertà che, con il tempo, si vedono terribilmente.
Non ci si crede: Il giovane Holden è diventato vecchio. Non esattamente quello che parla inglese, ma il suo alter ego italiano. La gloriosa traduzione di Adriana Motti, con i suoi infanzia schifa, e compagnia bella, palloni gonfiati e bastardi che stanno sul gozzo al protagonista Holden Caulfield e col fischio che gli fanno un favore, risulta un po' datata. Un bel po' datata: 1961. E ai ragazzi non fa più l'effetto di una volta.
Le vendite di questo long seller Einaudi (1,3 milioni in 53 anni) sono in calo; le 38-39 mila copie l'anno del recente passato sono diventate 30 mila. Bisognava fare qualcosa: ritradurre.
La notizia che Einaudi ha ritradotto Il giovane Holden è uno shock per generazioni di ex adolescenti ingrigiti nel ricordo inviolabile del loro romanzo di culto, ma basta riaprirlo, sebbene con tutta la deferenza e la tenerezza del caso, per constatare (amaramente, molto amaramente) che non regge più. Niente invecchia velocemente come lo slang giovanile e oggi il resoconto in italiano dei tre giorni di fuga, sbronze e straniamento del perturbato sedicenne newyorkese slitta nel lessico da centro anziani. D'alta parte Motti, defunta nel 2009, oggi avrebbe novant'anni.
Così al trentasettenne Matteo Colombo, già traduttore di De Lillo, Eggers, Wallace, Chabon, Palahniuk, Sedaris, Egan, Bukowski e compagnia bella, è stato affidato il delicatissimo compito di restituire al romanzo un tono e un linguaggio che non sia stantio, ma neanche impigliato in giovanilismi iperattuali e caduchi per definizione. Insomma: gli hanno chiesto una traduzione capace di durare vent'anni. Con due anni di lavoro, una buona dose di stress finale, ma anche di divertimento, Colombo ha eseguito brillantemente l'incarico più importante della sua carriera, restituendo a Holden la sua giovinezza e una voce pulita che parla a questo tempo. Ma non a questi minuti.
La prima cosa che Colombo ha scoperto leggendo il testo originale (elusivo fin dal titolo The Catcher in the Rye che, letteralmente, suona L'acchiappatore nella segale: da qui, la decisione di chiamarlo Il giovane Holden) è la modernità: «Sembra scritto l'altro ieri e ti fa riflettere su quanto fu dirompente quando uscì in America, nel 1951. Adriana Motti ha fatto un lavoro straordinario per restituire quello shock linguistico: non disponendo degli strumenti che hanno i traduttori di oggi per appurare quanto questo shock corrispondesse alla realtà linguistica quotidiana degli adolescenti, ha inventato una lingua. La differenza più rilevante fra le due traduzioni sta nel fatto che, oltre mezzo secolo dopo, io mi sono potuto permettere una maggiore fedeltà».
Tradurre, tradire: nell'antico dissidio, Colombo si schiera dalla parte della fedeltà e della sparizione totale del traduttore, che secondo lui, meno si vede meglio è. Ma, nella prima rapida stesura, stavolta si è preso più libertà del solito, salvo poi restiturle per ripensamenti suoi o in seguito alle numerose riunioni con lo staff di editor e traduttori Einaudi (coinvolti nell'operazione: Maria Teresa Polidoro, Anna Nadotti, Susanna Basso, Andrea Canobbio e Grazia Giua). «Ma, se non fossi andato così libero e veloce all'inizio, dopo avrei faticato molto di più, perché quella prima stesura ha costituito le basi del lavoro». In quella fase è stata presa una decisione drastica: il past simple inglese è stato tradotto col passato prossimo, via tutti gli andai, finii, dissi, della precedente traduzione, ed è già una boccata di aria fresca.
Hanno resistito due e compagnia bella, marchio di fabbrica della versione Motti che traducevano gli ossessivi and all (ricorrono 222 volte), ma poi sono stati cassati e sostituiti con e via dicendo o e tutto quanto. Poi c'era il problema delle parolacce: Holden impreca parecchio: 156 goddam che non potevano diventare i dannazione o i dannato di un ammiraglio in ritiro. «Ho interpellato Mario Corona, il traduttore di Whitman, per avere il parere di una persona più anziana: mi ha confermato che all'epoca goddam era più forte di come lo percepiamo oggi, quindi abbiamo introdotto un bel po' di cazzo, che nel linguaggio contemporaneo ha lo stesso peso. Poi, nelle stesure successive, qualcuno lo abbiamo levato».
Un'altra parola su cui si è lavorato parecchio è phony (30 ricorrenze): «Motti la traduce in modi diversi: finto, pallone gonfiato, sbruffone, ma per un ragazzo che divide il modo fra bene e male - e tutto quel che è male è phony - serviva una parola unica, quasi ipnotica. Ho pensato a finto, ma non funzionava e ci ho rinunciato, a malincuore, perché è una traduzione precisa e fedele che va bene per le persone e le cose, ma poteva risultare troppo giovanilista. Allora ho scelto ipocrita che comporta una perdita di registro - perché ha un registro più alto - ma fino a un certo punto, dato che è un termine molto usato e non serve un vocabolario tanto vasto per conoscerlo».
Oltre alla gloriosa traduzione Motti per Einaudi, ce n'era stata una del 1952 uscita quasi clandestinamente a un anno dalla pubblicazione del romanzo in America: l'aveva fatta Jacopo Darca per l'editore Casini che scelse l'infelice titolo Vita da uomo: un flop dimenticato. Ma, alla Biblioteca Sormani di Milano, Colombo si è procurato una copia sbricolata di quella traduzione per fare i suoi confronti: forse era più fedele di quella Motti. Questo per dire che avvicinandosi a un cult da 65 milioni di copie conviene prendere ogni cautela. Anche perché Il giovane Holden è comunque un caso a parte: «Presenta una gamma di difficoltà abbastanza unica. Le lingue degli scrittori su cui ho lavorato negli ultimi quindici anni sono tutte uguali e con DeLillo o Egan i problemi sono riconducibili a una serie di macrogruppi, invece Holden è un ecosistema separato. Nell'approccio a un romanzo in cui non succede quasi niente, perché è fatto tutto di lingua, abbiamo tenuto presente il suo modo di usare il linguaggio come strumento di difesa. È tutto estremamente psicologico».
Ma perché le traduzioni invecchiano e i romanzi meno? «Non è sempre vero, anche i romanzi sentono gli anni. Ma le lingue sono organismi autonomi, la loro evoluzione è determinata da fattori così ampi e specifici dei Paese in cui sono parlate che i binari non viaggiano in parallelo ma in base a quel che succede nella cultura, nella politica e storia di ogni Paese, per ogni parola le divergenze sono incontrollabili. Holden è più soggetto all'invecchiamento perché è espressionista nella lingua, la lingua specifica di una precisa età anagrafica che si evolve molto più rapidamente».
If you really want to hear about it, the first thing you'll probably want to know is where I was born, and what my lousy childhood was like, and how my parents were occupied and all before they had me, and all that David Copperfield kind of crap, but I don't feel like going into it, if you want know the truth. In the first place, that stuff bores me, and in the second place, my parents would have about two hemorrhages apiece if I told anything pretty personal about them. They're quite touchy about anything like that, especially my father. They're nice and all - I'm not saying that - but they're also touchy as hell. Besides, I'm not going to tell you my whole goddam autobiography or anything.
Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio d'infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto. Sono tremendamente suscettibili su queste cose, soprattutto mio padre. Carini e tutto quanto - chi lo nega - ma anche maledettamente suscettibili. D'altronde, non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella.
(Traduzione: Adriana Motti)
Besides, I'm not going to tell you my whole goddamn autobiography or anything. I'll just tell you about this madman stuff that happened to me around last Christmas just before I got pretty run-down and had to come out here and take it easy. I mean that's all I told D.B. about, and he's my brother and all. He's in Hollywood. That isn't too far from this crumby place, and he comes over and visits me practically every week end. He's going to drive me home when I go home next month maybe. He just got a Jaguar. One of those little English jobs that can do around two hundred miles an hour. It cost him damn near four thousand bucks. He's got a lot of dough, now. He didn't use to. He used to be just a regular writer, when he was home.