Musée du conservatoire national des arts et métiers: il laboratorio di Lavoisier |
Ecco come nel corso della storia
gli artisti sono stati considerati non più artigiani ma detentori del sapere
Jean Clair, "La Repubblica", 11 luglio 2015
Pubblichiamo l’intervento che Jean Clair terrà alla Milanesiana, il festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi. L’incontro si inserisce nel ciclo “Ossessioni /arte e scienza” in collaborazione con Intesa Sanpaolo.
La mia prima emozione che potessi qualificare come artistica la provai in un museo scientifico: al Conservatoire des Arts et Métiers di Parigi, davanti ai piccoli strumenti di vetro e di rame che Lavoisier utilizzava nel suo laboratorio. Si trattava di arte? Il nome del Museo lo assicurava: Conservatorio delle Arti e dei Mestieri. Ora non si chiama più così, ma è intitolato “Museo delle tecniche”. Solo più tardi ho ritrovato lo stesso piacere in un museo detto “delle Belle Arti”, mi pare fosse davanti alla Vergine del Cancelliere Rolin, al Louvre, la cui precisione ottica mi incantava.
E solo più tardi ancora compresi che gli oggetti della scienza erano a volte delle opere d’arte, e che le opere d’arte erano spesso oggetti scientifici. L’estetica a volte poteva essere un’euristica.
La più bella dimostrazione di questa equazione l’ha fatta Claude Lévi-Strauss, a proposito di un ritratto di dama di Cluet di cui ammirava la “collerette”.
L’emozione profonda, ci dice, che suscita la riproduzione del collo di merletto, filo per filo, con un effetto di trompe- l’oeil scrupoloso, è la stessa che produce il modellino a scala ridotta, il capolavoro dell’artigiano, che è il prototipo dell’opera d’arte.
Entrambi, per effetto della riduzione, procedono per una sorta di inversione del processo della conoscenza: per conoscere un oggetto, abbiamo tendenza a operare a partire delle sue componenti. La riduzione della scala capovolge la situazione; più piccola, la totalità dell’oggetto appare meno temibile. La virtù intrinseca del modello è di compensare la rinuncia alle dimensioni sensibili attraverso l’acquisizione di dimensioni intellegibili.
La scienza che lavora a scala reale, che rimpiazza un essere con un altro, l’effetto con la causa, è dell’ordine della metonimia, mentre l’arte che lavora a scala ridotta producendo un’immagine omologa all’oggetto rientra nel campo della metafora.
Ars, in latino, ci parla di abilità: è un talento particolare acquisito attraverso lo studio e la pratica (diciamo: “possedere l’arte di...”); una conoscenza legata a un mestiere, un’esperienza del corpo che permette la precisione e l’economia dei gesti, un’attitudine appresa che si schiude all’eleganza, allo charme, alla grazia (diciamo: “fare con arte”). Ars è nel contempo la “maniera” dell’artista e il marchio dell’artigiano. Nel linguaggio popolare, l’”homme de l’art”, l’uomo dell’arte, è l’uomo del mestiere. Questa qualità può limitarsi a una parte del corpo, una particolare abilità manuale, un gesto, un’attitudine, per esempio il portamento del ballerino, o la voce posata del cantante o dell’oratore - l’actio nella retorica... Si parlerà anche della “mano intelligente” dell’architetto, quella sua arte particolare che unisce competenze manuali e intelligenza concettuale.
Da questo punto di vista, l’arte, ars, si oppone alla natura, come l’artificio si oppone al naturale. Ma si oppone anche all’ingenium, che non è il genio, bensì l’inclinazione spontanea, la disposizione propria della sensibilità. L’ars è acquisita, l’ingenium è innato. L’ ingenium è la capacità naturale dello spirito a produrre, una potenza generativa che è allo stesso tempo predisposizione nativa e invenzione. Vicino a quella che Lévi-Strauss descriveva con il termine di “bricolage”, l’ingenium è quell’attitudine dello spirito umano a riunire dati eterogenei per produrre qualcosa di nuovo. Oltrepassa i limiti della semplice ragione, è appunto quell’eccesso che somiglia a un dono, al’invenzione ingenua, al tratto di genio.
Ars si oppone infine alla scientia, che è un sapere essenzialmente linguistico e verbale, un’informazione, una conoscenza, o l’insieme delle conoscenze acquisite su un soggetto. Cicerone oppone i due termini di ars e scientia quando parla di “ artem scientia tenere ”, possedere un’arte in teoria.
Scientia, la conoscenza astratta e generale, non è il sapere concreto e singolare che si incarna in un gesto, in un “tour de main”, quel linguaggio del corpo che Aristotele chiamava giustamente tekhné: «I Greci, ricorda Ernst Gombrich, avevano un solo termine e un solo concetto per l’arte e per l’abilità: tekhné » - la storia dell’arte, per definizione, era la storia delle tecniche.
Se consideriamo le lingue germaniche, ritroviamo più o meno le stesse opposizioni.
Kunst, l’arte, deriva dall’alto tedesco können, che ci parla di una disposizione intermedia tra la conoscenza e la competenza, tra il sapere e l’abilità. In ogni caso nulla di comparabile alla pretenzione che oggi dissimuliamo sotto il termine di “arte”.
Können ha la stessa origine del gotico kann , dell’antico inglese can, nel senso di un potere radicato in un sapere.
Notiamo en passant che können non va confuso, nonostante l’omofonia, con kennen, che significa conoscere, essere al corrente, come to know in inglese: è questo il campo della conoscenza, del knowledge, della scientia.
Già all’origine quindi troviamo nel termine “arte” un’ambivalenza, un’oscillazione tra un savoir faire che rileva di un apprendimento e di una conoscenza, dell’ordine del codificabile e del trasmissibile, e d’altra parte una qualità eccezionale, una tendenza particolare di un individuo, uno slancio dell’essere, una disposizione singolare dei suoi organi, delle sue cellule, che gli permetterebbe di esercitare un potere di cui gli altri non dispongono, nonostante abbiano le stesse conoscenze. Ma i due aspetti sono legati: non ci può essere pouvoir-faire senza savoir-faire, né savoir- faire senza vouloir-faire.
Malkunst, nel sedicesimo secolo, è l’arte di dipingere, e cioè quell’insieme complesso di ricette e di conoscenze che permettono all’artigiano di esercitare il suo mestiere. Ma oltre alla chimica che gli permette di preparare i colori, quest’arte complessa riunisce ben altre competenze: la matematica e la fisica che permettono di fondarsi sulla prospettiva come scienza esatta, e di disporre correttamente i corpi nello spazio; l’anatomia, insegnata nei teatri di Padova, di Bologna, di Londra, di Vienna; la fisiologia, ossia lo studio del funzionamento dei tessuti, delle carnagioni, degli organi; l’ottica, la dioptrica e la catoptrica, che permettono di progredire nella scienza dei colori, delle rifrazioni, dei riflessi, delle trasparenze; e anche un po’ di zoologia che permette di distinguere e di tagliare correttamente i calami per disegnare e i peli animali di cui son fatti i pennelli, di martora per esempio... tutto un insieme di conoscenze e di ricette che hanno permesso all’arte della pittura di passare dallo statuto di ars mecanica a quello delle artes liberales, e all’artista, di non essere semplicemente un abile artigiano ma un letterato, un sapiente, un polymathes, un polytechnes.
© Jean Clair 2015