martedì 22 gennaio 2013

Prove tecniche di teletrasporto


Piero Bianucci


"La Stampa", 21 gennaio 2013

TELETRASPORTARE UNA PERSONA 
richiederebbe un tempo 100 volte più lungo di quello trascorso dal Big Bang a oggi

Un sogno da fantascienza, anticipato da Primo Levi, al centro di un libro del fisico Anton Zeilinger: per ora è realizzabile solo in minima parte, in futuro chissà Il fisico austriaco Anton Zeilinger, 67 anni, con il dispositivo laser che usa negli esperimenti di teletrasporto quantistico
La radio teletrasporta i suoni, la tv le immagini. Un apparecchio che teletrasporti cose e persone esiste solo nei film di Star Trek. Non mancano però prove tecniche di teletrasporto. Per ora ci si accontenta di teletrasportare le proprietà della luce (cioè dei fotoni che la costituiscono), in futuro chissà. Già oggi queste ricerche hanno applicazioni che ci riguardano da vicino: possono rendere più sicuri i pagamenti via Internet, darci supercomputer, tutelare la privacy.
Mago di questi esperimenti è il fisico austriaco Anton Zeilinger. Nel 2004 con un laser a fibra ottica è riuscito a teletrasportare le proprietà di alcuni fotoni per 600 metri scavalcando il Danubio attraverso un sottopassaggio dove passano le fogne di
Vienna. Professore all’Università di Vienna, 67 anni, potenziale premio Nobel, Zeilinger sa anche scrivere buona divulgazione. La danza dei fotoni. Da Einstein al teletrasporto quantistico è il suo ultimo libro (Codice Edizioni, pp. 325).
Stiamo parlando di un testo di fisica: chiaro, scorrevole, persino divertente, ma pur sempre adatto a un pubblico con solide conoscenze scientifiche. La cosa curiosa è che alcune intuizioni del teletrasporto hanno nobili radici letterarie che risalgono agli anni 60 del secolo scorso.
Dopo i grandi libri di testimonianza Se questo è un uomo e La tregua, nel 1966 Primo Levi esordì come narratore puro sotto lo pseudonimo Damiano Malabaila con Storie naturali, una raccolta di 15 racconti. A prima vista sembra un libro di fantascienza. In realtà è molto di più. Il pretesto dei racconti è di solito una trovata tecnologica avveniristica. Ma Primo Levi dà il pretesto per scontato e la fantascienza si ferma lì. Ciò che gli interessa è costruire storie filosofiche e mostrare l’ambiguità di certi progressi tecnologici. Il tutto esercitando il suo speciale umorismo, tanto più efficace quanto più è dissimulato.
Alcune applicazioni del Mimete è una di queste «storie naturali»: nelle sue pagine si prefigura, sia pure indirettamente e su scala locale, nel chiuso di una stanza, un teletrasporto, e più ancora un problema filosofico a esso collegato. Che cosa sia il «Mimete» Primo Levi lo spiega nel racconto precedente: è una macchina per duplicare oggetti, una specie di fotocopiatrice tridimensionale. La duplicazione avviene dentro una scatola sigillata attingendo i materiali necessari da un «pabulum», letteralmente «pascolo», «cibo», «nutrimento», una sostanza informe che contiene tutte le sostanze esistenti o anche solo possibili.
Gilberto si procura un Mimete di grandi dimensioni e lo usa per duplicare sua moglie Emma. L’operazione riesce perfettamente. Le due donne sono indistinguibili, al punto che Gilberto per non sbagliarsi deve contrassegnare Emma II con un nastro bianco tra i capelli «che le conferiva un aspetto vagamente monacale». Ma, benché identiche, con il passare dei giorni originale e fotocopia un po’ per volta incominciano a differenziarsi, a divergere. Per esempio Emma II si busca un raffreddore. Il guaio è che Gilberto a poco a poco si allontana da Emma I per affezionarsi a Emma II. Come è facile capire, la questione si fa seria. Gilberto però ne esce con un colpo di genio: duplica se stesso, dà come compagno a Emma I la propria fotocopia e lui si unisce felicemente a Emma II.
Quasi mezzo secolo fa questo racconto di Primo Levi sollevava uno dei problemi del teletrasporto: non basta riprodurre a distanza un oggetto (o se volete una persona: tanto fantasticare è gratuito). Perché non si tratti di semplice (semplice?) duplicazione ma di teletrasporto autentico, non deve rimanere traccia dell’originale. Il nuovo originale – paradossalmente – sarà la copia, perché le particelle elementari sono tutte identiche e il teletrasporto non presuppone lo spostamento a distanza di materia, ma soltanto delle informazioni necessarie per assemblare altra materia nel luogo di arrivo. Materia che sarà un insieme di particelle corrispondente al «pabulum» informe immaginato da Primo Levi.
Torniamo a Zeilinger: il suo libro ci spiega come il teletrasporto – anticipato in modo sottile da Primo Levi e più grossolano da Gene Roddenberry, ideatore di Star Trek – sia scientificamente possibile. Il segreto sta nel fenomeno quantistico dell’«entanglement», che possiamo tradurre «intreccio» o correlazione tra particelle, anche lontane tra loro. Tralasciando i particolari tecnici, succede che in determinate condizioni è possibile generare particelle (fotoni, elettroni, protoni o anche nuclei atomici) che condividono una stessa proprietà (per esempio la polarizzazione o lo spin) in modo correlato. È questa proprietà l’«informazione» che caratterizza la particella, e che viene teletrasportata istantaneamente a distanza. Se poi la polarizzazione o lo spin vi sembrano proprietà troppo esotiche, vi sbagliate. Possiamo paragonare lo spin a una rotazione della particella e la polarizzazione si applica negli occhiali da sole: i fotoni che costituiscono la luce vibrano in tutte le direzioni, ma il rivestimento delle lenti lascia passare soltanto i fotoni che vibrano in una direzione precisa.
Quante informazioni servirebbero per riprodurre una persona come ha immaginato Primo Levi? Il calcolo è scoraggiante. Poiché siamo costituiti da 10 alla 28 atomi, ognuno dei quali per essere descritto richiede un centinaio di bit, bisognerebbe rilevare, memorizzare e riprodurre 10 alla 30 bit. Per elaborarli, il più potente calcolatore attuale impiegherebbe un tempo 100 volte più lungo di quello trascorso dal Big Bang a oggi. No, non c’è speranza per il teletrasporto su scala macroscopica alla Primo Levi o alla Star Trek, e quindi non dobbiamo preoccuparci di eventuali duplicazioni. Avremo invece calcolatori quantistici ultrapotenti e tecniche per criptare messaggi, compreso il numero della carta di credito. Non è poco.

PRIMO LEVI, Storie naturali, 1966

Il Mimete, insieme con 50 libbre di pabulum, mi fu consegnato due mesi dopo. Natale era vicino; la mia famiglia era in montagna, ero rimasto solo in città, e mi dedicai intensamente allo studio e al lavoro. Per cominciare, mi lessi più volte con attenzione le istruzioni di impiego, fino a saperle quasi a memoria; poi presi il primo oggetto che mi cadde sotto mano (era un comune dado da gioco) e mi accinsi a riprodurlo. 
Lo misi nella cella, aprii la valvolina tarata del pabulum, e mi posi in attesa. Si sentiva un leggero ronzio, e dal tubo di scarico della cella di riproduzione usciva un debole getto gassoso: aveva un curioso odore, simile a quello dei neonati poco puliti. Dopo un'ora, aprii la cella: conteneva un dado esattamente identico al modello, sia nella forma, sia nel colore, sia nel peso. Era tiepido, ma acquistò in breve la temperatura ambiente. 
(...) Il quarto giorno duplicai alcuni fagioli e piselli freschi e un bulbo di tulipano, dei quali mi ripromettevo di controllare il potere germinativo. Duplicai inoltre un etto di formaggio, una salsiccia, una pagnotta e una pera, e consumai il tutto per colazione senza percepire alcuna differenza dai rispettivi originali. 
(...) Il quinto giorno andai in soffitta, e cercai finché trovai un ragno vivo. (...) Poi lo introdussi nel Mimete; dopo un'ora ne ottenni una replica impeccabile. 
(...) Il sesto giorno smurai pietra per pietra il muretto del giardino, e trovai una lucertola in letargo. Il suo doppio era esteriormente normale, ma quando lo riportai a temperatura ambientale notai che si muoveva con grande difficoltà. Morì in poche ore, e potei constatare che il suo scheletro era assi debole: in specie le ossa lunghe delle zampette erano flessibili come la gomma. 
Il settimo giorno mi riposai. Telefonai al signor Simpson, e lo pregai di venire da me senza indugio: gli raccontai le esperienze che avevo eseguito (non quella dei diamanti, naturalmente), e, col tono e col viso più disinvolto che riuscii ad esibire, gli feci alcune domande e proposte.

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