"80 anni fa gli studenti tedeschi bruciarono 25.000 volumi di libri "non tedeschi", e già da qualche giorno abbiamo chiesto ai nostri ascoltatori quale libro adottare per ricordare quanto successo, perché «là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini», come scrisse Heinrich Heine, anch'egli fra i bruciati".
Scilicet illo igne ... conscientiam generis humani aboleri arbitrabantur…
Isaac Babel – L’armata a Cavallo
Michail Bakunin - Dio e lo stato
August Bebel – La donna e il socialismo
Walter Benjamin
Ernst Bloch – Tracce
Albert Einstein . – La teoria della relatività
Ernest Hemingway – Addio alle armi
Bertold Brecht – tutte le opere prima del 33
Max Brod - L'ultima esperienza di Tycho Brahe
Sigmund Freud – L’interpretazione dei sogni e tutti i lavori pubblicati
Andre Gide - Viaggio in Congo
George Grosz
Franz Kafka, Durante la costruzione della muraglia cinese
Hans Kelsen
Siegfreid Kracauer
Vladimir Ilic Lenin - L'estremismo, malattia infantile del comunismo
Alexander Lernet-Holenia, Ero Jack Mortimer
Theodor Lessing – L’odio di sé ebraico
Karl Liebknecht
Karl Kraus - Gli ultimi giorni dell'umanità
John Dos Passos
Jack London – Martin Eden, Il tallone di ferro, Il vagabondo delle stelle
Gyorgy Lukacs - Storia e coscienza di classe, Studi sulla dialettica marxista
Andre Malraux
Heinrich Mann, Novelle
Klaus Mann, La pia danza
Thomas Mann, Della Repubblica tedesca
Karl Marx
Gustav Meyrink (Gustav Meyer) – Il Golem,
Ferenc Molnár – Liliom
Robert Musil
Pietro Nenni – Sei anni di guerra civile in Italia
Francesco Saverio Nitti – Bolscevismo, Fascismo e Democrazia
Leo Perutz
Erwin Piscator – Il teatro politico
Marcel Proust
Wilhelm Reich - Psicologia di massa del fascismo
Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale
Joseph Roth, Giobbe, Ebrei Erranti
Nelly Sachs
Arthur Schnitzler, Verso la libertà
Bruno Schultz
Ignazio Silone, Fonte Amara
Georg Simmel – Kant e Goethe
Rudolf Steiner
Bruno Taven, Il governo
Frank Wedekind, Lo spirito della terra
H.G. Wells – Breve storia del mondo,
Emile Zola
Upton Sinclair
Maksim Gor'kij – La spia, Storia di un uomo inutile
Jaroslav Hašek - Il buon soldato Sc'vèik.
Stefan Zweig, La lotta col demone (Hölderlin, Kleist, Nietzsche)
Illuminations-edu
adotta
Emile Zola
«Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alle persone che accuso, non le conosco, non le ho mai viste, e non nutro contro di esse né rancore né odio. Per me sono soltanto entità e spiriti di malvagità sociale. E l’atto che compio oggi non è che un mezzo rivoluzionario per sollecitare l’esplosione della verità e della giustizia. Non ho che una passione, quella della chiarezza, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto ad essere felice».
J'accuse, 1898
"Il Manifesto", 11/05/2003
Elfriede Bruning
Una testimonianza della scrittrice Elfriede Brüning che, allora ventiduenne, assistette al rogo della letteratura «antitedesca»
Nel 1933, tra marzo e luglio, i nazisti inscenarono in una cinquantina di città roghi di libri. A Berlino il rogo «centrale» avvenne il 10 maggio. Ne fu testimone anche Elfriede Brüning, allora 22enne, giornalista comunista che lavorava ancora al suo primo romanzo. La scrittrice, che ha ora 92 anni, era ieri all'Opera, accanto alla piazza del rogo che ora si chiama Bebelplatz, per leggere un suo racconto su quella notte. Qui ne pubblichiamo in parte il testo. La Lesung di Elfriede Brüning ha concluso la «festa della letteratura», che ieri ha animato il viale Unter den Linden dalle 10 alle 22. Su un'interminabile stricia di carta i bambini hanno scritto «la storia più lunga del mondo», mentre in monti punti del viale si leggevano brani degli autori messi al bando dai nazisti. Letture pubbliche anche sulla Bebelplatz, dove un'installazione di Micha Ullman ricorda dal 1995 il rogo dei libri: attraverso una lastra di vetro al livello del selciato si vede nel sottosuolo un vano quadrato inaccessibile, con le pareti coperte da librerie vuote. (
Sono passati settant'anni da allora, il tempo d'una vita. Eppure ho davanti agli occhi le immagini di quel giorno funesto, come se fosse ieri. Ero andata anch'io sull'Opernplatz di Berlino, non per il gusto del sensazionale, tantomeno con l'entusiasmo dei tanti curiosi intorno a me, venuti per assistere all'orrendo spettacolo. Già da giorni la stampa aveva annunciato che oggi, 10 maggio 1933, ci sarebbe stato un grande rogo di libri, a conclusione della campagna propagandistica «contro lo spirito antitedesco» organizzata dall'associazione degli studenti. Manifestazioni analoghe erano state indette in tutte le città universitarie. A Berlino la polizia e le SA (Sturmabteilung, la milizia del partito) avevano chiuso preventivamente l'accesso alla piazza di fronte alla Humboldt-Universität. Ma adesso la folla poté oltrepassare i cordoni, spingersi avanti fino alla catasta di legna che si ergeva in un riquadro al centro della piazza, illuminato a giorno dai riflettori. Quanti non riuscirono a conquistare un posto in prima fila si aggrapparono alle sbarre che proteggevano le finestre dei palazzi adiacenti, un po' appesi alle inferriate, un po' seduti sui davanzali.
Una gigantesca croce uncinata decorava la tribuna su cui si susseguivano giovanotti, studenti, tutti in uniforme delle SA. Gettavano nelle fiamme pile di libri, presi da carri che ne portavano sempre di nuovi, pronunciando invettive. «Contro il decadentismo e la corruzione dei costumi», declamava uno che teneva in mano libri di Heinrich Mann e Erich Kästner; «Contro il giornalismo antinazionale, di impronta democratico-giudaica», strillava un altro all'indirizzo di autori come Georg Bernhard e Theodor Wolff.
A un tratto i ragazzotti si fecero da parte per far posto a un ometto esile, Josef Goebbels, il ministro della propaganda in persona, appena sbarcato da un'auto sopraggiunta a gran carriera. Era lui adesso a strillare sulla folla, con la voce che minacciava di rovesciarsi in falsetto: «Getto alle fiamme i libri degli ebrei e degli istigatori del popolo, di Heine, Brecht e Feuchtwanger, di Thomas e Heinrich Mann...», finché la sua voce non fu sopraffatta dalle urla della massa inneggiante.
Mi sentivo persa in quel bailamme, come se un'ondata mi stesse sommergendo: solo a fatica riuscivo a resisterle, in piedi. Le fiamme del rogo salivano sempre più alte. Larghi fasci di scintille serpeggiavano su per il cielo. Dense nubi di fumo coprivano la piazza, avvolgendomi e togliendomi il respiro. La banda musicale delle SA intonò «Popolo, alle armi» (Volk ans Gewehr), e tutti quelli che mi attorniavano si unirono al coro, con voce tonante. Che ci facevo là in mezzo? mi chiedevo disperata. Perché stavo lì?
Eppure sapevo che dovevo restare. Ero andata per un motivo preciso. Speravo che anche altri dei nostri fossero venuti, per essere testimoni di questo oltraggio alla cultura, su cui dovevamo cercare di informare la stampa estera. «Noi» eravamo un gruppo di giovani autori, tutti all'inizio della loro pratica letteraria. Facevamo parte della «Lega degli scrittori proletari rivoluzionari», cui appartenevano autori già celebri come Johannes R. Becher, Anna Seghers, Bert Brecht e Ludwig Renn. A febbraio, quando volevamo incontrarci ancora una volta alla Enckestrasse, il nostro luogo di riunione, trovammo l'edificio occupato dalle SA e dovemmo disperderci in fretta per non essere arrestati, perché la «Lega» era stata vietata subito dopo l'avvento al potere di Hitler. Il 27 febbraio c'era stato l'incendio del Reichstag. Da allora si era scatenato l'inferno. I nazisti, che verosimilmente lo avevano appiccato, accusarono dell'incendio i comunisti. Un comodo pretesto per scatenare la caccia a tutti i comunisti, socialdemocratici, pacifisti, perfino ai testimoni di Jehova. A migliaia vennero strappati dai loro letti, trascinati nelle famigerate caserme delle SA e sottoposti a brutali sevizie (...).
Oggi, quel 10 maggio 1933, noi antifascisti eravamo ancora sotto lo choc dei terribili eventi delle settimane precedenti. Tanti di noi erano già stati arrestati: tra loro Ludwig Renn, Carl von Ossietzky, l'anarchico Erich Mühsam, Hermann Duncker, il noto studioso marxista Klaus Neukrantz, Kurt Kleber e Egon Erwin Kisch. Quest'ultimo i nazisti dovettero tuttavia rilasciarlo, in seguito alle proteste cèche; fu espulso verso la Cecoslovacchia. Chi ne aveva la possibilità aveva cercato di passare il confine per mettersi in salvo. A Praga si erano già rifugiati Johannes R. Becher, Anna Seghers e Wieland Herzfelde.
A casa di Hans Schwalm, che coordinava il nostro gruppo, si erano susseguite diverse perquisizioni. Schwalm evitava la sua abitazione e si teneva nascosto, dopo aver distrutto tutte le carte compromettenti, portroppo anche le liste degli iscritti. Da allora avevamo perso i contatti, ci sentivamo orfani, lasciati ognuno a se stesso. Non conoscevo gli indirizzi dei miei amici. Come rintracciarli se non per un incontro fortuito, magari in occasione dello spettacolo di quel giorno?
Il rito si avvicinava alla conclusione. La banda taceva, anche il crepitìo delle fiamme s'era attenuato. Dai quattro lati della piazza vennero avanti carri dei pompieri. Scesero tirandosi dietro i tubi degli idranti, per spegnere gli ultimi bagliori. Stavo cercando di farmi largo verso il viale Unter den Linden, sbracciandomi per tagliare la folla davanti a me, quando sentii una pressione sul braccio. Hans! «Ci sono anche gli altri», mi sussurrò. «Non li hai visti?» Seguendo i suoi sguardi, li scoprii anch'io: laggiù Herta, la bibliotecaria, col suo vestito azzurro, tre file dietro a lei Walter, facilmente riconoscibile coi suoi ricci; alle sue spalle riconobbi Hans Eckel, il nostro poeta, che arrotondava come lavavetri il miserabile sussidio di disoccupazione; c'erano anche Werner Ilberg e molti altri. Come attratti da un magnete erano tutti venuti per lo stesso mio motivo: ritrovarsi in questo orribile momento. Perché tutti noi, che avevamo pubblicato poco e perciò non apparivamo pericolosi agli occhi dei nazisti, eravamo decisi a restare in Germania per continuare a scrivere, nonostante la messa al bando della nostra Lega: racconti, commenti, satire sulla vita nel Terzo Reich. Testi che tuttavia avremmo potuto pubblicare solo all'estero.
Hans riuscì a passar parola: «Domenica alle 10, alla stazione Heerstrasse della ferrovia urbana. Portate qualcosa da mangiare, e magari il costume da bagno». Così la domenica seguente andammo in gita sull'Havel, e ci accampammo sulla riva come innocui «amici della natura». Fu il nostro ultimo incontro in grande stile. A noi si era unita - senza che ne avessimo alcun sospetto - una spia, che più tardi ci tradì alla Gestapo (...).
Col senno del poi, mi sembra che la sciagura inimmaginabile che il «Reich millenario» avrebbe portato con sé ebbe il suo inizio quel 10 maggio 1933. Penso a Heinrich Heine. «E' stato solo un preludio», scrisse l'allora ventenne, commentando il rogo di libri inscenato nel 1817 alla Wartburg dagli studenti delle corporazioni patriottiche, decisi a eliminare scritti a loro avviso estranei alla «cultura germanica». Heine aveva aggiunto: «Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini». Toccò ai nazisti, col loro delirio razzista, realizzare la triste profezia di Heine.
(Traduzione di Guido Ambrosino)
Giovanni Villari
Bertold Brecht, Die Bücherverbrennung
ls das Regime befahl, Bücher mit schädlichem Wissen
Öffentlich zu verbrennen, und allenthalben
Ochsen gezwungen wurden. Karren mit Büchern
Zu den Scheiterhaufen zu ziehen, entdeckte
Ein verjagter Dichter, einer der besten, die Liste der
Verbrannten studierend, entsetzt, daß seine
Bücher vergessen waren. Er eilte zum Schreibtisch
Zornbeflügelt, und schrieb einen Brief an die Machthaber.
Verbrennt mich! schrieb er mit fliegender Feder, verbrennt mich!
Tut mir das nicht an! Laßt mich nicht übrig! Habe ich nicht
Immer die Wahrheit berichtet in meinen Büchern? Und jetzt
Werd ich von euch wie ein Lügner behandelt! Ich befehle euch:
Verbrennt mich!
Il video (dal sito del Museo Storico Tedesco di Berlino)
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