Il genio che rovesciò il senso dell’armonia
L’importanza del compositore nella storia della musica
è nella sua natura rivoluzionaria
Era un libero pensatore che invita chi lo esegue a spingersi fin sull’orlo del precipizio
Daniel Barenboim
"La Repubblica", 25 maggio 2013
È sempre interessante, talvolta perfino importante, conoscere a fondo la vita di un compo-sitore, ma non è essenziale per comprenderne le opere. Nel caso di Beethoven, non bisogna dimenticarsi che nel 1802, l’anno in cui contemplava il suicidio – come scrisse in una lettera mai spedita ai suoi fratelli, che è diventata nota come il «Testamento di Heiligenstadt» – compose anche la Seconda sinfonia, una delle sue opere più ottimiste e positive: è la dimostrazione di quanto sia importante separare la sua musica dalla sua storia personale, senza confonderle in una cosa sola.
Non cercherò quindi di realizzare un accurato studio psicologico dell’uomo Beethoven attraverso un’analisi delle sue opere o viceversa. Questo articolo si concentrerà sulla musica, pur nella consapevolezza che è impossibile spiegare la natura del messaggio musicale attraverso le parole. La musica ha significati diversi per persone diverse, a volte significa addirittura cose diverse per la stessa persona in diversi momenti della sua vita. La musica può essere poetica, filosofica, sensuale o matematica, ma in qualsiasi caso, a mio parere, ha a che fare con l’anima dell’essere umano. È metafisica, dunque, ma il mezzo di espressione – il suono – è puramente ed esclusivamente fisico. proprio questa coesistenza permanente fra messaggio metafisico e mezzi fisici costituisce secondo me la forza della musica. Ed è anche il motivo per cui, quando cerchiamo di descrivere questa forma d’arte con le parole, tutto quello che riusciamo a fare è esprimere le nostre reazioni alla musica, e non afferrare la musica stessa.
L’importanza di Beethoven nella storia della musica è data principalmente dalla natura rivoluzionaria delle sue composizioni. Beethoven liberò la musica dalle convenzioni dell’armonia e della struttura, fino a quel momento predominanti. A tratti, nelle sue ultime opere, avverto la volontà di rompere ogni segno di continuità: la musica è brusca e apparentemente sconnessa, come nell’ultima sonata per pianoforte (Op. 111).
Nell’espressione musicale, Beethoven non si sentiva vincolato dal peso delle convenzioni. Secondo tutte le fonti era un libero pensatore, un uomo di coraggio, e a mio parere il coraggio è una qualità essenziale per comprendere, e ancora di più per eseguire, le sue opere.
Diventa anzi un requisito indispensabile per chi esegue Beethoven. Le sue composizioni impongono all’esecutore di dar prova di coraggio, per esempio nell’uso della dinamica. L’abitudine di Beethoven di incrementare il volume con un crescendo intenso, facendo seguire bruscamente un passaggio più morbido, un «subito piano», era molto rara nei compositori precedenti. In altre parole, Beethoven chiede ai musicisti di mostrare coraggio, di non avere paura di spingersi fin sull’orlo del precipizio, costringe l’esecutore a trovare la «linea di maggior resistenza», un’espressione coniata dal grande pianista Artur Schnabel.
Beethoven era un uomo profondamente politico, nel senso più ampio del termine. Non era interessato alla politica di tutti i giorni, ma era attento alle questioni legate al comportamento morale e alle problematiche più generali di giusto e sbagliato che interessavano l’intera società. Particolare rilevanza rivestiva la sua visione della libertà, che per lui era associata ai diritti e ai doveri dell’individuo: era un fautore della libertà di pensiero e di espressione personale.
Beethoven non avrebbe avuto alcuna simpatia per la visione, oggi così diffusa, della libertà come libertà essenzialmente economica, necessaria al funzionamento dell’economia di mercato. Un esempio relativamente recente della definizione economica di libertà lo possiamo trovare nella «Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America», il documento pubblicato dal presidente George W. Bush il 17 settembre 2002 per definire la relazione dell’America con il resto del mondo, e in cui si dichiarava che lo scopo degli Stati Uniti, nella loro qualità di nazione più potente del pianeta, era estendere i benefici della libertà a tutto il mondo… Se tu produci qualcosa che per gli altri ha valore, devi poterglielo vendere. Se gli altri producono qualcosa che per te ha valore, devi poterglielo comprare. Questa è la vera libertà, la libertà per una persona – o per una nazione – di guadagnarsi da vivere.
La musica di Beethoven troppo spesso viene vista esclusivamente nel suo aspetto drammatico, come espressione di una lotta titanica. A questo riguardo la Terza sinfonia (l’Eroica) e la Quinta sinfonia rappresentano solo un aspetto della sua opera: bisogna tener conto anche, per esempio, della Sesta sinfonia, la Pastorale.
La sua musica è introversa ed estroversa al tempo stesso e sovrappone ripetutamente queste due qualità. L’unico tratto umano che non è presente nella sua musica è la superficialità. E nemmeno la si può definire «timida» o «graziosa», al contrario: anche quando è intima, come nel Quarto concerto per pianoforte e nella Pastorale, ha un elemento di grandiosità. E quando è grandiosa, rimane al tempo stesso intensamente personale, come è evidente nel caso della Nona sinfonia.
Beethoven a mio parere riuscì a raggiungere un equilibrio perfetto fra pressione verticale – la pressione esercitata dalla padronanza della forma musicale da parte del compositore – e flusso orizzontale: combina costantemente fattori verticali come l’armonia, la tonalità, gli accenti o il tempo (tutti elementi legati a un senso di rigore), con una grande percezione di libertà e fluidità. Questa questione degli estremi e dell’equilibrio doveva essere, credo, una preoccupazione costante per lui. Se ne trova un’espressione nel Fidelio: la composizione contiene un movimento costante fra due poli opposti, tra la luce e l’oscurità, tra il negativo e il positivo, tra gli eventi che avvengono sopra, in superficie, e quelli che hanno luogo sottoterra. Così come era incapace di scrivere qualcosa di superficiale, o semplicemente di grazioso, non riusciva o non voleva scrivere nulla che raffigurasse qualcosa di fondamentalmente ed esclusivamente malvagio. Perfino un personaggio come Pizarro, il governatore della prigione di Fidelio, può essere visto come una personificazione della corruzione e dell’oppressione, ma non del male.
La musica di Beethoven tende a muoversi dal caos all’ordine (come nell’introduzione della Quarta sinfonia), come se l’ordine fosse un imperativo dell’esistenza umana. Per lui, l’ordine non significa dimenticare o ignorare i disordini che affliggono la nostra esistenza: l’ordine è uno sviluppo necessario, un miglioramento che può portare all’ideale greco della catarsi. Non a casa la Marcia Funebre non è l’ultimo movimento della sinfonia Eroica, ma il secondo, affinché la sofferenza non abbia l’ultima parola. Gran parte dell’opera di Beethoven si potrebbe parafrasare così: la sofferenza è inevitabile, ma è il coraggio di combatterla che rende la vita degna di essere vissuta.
© 2013 The New York Review of Books.
Distributed by The New York Times Syndicate. Traduzione di Fabio Galimberti
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