mercoledì 1 maggio 2013

Elogio del coraggio da Gandhi alle Pussy Riot


Salman Rushdie

"La Repubblica",  1 maggio 2013

TROVIAMO più semplice, in questi tempi confusi, ammirare la prodezza fisica che il coraggio morale, cioè il coraggio del pensiero o dei personaggi pubblici. Un uomo, con il cappello da cowboy, scavalca una transenna per aiutare le vittime dell’attentato di Boston mentre gli altri fuggono, e noi acclamiamo il suo coraggio, come acclamiamo il coraggio dei militari che tornano dal fronte, o di quegli uomini e donne che lottano per sconfiggere malattie o infortuni invalidanti.
Si fa fatica a vedere politici coraggiosi di questi tempi, con l’eccezione di Nelson Mandela e Daw Aung San Suu Kyi. Forse ne abbiamo viste troppe, forse siamo diventati troppo cinici sugli inevitabili compromessi del potere. Non ci sono più Gandhi o Lincoln in circolazione. Gli eroi degli uni (Hugo Chávez, Fidel Castro), sono gli spauracchi degli altri. Non concordiamo più così facilmente su cosa significhi essere buoni, avere principi, essere coraggiosi. Quando un leader politico prende decisioni coraggiose – come ha fatto l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy quando ha deciso di intervenire militarmente in Libia per sostenere gli insorti contro il regime di Gheddafi – quelli che dubitano sono numerosi quanto quelli che approvano. Il coraggio politico, oggigiorno, è quasi sempre ambiguo.
Cosa ancora più strana, siamo diventati diffidenti verso coloro che prendono posizione contro gli abusi del potere o contro i dogmi.
Non è sempre stato così. Gli scrittori e gli intellettuali che si opponevano al comunismo, Solzenicyn, Sakharov e gli altri, erano tenuti in altissima considerazione. Il poeta Osip Mandel’shtam fu ammiratissimo per il suo Epigramma di Stalin del 1933, in cui descriveva senza timori il temuto leader – «gli enormi scarafaggi che ridono sul labbro superiore» – anche perché quella poesia provocò il suo arresto e successivamente la sua morte in un Gulag.
Più di recente, nel 1989, l’immagine di un uomo con due buste della spesa che sfidava i carri armati di piazza Tien An Men diventò quasi istantaneamente un simbolo mondiale di coraggio.
Poi, a quanto sembra, le cose cambiarono. L’«uomo del carro armato» è stato quasi completamente dimenticato in Cina, e i manifestanti filodemocratici, anche quelli che morirono nel massacro del 3 e 4 giugno, sono stati ridefiniti successivamente dalle autorità cinesi come una massa di controrivoluzionari. La battaglia per la ridefinizione continua, oscurando o almeno confondendo le nostre idee sul giudizio da dare delle persone «coraggiose». È il trattamento che usano le autorità cinesi nei confronti dei loro contestatori più famosi: le accuse di «sovversione» contro Liu Xiaobo e di presunta evasione fiscale contro Ai Weiwei sono un tentativo deliberato per occultare il loro coraggio e dipingerli come criminali.
L’influenza della Chiesa ortodossa che in Russia è tale che le ragazze del collettivo Pussy Riot condannate al carcere sono percepite da gran parte della popolazione russa come delle piantagrane immorali perché hanno inscenato la loro famosa protesta dentro una chiesa. La ragione di quella protesta – l’eccessiva vicinanza della Chiesa ortodossa russa al presidente Vladimir Putin – è passata inosservata agli occhi dei loro numerosi detrattori e la loro iniziativa non è stata vista come un atto di coraggio, bensì come un’azione sconveniente.
Due anni fa, in Pakistan, l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, difese una donna cristiana, Asia Bibi, condannata ingiustamente a morte in virtù della severissima legge contro la blasfemia del Paese asiatico; per questa presa di posizione Taseer è stato assassinato da una delle sue guardie del corpo. L’assassino, Mumtaz Qadri, ha avuto grandi elogi ed è stato inondato di petali di rosa quando è comparso in tribunale. L’assassinato, Taseer, ha ricevuto grandi critiche e l’opinione pubblica si è schierata contro di lui. Il suo coraggio è stato cancellato dalle passioni religiose. L’assassino è stato definito eroe.
Nel febbraio del 2012 un poeta e giornalista saudita, Hamza Kashgari, ha pubblicato tre tweet sul profeta Maometto: «Il giorno del tuo compleanno, dirò che ho amato il ribelle che è in te, sei sempre stato fonte di ispirazione per me e che non mi piace l’alone di divinità che ti circonda. Non pregherò per te». «Il giorno del tuo compleanno, ti trovo dovunque mi giri. Dirò che amo degli aspetti di te, che ne odio altri, e che molti altri ancora non li capisco». «Il giorno del tuo compleanno, non mi inchinerò a te. Non ti bacerò la mano, ma la stringerò come si fa fra eguali, e ti sorriderò come tu sorriderai a me. Ti parlerò come a un amico, niente di più».
In seguito Kashagari ha dichiarato che quei tweet avevano lo scopo di «rivendicare il suo diritto» alla libertà di parola e di pensiero. Ha trovato scarso supporto nell’opinione pubblica, è stato condannato per apostasia e molte voci si sono levate a chiedere che venga giustiziato. È ancora in galera.
Anche gli scrittori e intellettuali dell’Illuminismo francese sfidarono l’ortodossia religiosa del loro tempo, creando il concetto moderno di libero pensiero. Consideriamo Voltaire, Diderot, Rousseau e gli altri come eroi intellettuali. Tristemente, pochissime persone nel mondo islamico direbbero la stessa cosa di Hamza Kashgari.
Questa nuova idea – l’idea che gli scrittori, gli studiosi e gli artisti che si schierano contro l’ortodossia o il bigottismo siano da biasimare perché turbano la popolazione – si sta diffondendo rapidamente, perfino in Paesi come l’India, che un tempo andavano fieri delle loro libertà.
Negli ultimi anni il grande pittore indiano Maqbool Fida Husain è stato costretto a esiliarsi a Dubai e a Londra, dove è morto, per aver dipinto nuda la dea indù Saraswati (anche se basta guardare le antiche sculture indù della dea per vedere che viene spesso raffigurata con gioielli e ornamenti, ma altrettanto spesso senza vestiti).
L’acclamato romanzo di Rohinton Mistry Un lungo viaggio è stato eliminato dai programmi di studio dell’Università di Mumbai perché gli estremisti locali contestavano il suo contenuto. Lo studioso Ashis Nandy è stato attaccato per aver espresso opinioni non ortodosse sulla corruzione delle caste inferiori. E in tutti questi casi l’opinione ufficiale – con cui molti commentatori e una fetta sostanziosa della cittadinanza sono d’accordo, a quanto sembra – è stata sostanzialmente che gli artisti e gli studiosi in questione erano causa del loro male. Persone che in altre epoche sarebbero state celebrate per la loro originalità e la loro indipendenza di pensiero, si sentono dire sempre più spesso: «Mettetevi seduti che fate oscillare la barca».
Nemmeno gli Stati Uniti sono immuni a questa tendenza. I giovani militanti del movimento Occupy sono stati denigrati da più parti (anche se le critiche si sono un po’ stemperate dopo il lavoro efficacissimo lavoro di soccorso in seguito all’Uragano Sandy). Intellettuali controcorrente come Noam Chomsky e il defunto Edward Said sono spesso stati liquidati come pazzi estremisti, individui «antiamericani» e nel caso di Said perfino, in modo assurdo, apologeti del «terrorismo» palestinese. (Si può essere in disaccordo con le critiche di Chomsky agli Stati Uniti, ma si deve riconoscere che ci vuole coraggio per alzarsi in piedi e urlare queste critiche in faccia al potere. Si può non essere filopalestinesi, ma non si può chiudere gli occhi sul fatto che Said ha criticato Yasser Arafat con la stessa veemenza con cui ha criticato gli Stati Uniti).
È un periodo sgradevole per chi, come noi, crede nel diritto di artisti, intellettuali e semplici cittadini indignati di spingersi oltre il limite e prendersi dei rischi, riuscendo a volte a cambiare il nostro modo di vedere il mondo. L’unica cosa che possiamo fare è riaffermare l’importanza di questo tipo di coraggio e cercare di fare in modo che queste persone oppresse – Ai Weiwei, le ragazze delle Pussy Riot, Hamza Kashgari – siano giudicate per quello che sono: uomini e donne in prima linea per la libertà. Come farlo? Firmando petizioni contro il trattamento a cui vengono sottoposte, partecipando alle proteste. Dichiarando pubblicamente la nostra posizione. Ogni piccolo frammento è importante.
© 2013, (Traduzione di Fabio Galimberti)

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