sabato 18 maggio 2013

Il marchio Dante



Romanzi, film-thriller, videogame: 
la «Commedia» sfida ancora scrittori e artisti a inventare nuove forme 
per rappresentarla

ALBERTO CASADEI

 “Corriere Fiorentino”, 17 maggio 2013

Quando si delinea il Dante della nostra modernità? In Italia, tutti ricordano la rivalutazione del periodo romantico, dopo un lungo periodo di sfortuna della Commedia, percepita come troppo enfatica e dura: Foscolo, Mazzini e altri scrittori-patrioti parlarono del Dante «ghibellin fuggiasco», simbolo della ferma e della buona politica, contro le lotte intestine e a favore dell’«umile Italia». Ma è forse meno nota un’altra storia della riscoperta di Dante, che comincia negli Stati Uniti con il 1862, quando H.W. Longfellow e altri scrittori diedero vita al «Circolo Dante» per una conoscenza approfondita del «poema sacro»: ed è giusto usare questa definizione, presente nel Paradiso, perché ci fa capire che in altre culture l’opera dantesca veniva sentita davvero come l’ultimo libro della Bibbia, come un testo dotato di un valore relìgioso e profetico non interiore a quello letterario. Così hanno inizio le tante vicende della Commedia nel XX secolo e sino a oggi.
Nell’epoca delle Avanguardie, c’è stato il Dante di Eliot, di Pound, addirittura «the divine comic Denti Alligator», come scrive Joyce nel suo Finnegans Wake. E il creatore di un mondo attraverso il linguaggio, l’espressionista o l’ideatore di metafore ardite. Il russo Osip Mandel’stam, prima di essere travolto dalla Rivoluzione sovietica, parla nel suo Discorso su Dante delle terzine di endecasillabi come di aerei che si staccano in volo l’uno dall’altro. E’ un Dante medievale e insieme paradossalmente modernissimo.
Ma dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ecco un'altra lettura: quella di chi ha saputo rappresentare gli inferni che si sono davvero realizzati ad Auschwitz o Hiroshima: solo che, dice lo scrittore di origine ebraica Peter Weiss, nei nostri inferni stanno gli innocenti. La Commedia, con la sua forza visionaria, serve a leggere un reale che ha superato i limiti del credibile: per interpretarlo occorre eccezionale, e per esempio si possono creare i nuovi gironi con i nuovi peccatori, come fa un esponente della rivolta afroamericana degli anni Sessanta, Amiri Baraka. Nel suo Il sistema dell'Inferno dantesco (1965) New York è una serie di bolge sempre più maledette: Dante è un giudice che garantisce giustizia, persino se non crediamo più nel Dio cristiano. 
Progressivamente, la Commedia si è caricata di sensi, valenze, connnotazioni mitiche, che vanno ben al di là del testo di partenza. E con queste premesse che si arriva a Dan Brown e ai nostri giorni, ma gli inizi di questa fase stanno grosso modo negli ultimi due decenni del Novecento. La fama mondiale di Dante ne aveva fatto già allora un’icona o, per  usare una categoria di Roland Barthes, un mito d'oggi. Chi prende questo autore come punto di partenza di una nuova opera sa che ogni lettore gli attribuisce molti tratti forti: l’abilità letteraria assoluta, è ovvio, ma anche la militanza politica, la capacità satirica, la visionarietà, addirittura i misteri sia biografici sia tematici, che sfociano nell’esoterismo dei Fedeli d'amore. Leggere il poema sacro come un testo iniziatico diventa frequente, e poco importa se il Paradiso rimanda molto più alla teologia di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino che alle tante eresie del primo Trecento: c'è qualcosa da scoprire, da indagare, come per altre «icone» di tutto il mondo - Shakespeare, per esempio, o Leonardo, Michelangelo, Caravaggio e non molti altri.
Sulla spinta del grande successo del Nome della rosa, cominciano a essere pubblicati romanzi polizieschi con Dante nella veste di investigatore, come avviene nella serie di «delitti» che Giulio Leoni ha presentato in ben quattro volumi a partire dal 2000. Oppure, dopo il trionfo planetario del Codice da Vinci, prevale il gusto esoterico, con la scoperta di nuove cantiche o codici nascosti del poema sacro, come nei libri di Patrizia Tamà e di Francesco Fioretti.
Ma ci sono anche versioni più ricche di implicazioni e sottintesi, per esempio un bel thriller del newyorkese Nick Tosches, La mano di Dante (2004), dove gli sforzi di Dante per creare la sua opera sono messi a confronto con quelli dell’autore immerso nella brutalità dell’oggi (con molte allusioni al clima post-11 settembre). Oppure, per l’Italia, si può citare il recentissimo Le terzine perdute di Dante (2012), scritto da una specialista quale Bianca Garavelli che indaga con raffinatezza su molti aspetti effettivamente problematici della vita e delle opere dantesche.
Ma più in generale, Dante è ormai un marchio inconfondibile. Basta citarlo in romanzi, ma anche in film-thriller come Seven (1995), o fantascientifici come Dante01 (2008), o addirittura in video-game come Dante’s Inferno (2010) per ottenere un potenziamento di interesse, la certezza che stiamo seguendo qualcosa di importante, legato a tutto quello che Dante ci può dire. Si coglie qui il simbolo della cultura umanistica oggi: perso il suo valore diretto di «monumento», può rigenerarsi come fermento attivo in tanti altri ambiti della cultura popolare.
E questo poi serve anche a far conoscere meglio Dante, magari grazie a una delle tante forme di mediazione televisiva e nel web che ce lo propongono in modo nuovo: c’è Benigni, certo, ma ora ci sono anche le ricostruzioni in 3D o i video d'autore, a partire da quello pionieristico e stupendo sui primi otto canti dell’Infemo realizzato nel 1989 da Peter  Greenaway per la BBC e purtroppo poco noto in Italia.
Ci sono poi le nuove guide, come quella all’Infemo scritta da Marco Santagata; o le nuove traduzioni, come quella inglese del saggista e poeta Clive James, che si distingue per abilità tecnica. Soprattutto, l’opera dantesca sfida ancora i
migliori scrittori, registi e artisti a inventare nuove forme per rappresentare ciò che sta dentro ma anche oltre la realtà visibile. Non è un caso che il Pasolini di Petrolio e il Philip Dick di Blade runner, per fare solo due esempi fra i tanti possibili, abbiano dichiarato i loro debiti nei confronti della forza creativa della Commedia. Insomma, oltre Dan Brown c'è un universo di grandi opere contemporanee che ci ridonano un Dante che non ci aspettiamo.
* Critico letterario, ordinario di letteratura italiana all’Università di Pisa

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