In un volume curato dalla Santa Sede la storia di come nacque, per fermare Lutero,
il catalogo delle opere proibite
Paolo Rodari
"La Repubblica", 21 maggio 2013
Anno 1534. Paolo III succede a Clemente VII. In Europa, grazie a Lutero, muove i primi passi la riforma protestante. La Chiesa cattolica reagisce sia con la controriforma sia con un movimento interno di autoriforma, due facce della medesima medaglia che hanno un loro primo apogeo nel Concilio di Trento (1545-1563). Di qui prendono avvio l’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti, due dure reazioni contro i riformatori. Anni non facili, che oggi la Biblioteca Apostolica Vaticana rilegge all’interno di un volume dedicato alla sua stessa storia, il secondo di una serie, intitolato La biblioteca vaticana tra riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (a cura di Massimo Ceresa), spaziando dall’elezione di Paolo III fino al 1590 quando muore Papa Sisto V. Gli scaffali della biblioteca (oggi 1 milione e 600mila libri a stampa antichi e moderni, 8.300 incunaboli, 150mila codici manoscritti e carte di archivio, 300mila monete e medaglie, 20mila oggetti d’arte) parlano da soli, basta accostarvisi.
Paolo III viene eletto al soglio di Pietro diciassette anni dopo che Lutero affigge sulla porta della cattedrale di Wittenberg le sue novantacinque tesi dedicate alle indulgenze e in generale all’operato della Chiesa. Presto la riforma protestante si diffonde e conquista gran parte dei territori germanici. Per il Vaticano si pone il tema della risposta, della controriforma, una riscossa che Paolo III mette in campo anche (si può dire anzitutto) culturalmente. Non sempre però questa risposta è propositiva. È anche repressiva. Ne è prova l’Index librorum prohibitorum (l’Indice dei libri proibiti), una lista di testi che ai soli fedeli cattolici, non ad altri, è proibito di leggere se non con uno speciale permesso delle gerarchie ecclesiastiche.
È la Biblioteca Vaticana a creare il primo indice. Tutto ha inizio nel maggio del 1549. Verso la fine del pontificato di Paolo III, quella che si chiama la congregazione del Sant’Ufficio affida a uno dei suoi consultori, il teologo domenicano Teofilo Scullica da Tropea, la compilazione di un elenco di libri proibiti, con l’incarico di aggiornarlo ogniqualvolta giungano notizie di libri «suspecti, scandalosi aut heretici ». Un metodo artigianale, tuttavia, che non risponde allo scopo. Così due mesi dopo il Sant’Ufficio dispone che altri due consultori, i domenicani Stefano Usodimare ed Egidio Foscarari, esaminino gli indici delle Università di Parigi e Lovanio, li aggiornino e predispongano un “cataloghum”.
L’esito di questo lavoro? Incerto. Così Giulio III, succeduto intanto a Paolo III, nel 1550 emana la bolla “Cum meditatio cordis” nella quale vieta ufficialmente di leggere i libri proibiti. È questa bolla che spinge ancora una volta il Sant’Ufficio all’azione. In questo caso l’ordine, affidato ancora a fra’ Teofilo, è singolare: compiere ispezioni presso i librai di Roma e, eventualmente, sequestrare i libri proibiti o comunque sospetti.
La Biblioteca Vaticana conserva un documento datato 25 aprile 1551 nel quale si dà notizia delle ispezioni di Teofilo e dei suoi 32 libri messi all’indice. Non solo i volumi vengono sequestrati da Teofilo, ma sono anche portati in Vaticano e, come scrivono i custodi Fausto Sabeo e Nicolò Maiorano, «posti in libreria». Vengono messi in un’apposita sezione conservata all’interno di un ambiente separato: la camera “parva secreta”. Scrive successivamente il custode Federico Ranaldi che i libri vengono messi «in camera inter prohibitos, poi al Santo Officio». Cioè: prima in un ambiente riservato della Biblioteca, poi direttamente al Santo Ufficio. Quali sono i primi libri proibiti fatti pervenire in Vaticano? Si tratta di alcune opere principali delle riforma protestante, scritti di Lutero, Giovanni Calvino, Huldrych Zwingli, Martin Bucer e altri.
Sequestrati alcuni libri, manca ancora un catalogo delle opere proibite. Solo nel 1557, per volontà di Paolo IV, il Vaticano si cimenta nell’impresa. La versione definitiva del catalogo, poi noto come indice di Paolo IV, viene stampata nel dicembre del 1558 e pubblicata nel gennaio 1559. L’indice passa il vaglio del Concilio di Trento e arriva a una sua versione definitiva soltanto nel 1564 con la bolla papale “Dominici gregis”. Con essa si chiude un capitolo importante dell’attività censoria della Chiesa, ma contestualmente se ne apre un altro: occorre stabilire, infatti, la modalità in base alla quale aggiornare l’indice e anche decidere a quale istituzione interna affidarne la responsabilità. Pio V decide di istituire una commissione cardinalizia “ad hoc”. Tuttavia, egli muore prima di formalizzarne l’istituzione e così il suo successore Gregorio XIII prende una decisione diversa: istituisce la Congregazione romana dell’Indice, un organo slegato dalla stessa Biblioteca e autonomo.
Nel tempo all’interno dell’Index entrano titoli di natura diversa, ad esempio scritti di astronomia e di magia. Viene inserita nell’elenco non solo la letteratura religiosa protestante, ma anche parte della cultura europea. Casi significativi sono le opere di autori come Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Erasmo da Rotterdam, Girolamo Savonarola, Niccolò Machiavelli, Francois Rabelais e altri. Vengono citati anche una serie di tipografi, per lo più tedeschi e svizzeri, poi alcune versioni della Bibbia non corrette e tutte le traduzioni in volgare della Sacra Scrittura. A seguito della pubblicazione dell’indice scoppiano diverse proteste in tutta Europa, portate avanti da intellettuali, docenti, stampatori e librai. Ma il Vaticano prosegue, senza mitigare.
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