ll piccolo fratello
Paolo Di Stefano
La casa editrice Laterza si sta impegnando più di altre nella discussione sui nuovi linguaggi e sulle nuove tecnologie in rapporto con la scuola e l'insegnamento. Un tema cruciale. I libri più recenti e più utili sull'argomento sono due. Il primo è Leggere scrivere argomentare del linguista Luca Seriarmi, un manuale antologico che propone esercizi per allenare la capacità di argomentare per iscritto nell'epoca della non-argomentazione da twitter: ne ha trattato ampiamente l'autore sul Corriere in un'intervista di Luca Mastrantonio (19 aprile). Il secondo è quello di Roberto Casati, filosofo del linguaggio e ricercatore del Cnrs a Parigi, intitolato Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere. Casati, che non è affatto un apocalittico del digitale, prende di petto la questione: è utile che la scuola sostituisca il libro cartaceo con il libro digitale? A proposito di argomentazione: quella di Casati non è semplice, ma si può riassumere efficacemente in alcuni punti, utilizzando le sue stesse parole.
La funzione della scuola non è quella di rincorrere le novità commerciali ma di istruire anche attraverso la lettura. Se leggere non significa saltare da un testo all'altro o preparare un copia-e-incolla, ma isolarsi per approfondire e memorizzare, «è chiaro che i nuovi gadget elettronici non aiutano, stracarichi come sono di applicazioni fanta-scientificamente distraenti». La lettura, nel libro digitale, entra in competizione con «concorrenti agguerriti e predatori»: non si sottrae a quell'«occhio diagonaeducativo le» che ha la tentazione di fugginon tutti i mezzi re sempre altrove (aggiornare una chat o un profilo, rispondedevono essere re a una mail...). Il libro di carta presenta invece una serie di vantaggi cognitivi proprio in virtù di quelle caratteristiche che a prima vista sembrerebbero porgli dei limiti tecnologici rispetto all'ebook: la linearità che semplifica la comprensione, la pagina stabile e non scorrevole «che permette di tenere sott'occhio molti pensieri alla volta», l'isolamento rispetto ad elementi ipertestuali che deviano l'attenzione, il peso specifico e la fisicità del volume.
Si potrebbe aggiungere molto altro, ma limitiamoci a questi aspetti. Non si tratta di bandire gli strumenti tecnologici dalla nostra vita, ma si tratta di limitarli, inserirli in modo meditato nella nostra quotidianità per non subirne acriticamente il fascino indubbio e l'invasività.
Detto ciò, gli studenti e gli insegnanti non hanno nessuna ragione di farsi intimidire dal discorso populista che richiede di assecondare la colonizzazione tecnologica dell'istruzione ventilando i sicuri benefici sul piano economico e occupazionale.
Casati è per una resistenza della scuola alle nuove tecnologie distraenti: una scuola che faccia valere l'immenso vantaggio, anche grazie alle sue inerzie, di essere uno «spazio protetto in cui lo zapping è vietato per definizione». E che riesca così a incubare il vero cambiamento, cioè «lo sviluppo morale e intellettuale delle persone».
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