Tommaso Cerno
"L'espresso", 24 maggio 2013
Eccolo Dante Alighieri, finalmente, a pagina 521. Quando ormai Dan Brown ha finito di raccontare, sparare, salire su jet privati, corteggiare geniali e avvenenti dottoresse, sfidare potenti sette millenarie. Dante si materializza solo nell'epilogo del nuovo romanzo"Inferno".
In poche righe. Dice Brown: il poema che m'ha ispirato, la Comedìa, l'enigma degli enigmi, non riguarda i tormenti dell'Ade, né le teorie sulla sovrappopolazione di Malthus. Riguarda la forza dello spirito umano, professor Robert Langdon, solito protagonista esperto di simbologia, in primis, nell'affrontare una sfida. Quella di divertire. Ecco che diventa inutile chiedersi quanto Dante ci sia nell'"Inferno" di Brown, che si illumina più di luci hollywoodiane che di tomistica medievale.
Dante, per Brown, è la fantasia stessa, l'atto di scrivere, l'immaginare. Inutile anche domandarsi se "Inferno" sia il migliore o il peggiore dei suoi romanzi. Forse è pure il migliore. Ma Dante non c'è mai davvero, è appunto "l'Ombra", come Brown, sornione, rivela nella prima pagina. Alla fine è l'assenza del Poeta che rende il romanzo più avvincente, di gusto browniano, così eccessivo da essere perfino appagante. E sbaglia chi ci crede troppo, chi pensa che le terzine (spesso del Paradiso) o i messaggi cifrati (secondo la spirale archimedea oraria) o la mappa dell'Inferno (del Botticelli) siano gialli trecenteschi da disvelare nel Ventunesimo secolo. Se lo leggi così, ti ritrovi fra le mani una (divertente) guida turistica di Firenze, utile al settore ma inutile al lettore.
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