lunedì 13 maggio 2013

La distruzione della sintassi da Marinetti a Twitter


Massimo Adinolfi

"l’Unità",  12 maggio 2013

A che punto è la distruzione della sintassi? Giusto cent’anni fa, l’11 maggio 1913, sembrava che l’ora fosse finalmente scoccata, e Filippo Tommaso Marinetti si considerava pronto per esprimere il proprio lirismo «per mezzo di parole essenziali in libertà». 
Solo un anno prima aveva scritto il «Manifesto tecnico della letteratura futurista» (c’è stato un tempo in cui anche la letteratura si è affidata ai tecnici?). Inutile dire che Marinetti nulla sapeva della grossa mano che Twitter gli avrebbe dato nell’impresa. Mica ne va solo della presidenza della Repubblica, con i tweet! Provateci infatti voi a rispettare sintassi e interpunzione nei soli 140 caratteri a vostra disposizione: impresa vana. Perciò comincerete anche voi, come il poeta, a «distruggere brutalmente la sintassi nel parlare», a non «perdere tempo a costruire periodi» (non ne avete lo spazio), a «infischiarvene della punteggiatura e dell’aggettivazione» e a «diminuire il numero delle vocali e delle consonanti» (le abbreviazioni!). Come vedete, all’immaginazione senza fili di Marinetti mancavano solo le faccine, tutto il resto c’era già.
Non per caso. Basta scorrere l’elenco dei «fenomeni significativi» che Marinetti snocciola prima di enunciare il suo programma letterario, per trovarci un bel po’ di cose che oggi non sono altrettanto significative solo perché sono divenute ovvie. Ad esempio: una «nuova sensibilità finanziaria». La finanziarizzazione dell’economia, che sta sul banco degli imputati della crisi, si era in realtà cominciata a formare già allora, in un epoca che, quanto a globalizzazione del commercio, non avrebbe nulla da invidiare alla nostra. E infatti Marinetti scrive: «Gli uomini conquistarono successivamente il senso della casa, il senso del quartiere in cui abitavano, il senso della città, il senso della zona geografica, il senso del continente. Oggi posseggono il senso del mondo». Posseggono cioè, o forse sono posseduti, dalla globalizzazione.
Oppure: «passione, arte e idealismo dello sport. Concezione e amore del record», dice Marinetti, che pure del doping non sapeva assolutamente nulla. Ma, senza tirare in ballo vicende spiacevoli, basta pensare che la Juventus, che ha già vinto il campionato, va ancora a caccia del record di punti nelle ultime partite che rimangono.
O ancora, prosegue Marinetti: «orrore di ciò che è vecchio e conosciuto. Amore del nuovo e dell’imprevisto».
Ogni riferimento alle vicende del Pd è evidentemente da escludersi, ma non la retorica giovanilistica che entra in politica proprio in quegli anni, quando cominciano ad apparire le prime «metafisiche della gioventù» (Walter Benjamin), mentre per Platone, cioè per il più castale dei filosofi, non bisognava accostarsi alla filosofia (e alla politica) prima dei cinquant’anni. Muffa! Vecchiume!
Infine, un ultimo esempio: l’«uomo moltiplicato dalla macchina». Che vuol dire: la mutazione antropologica, le questioni bioetiche, le protesi, la medicina performativa sono tutte cose già scritte in quel testo di cent’anni fa. Marinetti ignorava i dettagli, ma non aveva bisogno di conoscerli per comprendere come stesse cambiando il mondo.
Non aveva né l’ipod, né lo smartphone né internet, ma gli bastavano «il telegrafo, il telefono, il grammofono», oppure il cinematografo e il «grande quotidiano (sintesi di una giornata del mondo)» per «palpitare d’angoscia», leggendo di vicende che potevano accadere all’altro capo del mondo, in Cina o nel Congo.
In parte, per la verità, si sbagliava, perché noi palpitiamo di sicuro per la Cina, ma molto meno per il Congo, segno che tutte queste straordinarie trasformazioni e la grande distruzione che comportavano e la libertà che promettevano, persino alle parole, non andava a vantaggio di tutti, non avvicinava tutte le distanze, e non rendeva affatto il «mondo piatto», come scriveva ottimisticamente Thomas Friedman qualche anno fa. Dislivelli e sproporzioni, vette di privilegi e abissi di povertà non sono stati affatto distrutti.
Ma mentre Marinetti non sentiva il bisogno di mettere questo eguagliamento in cima alle sue preoccupazioni, noi forse un tal bisogno lo sentiamo, e comprendiamo che se la distruttiva velocità penetrata dentro le nostre vite quotidiane non può essere frenata, può forse essere messa in qualche forma e aggiustata di direzione. Perché va bene il «declamatore futurista» e l’«ortografia libera espressiva», ma alla fine qualcosa vogliamo pur continuare a capire. E a capirla, se possibile, con tutti.


Distruzione della sintassi
Immaginazione senza fili
Parole in libertà

11 maggio 1913
Filippo Tommaso Martinetti

La sensibilità futurista
Il mio Manifesto tecnico della Letteratura futurista (11 maggio 1912) col quale inventai il lirismo essenziale e sintetico, l’immaginazione senza fili e le parole in libertà, concerne esclusivamente l'ispirazione poetica.
La filosofia, le scienze esatte, la politica, il giornalismo, l'insegnamento, gli affari, pur ricercando forme sintetiche di espressione, dovranno ancora valersi della sintassi e della punteggiatura. Sono costretto infatti, a servirmi di tutto ciò per potervi esporre la mia concezione.
Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che usano oggi del telegrafo, del telefono e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell'automobile, del transatlantico, del dirigibile, dell'aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano (sintesi di una giornata del mondo) non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d'informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza.
Un uomo comune può trasportarsi con una giornata di treno, da una piccola città morta dalle piazze deserte, dove il sole, la polvere e il vento si divertono in silenzio, ad una grande capitale, irta di luci, di gesti e di grida... L'abitante di un villaggio alpestre, può palpitare d'angoscia ogni giorno, mediante un giornale, con i rivoltosi cinesi, le suffragette di Londra e quelle di New York, il dottor Carrel e le slitte eroiche degli esploratori polari. L'abitante pusillanime e sedentario di una qualsiasi città di provincia può concedersi l'ebrietà del pericolo seguendo in uno spettacolo di cinematografo, una caccia grossa nel Congo. Può ammirare atleti giapponesi, boxeurs negri, eccentrici americani inesauribili, parigine elegantissime, spendendo un franco al teatro di varietà. Coricato poi nel suo letto borghese, egli può godersi la lontanissima e costosa voce di un Caruso o di una Burzio.
Queste possibilità diventate comuni, non suscitano curiosità alcuna negli spiriti superficiali, assolutamente incapaci di approfondire qualsiasi fatto nuovo come gli arabi che guardavano con indifferenza i primi aeroplani nel cielo di Tripoli. Queste possibilità sono invece per l'osservatore acuto altrettanti modificatori della nostra sensibilità, poiché hanno creato i seguenti fenomeni significativi :

1. Acceleramento della vita, che ha oggi , un ritmo rapido. Equilibrismo fisico, intellettuale e sentimentale sulla corda tesa della velocità fra i magnetismi contraddittorii. Coscienze molteplici e simultanee in uno stesso individuo.
2. Orrore di ciò che è vecchio e conosciuto. Amore del nuovo, dell'imprevisto.
3. Orrore del quieto vivere, amore del pericolo e attitudine all'eroismo quotidiano.
4. Distruzione del senso dell'al di là e aumentato valore dell'individuo che vuol vivre sa vie secondo la frase di Bonnot.
5. Moltiplicazione e sconfinamento delle ambizioni e dei desideri umani.
6. Conoscenza esatta di tutto ciò che ognuno ha d'inaccessibile e d'irrealizzabile.
7. Semi-uguaglianza dell'uomo e della donna, e minore slivello dei loro diritti sociali.
8. Deprezzamento dell'amore (sentimentalismo o lussuria), prodotto della maggiore libertà e facilità erotica nella donna e dall'esagerazione universale del lusso femminile. Mi spiego: Oggi la donna ama piú il lusso che l'amore. Una visita a una grande sartoria fatta in compagnia d'un banchiere amico, panciuto, podagroso, ma che paga, sostituisce perfettamente il piú caldo convegno d'amore con un giovane adorato. La donna trova tutto l'ignoto dell'amore nella scelta di una toilette straordinaria, ultimo modello, che le sue amiche non hanno ancora .L'uomo non ama la donna priva di lusso. L'amante ha perso ogni prestigio, l'Amore ha perso il suo valore assoluto. Questione complessa, che mi accontento di sfiorare .
9. Modificazione del patriottismo diventato oggidí l'idealizzazione eroica della solidarietà commerciale, industriale e artistica di un popolo.
10. Modificazione della concezione della guerra, diventata il collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo .
11. Passione, arte, idealismo degli Affari. Nuova sensibilità finanziaria.
12. L'uomo moltiplicato dalla macchina. Nuovo senso meccanico, fusione dell'istinto col rendimento del motore e colle forze ammaestrate .
13. Passione, arte e idealismo dello Sport. Concezione e amore del «record».
14. Nuova sensibilità turistica dei transatlantici e dei grandi alberghi (sintesi annuale di razze diverse). Passione per la città. Negazione delle distanze e delle solitudini nostalgiche. Derisione del divino silenzio verde e del paesaggio intangibile .
15. La terra rimpicciolita dalla velocità . Nuovo senso del mondo. Mi spiego: Gli uomini conquistarono successivamente il senso della casa, il senso del quartiere in cui abitavano, il senso della città, il senso della zona geografica, il senso del continente. Oggi posseggono il senso del mondo; hanno mediocremente bisogno di sapere ciò che facevano i loro avi, ma bisogno assiduo di sapere ciò che fanno i loro contemporanei di ogni parte del mondo. Conseguente necessità, per l'individuo, di comunicare con tutti i popoli della terra. Conseguente bisogno di sentirsi centro, giudice e motore dell'infinito esplorato e inesplorato. Ingigantimento del senso umano e urgente necessità di fissare ad ogni istante i nostri rapporti con tutta l'umanità 
16. Nausea della linea curva, della spirale e del tourniquet. Amore della retta e del tunnel. Abitudine delle visioni in scorcio e delle sintesi visuali create dalla velocità dei treni e degli automobili che guardano dall'alto città e campagne . Orrore della lentezza, delle minuzie, delle analisi e delle spiegazioni minute. Amore della velocità, dell'abbreviazione e del riassunto. «Raccontami tutto, presto, in due parole!» .
17. Amore della profondità e dell'essenza in ogni esercizio dello spirito.
Ecco alcuni degli elementi della nuova sensibilità futurista che hanno generato il nostro dinamismo pittorico, la nostra musica antigraziosa senza quadratura ritmica, la nostra Arte dei rumori e le nostre parole in libertà .

LE PAROLE IN LIBERTÀ
Scartando ora tutte le stupide definizioni e tutti i confusi verbalismi dei professori, io vi dichiaro che il lirismo è la facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. La facoltà di cambiare in vino l'acqua torbida della vita che ci avvolge e ci attraversa. La facoltà di colorare il mondo coi colori specialissimi del nostro io mutevole.
Ora supponete che un amico vostro dotato di questa facoltà lirica si trovi in una zona di vita intensa (rivoluzione, guerra, naufragio, terremoto ecc.) e venga, immediatamente dopo, a narrarvi le impressioni avute. Sapete che cosa farà istintivamente questo vostro amico lirico e commosso?...
Egli comincerà col distruggere brutalmente la sintassi nel parlare. Non perderà tempo a costruire i periodi. S'infischierà della punteggiatura e dell'aggettivazione. Disprezzerà cesellature e sfumature di linguaggio , e in fretta vi getterà affannosamente nei nervi le sue sensazioni visive, auditive, olfattive, secondo la loro corrente incalzante. L'irruenza del vapore-emozione farà saltare il tubo del periodo, le valvole della punteggiatura e i bulloni regolari dell'aggettivazione. Manate di parole essenziali senza alcun ordine convenzionale. Unica preoccupazione del narratore rendere tutte le vibrazioni del suo io.
Se questo narratore dotato di lirismo avrà inoltre una mente popolata di idee generali, involontariamente allaccerà le sue sensazioni coll'universo intero sconosciuto o intuito da lui. E per dare il valore esatto e le proporzioni della vita che ha vissuta, lancerà delle immense reti di analogie sul mondo. Egli darà cosí il fondo analogico della vita, telegraficamente, cioè con la stessa rapidità economica che il telegrafo impone ai reporters e ai corrispondenti di guerra, pei loro racconti superficiali. Questo bisogno di laconismo non risponde solo alle leggi di velocità che ci governano, ma anche ai rapporti multisecolari che il pubblico e il poeta hanno avuto. Corrono infatti, fra il pubblico e il poeta, i rapporti stessi che esistono fra due vecchi amici. Questi possono spiegarsi con una mezza parola, un gesto, un'occhiata. Ecco perché l'immaginazione del poeta deve allacciare fra loro le cose lontane senza fili conduttori, per mezzo di parole essenziali in libertà.

MORTE DEL VERSO LIBERO 
Il verso libero dopo avere avuto mille ragioni d'esistere è ormai destinato a essere sostituito dalle parole in libertà.
L'evoluzione della poesia e della sensibilità ci ha rivelati i due irrimediabili difetti del verso libero.
1. Il verso libero spinge fatalmente il poeta a facili effetti di sonorità, giochi di specchi previsti, cadenze monotone, assurdi rintocchi di campana e inevitabili risposte di echi esterni o interni.
2. Il verso libero canalizza artificialmente la corrente della emozione lirica fra le muraglie della sintassi e le chiuse grammaticali. La libera ispirazione intuitiva che si rivolge direttamente all'intuizione del lettore ideale si trova cosí imprigionata e distribuita come un'acqua potabile per l'alimentazione di tutte le intelligenze restie e meticolose.
Quando parlo di distruggere i canali della sintassi, non sono né categorico, né sistematico. Nelle parole in libertà del mio lirismo scatenato si troveranno qua e là delle tracce di sintassi regolare ed anche dei veri periodi logici. Questa disuguaglianza nella concisione e nella libertà è inevitabile e naturale. La poesia non essendo, in realtà, che una vita superiore, piú raccolta e piú intensa di quella che viviamo ogni giorno, — è come questa composta di elementi ultravivi e di elementi agonizzanti.
Non bisogna dunque preoccuparsi troppo di questi ultimi. Ma si devono evitare ad ogni costo la rettorica e i luoghi comuni espressi telegraficamente.

L'IMMAGINAZIONE SENZA FILI
Per immaginazione sena fili, io intendo la libertà assoluta delle immagini o analogie, espresse con parole slegate e senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura 
Gli scrittori si sono abbandonati finora all'analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l'animale all'uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press'a poco, a una specie di fotografia. Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri piú avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante, a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece, a un'acqua ribollente. V'è in ciò una gradazione di analogie sempre piú vaste, vi sono dei rapporti sempre piú profondi e solidi, quantunque lontanissimi. L'analogia non è altro che l'amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico e polimorfo, può abbracciare la vita della materia. Quando nella mia Battaglia di Tripoli, ho paragonato una trincea irta di baionette a un'orchestra, una mitragliatrice a una donna fatale, ho introdotto intuitivamente una gran parte dell'universo in un breve episodio di battaglia africana. Le immagini non sono fiori da scegliere e da cogliere con parsimonia, come diceva Voltaire. Esse costituiscono il sangue stesso della poesia. La poesia deve essere un seguito ininterrotto d'immagini nuove, senza di che non è altro che anemia e clorosi. Quanto piú le immagini contengono rapporti vasti, tanto piú a lungo esse conservano la loro forza di stupefazione... (Manifesto della Letteratura futurista)
L'immaginazione senza fili, e le parole in libertà c'introducono nell'essenza della materia. Collo scoprire nuove analogie tra cose lontane e apparentemente opposte noi le valuteremo sempre piú intimamente. Invece di umanizzare animali, vegetali, minerali (sistema sorpassato) noi potremo animalizzare, vegetalizzare, mineralizzare, elettrizzare o liquefare lo stile, facendolo vivere della stessa vita della materia. Esempio, per dare la vita di un filo d'erba, dico: «sarò piú verde domani». Colle parole in libertà avremo: Le metafore condensate. — Le immagini telegrafiche. — Le somme di vibrazioni. — I nodi di pensieri. — I ventagli chiusi o aperti di movimenti. — Gli scorci di analogie. — I bilanci di colore. — Le dimensioni, i pesi, le misure e la velocità delle sensazioni. — Il tuffo della parola essenziale nell'acqua della sensibilità, senza i cerchi concentrici che la parola produce. — I riposi dell'intuizione. — I movimenti a due, tre, quattro, cinque tempi. — I pali analitici esplicativi che sostengono il fascio dei fili intuitivi.

MORTE DELL'“IO” LETTERARIOMATERIA E VITA MOLECOLARE 
Il mio manifesto tecnico combatteva l'ossessione dell'io che i poeti hanno descritto, cantato, analizzato e vomitato fino ad oggi. Per sbarazzarsi di questo io ossessionante, bisogna abbandonare l'abitudine di umanizzare la natura attribuendo passioni e preoccupazioni umane agli animali, alle piante, alle acque, alle pietre e alle nuvole. Si deve esprimere invece l'infinitamente piccolo che ci circonda, l'impercettibile, l'invisibile, l'agitazione degli atomi, il movimento Browniano, tutte le ipotesi appassionate e tutti i dominii esplorati dell'ultra-microscopia. Mi spiego: non già come documento scientifico, ma come elemento intuitivo, io voglio introdurre nella poesia l'infinita vita molecolare che deve mescolarsi, nell'opera d'arte, cogli spettacoli e i drammi dell'infinitamente grande, poiché questa fusione costituisce la sintesi integrale della vita.
Per aiutare in qualche modo l'intuizione del mio lettore ideale io impiego il carattere corsivo per tutte le parole in libertà che esprimono l'infinitamente piccolo e la vita molecolare.

AGGETTIVO SEMAFORICOAGGETTIVO-FARO O AGGETTIVO-ATMOSFERA 
Noi tendiamo a sopprimere ovunque l'aggettivo qualificativo, poiché presuppone un arresto nella intuizione, una definizione troppo minuta del sostantivo. Tutto ciò non è categorico. Si tratta di una tendenza. Ciò che è necessario è il servirsi dell'aggettivo il meno possibile e in un modo assolutamente diverso da quello usato fino ad oggi. Bisogna considerare gli aggettivi come segnali ferroviari o semaforici dello stile, che servono a regolare lo slancio, i rallentamenti e gli arresti della corsa, delle analogie. Si potranno cosí accumulare anche 20 di questi aggettivi semaforici .
Io chiamo aggettivo semaforico, aggettivo-faro o aggettivo-atmosfera l'aggettivo separato dal sostantivo isolato anzi in una parentesi, e diventato cosí una specie di sostantivo assoluto, piú vasto e piú potente di quello propriamente detto.
L'aggettivo semaforico o aggettivo-faro, sospeso in alto della gabbia invetriata della parentesi, lancia lontano tutt'intorno la sua luce girante.
Il profilo di questo aggettivo si sfrangia, dilaga intorno, illuminando, impregnando e avviluppando tutta una zona di parole in libertà. Se, per esempio, in un agglomerato di parole in libertà che descrive un viaggio in mare, io pongo i seguenti aggettivi semaforici tra parentesi: (calmo azzurro metodico abitudinario) non soltanto il mare è calmo azzurro metodico abitudinario, ma la nave, le sue macchine, i passeggeri, quello che io faccio e il mio stesso spirito sono calmi azzurri metodici abitudinarî .

VERBO ALL'INFINITO
Anche qui, le mie dichiarazioni non sono categoriche. Io sostengo però che un lirismo violento e dinamico, il verbo all'infinito sarà indispensabile, poiché, tondo come una ruota, adattabile come una ruota a tutti i vagoni del treno delle analogie, costituisce la velocità stessa dello stile.
Il verbo all'infinito nega per sé stesso l'esistenza del periodo ed impedisce allo stile di arrestarsi e di sedersi in un punto determinato. Mentre il verbo all'infinito è rotondo e scorrevole come una ruota, gli altri modi e tempi del verbo sono o triangolari, o quadrati, o ovali.

ONOMATOPEE E SEGNI MATEMATICI
Quando io dissi che «bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell’Arte», incitai i futuristi a liberare il lirismo dall'atmosfera solenne piena di compunzione e d'incensi che si usa chiamare l'Arte coll'A maiuscolo. L'arte coll'A maiuscolo costituisce il clericalismo dello spirito creativo. Incitavo per ciò i futuristi a distruggere e a beffeggiare le ghirlande, le palme, e le aureole, le cornici preziose, le stole e i paludamenti, tutto il vestiario storico e il bric-à-brac romantico che formano una gran parte di tutta la poesia fino a noi. Propugnavo invece un lirismo rapidissimo, brutale e immediato, un lirismo che a tutti i nostri predecessori deve apparire come antipoetico, un lirismo telegrafico, che non abbia assolutamente alcun sapore di libro, e, il piú possibile, sapore di vita. Da ciò, l'introduzione coraggiosa di accordi onomatopeici per rendere tutti i suoni e rumori anche i piú cacofonici della vita moderna.
L'onomatopea, che serve a vivificare il lirismo con elementi crudi e brutali di realtà, fu usata in poesia (da Aristofane a Pascoli) piú o meno timidamente. Noi futuristi iniziamo l'uso audace e continuo dell'onomatopea. Questo non deve essere sistematico. Per esempio il mio Adrianopoli Assedio — Orchestra e la mia Battaglia Peso + Odore esigevano molti accordi onomatopeici. Sempre allo scopo di dare la massima quantità di vibrazioni e una piú profonda sintesi della vita, noi aboliamo tutti i legami stilistici, tutte le lucide fibbie colle quali i poeti tradizionali legano le immagini nel loro periodare. Ci serviamo invece dei brevissimi od anonimi segni matematici e musicali, e poniamo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (piú presto) (rallentando) (due tempi) per regolare la velocità dello stile. Queste parentesi possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico.

RIVOLUZIONE TIPOGRAFICA
Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l'espressione futurista del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta contro la cosí detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc. Con questa rivoluzione tipografica e questa varietà multicolore di caratteri io mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole.
Combatto l'estetica decorativa e preziosa di Mallarmé e le sue ricerche della parola rara, dell'aggettivo unico insostituibile, elegante, suggestivo, squisito. Non voglio suggerire un'idea o una sensazione con delle grazie o delle leziosaggini passatiste: voglio anzi afferrarle brutalmente e scagliarle in pieno petto al lettore.
Combatto inoltre l'ideale statico di Mallarmé, con questa rivoluzione tipografica che mi permette d'imprimere alle parole (già libere, dinamiche e siluranti) tutte le velocità, quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi.
Realizzo cosí il 4° principio del mio Primo manifesto del Futurismo (20 febbraio 1909): «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità».

LIRISMO MULTILINEO 
Ho ideato inoltre il lirismo multilineo col quale riesco ad ottenere quella simultaneità lirica che ossessiona anche i pittori futuristi, lirismo multilineo, mediante il quale io sono convinto di ottenere le piú complicate simultaneità liriche .
Il poeta lancerà su parecchie linee parallele parecchie catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie. Una di queste linee potrà essere per esempio odorosa, l'altra musicale, l'altra pittorica.
Supponiamo che la catena delle sensazioni e analogie pittoriche domini sulle altre catene di sensazioni e analogie: essa verrà in questo caso stampata in un carattere piú grosso di quelli della seconda e della terza linea (contenenti l'una, per esempio, la catena delle sensazioni e analogie musicali, l'altra la catena delle sensazioni e analogie odorose).
Data una pagina contenente molti fasci di sensazioni e analogie, ognuno dei quali sia composto di 3 o 4 linee, la catena delle sensazioni e analogie pittoriche (stampata in un carattere grosso) formerà la prima linea del primo fascio e continuerà (sempre nello steso carattere) nella prima linea di ognuno degli altri fasci.
La catena delle sensazioni e analogie musicali (2ª linea), meno importante della catena delle sensazioni e analogie pittoriche (1ª linea), ma piú importante di quella delle sensazioni e analogie odorose (3ª linea), sarà stampata in un carattere meno grosso di quello della prima linea e piú grosso di quello della terza.

ORTOGRAFIA LIBERA ESPRESSIVA
La necessità storica dell'ortografia libera espressiva è dimostrata dalle successive rivoluzioni che hanno sempre piú liberato dai ceppi e dalle regole la potenza lirica della razza umana.
1. Infatti, i poeti, incominciarono coll'incanalare la loro ebrietà lirica in una serie di fiati uguali con accenti, echi, rintocchi o rime prestabilite a distanze fisse (metrica tradizionale). I poeti alternarono poi con una certa libertà questi diversi fiati misurati dai polmoni dei poeti precedenti.
2. I poeti, piú tardi, sentirono che i diversi momenti della loro ebrietà lirica dovevano creare fiati adeguati di diversissime e impreviste lunghezze, con assoluta libertà di accentazione. Giunsero cosí al verso libero, ma conservarono però sempre l'ordine sintattico delle parole, affinché l'ebrietà lirica potesse colar giú nello spirito dell'ascoltatore, pel canale logico della sintassi.
3. Oggi noi non vogliamo piú che l'ebrietà lirica disponga sintatticamente le parole prima di lanciarle fuori coi fiati da noi inventati, ed abbiamo le parole in libertà. Inoltre la nostra ebrietà lirica deve liberamente deformare, riplasmare le parole, tagliandole, allungandone, rinforzandone il centro o le estremità, aumentando o diminuendo il numero delle vocali e delle consonanti. Avremo cosí la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa deformazione istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza naturale verso l'onomatopea. Poco importa se la parola deformata diventa equivoca. Essa si sposerà cogli accordi onomatopeici, o riassunti di rumori, e ci permetterà di giungere presto all'accordo onomatopeico psichico, espressione sonora ma astratta di una emozione o di un pensiero puro. Mi si obbietta che le mie parole in libertà, la mia immaginazione senza fili esigono declamatori speciali, sotto pena di non essere comprese. Benché la comprensione dei molti non mi preoccupi, risponderò che i declamatori futuristi vanno moltiplicandosi e che d'altronde qualsiasi ammirato poema tradizionale esige, per esser gustato, un declamatore speciale.

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