domenica 12 maggio 2013

Imparare a raccontare è come imparare un mantra


Alessandro Baricco

"La Repubblica", 10 maggio 2013

Nell'attuale Scuola Holden, nella stanza della direzione, incorniciato e appeso a una parete, c`è un foglio, e su quel foglio, a matita, c`è lo schemino della didattica della scuola, quando per la prima volta l`abbiamo pensata, vent'anni fa. Sono sole poche righe. Una decina di insegnamenti e alcuni nomi che adesso sembrano scontati, ma allora non lo erano poi così tanto: Carlo Lucarelli, Gianni Ameno, Sandro Veronesi, Enrico Deaglio, Dario Voltolini. C`era una piccola rivoluzione, in quelle righe, ma alla fine era una rivoluzione che stava in un foglio. Quella che stiamo facendo ora, per la nuova scuola che aprirà tra 150 giorni, praticamente riempie tutto il mio taccuino: vedi cosa succede a fare un gesto artigianale, e rifarlo tutti i giorni per vent'anni, sbagliando molto e imparando molto, cambiando rotta sempre e ricordandoti le tue radici sempre: ti si spalanca un mondo, e alla fine il gesto che fai resta un gesto semplice - noi insegniamo a narrare-ma il modo in cui lo fai diventa qualcosa di estremamente sofisticato. Probabilmente continuerai a sbagliare non sì fanno scuole se non sbagliando ma sbagli da professionista, e con una sapienza che prima ti sognavi.
In quel taccuino ci sono un sacco di cose, e molte suonano davvero curiose, altre molto sensate, alcune irresistibili, o folli, non so, dipende dall'umore del giorno. Ne scelgo tre, per dare un`idea. Ad esempio c`è un`espressione, "Real World", scritta molto grossa. È il nome che abbiamo dato al nostro college di giornalismo. I nomi sono importanti, non l`abbiamo scelto a caso. Il fatto è che la narrazione ha ormai talmente trionfato sui fatti che perfino noi, che la narrazione la insegniamo, ne abbiamo le tasche piene. Quindi: ci piacerebbe formare dei ragazzi capaci di sgomitare tra le tante storie fino a ritrovare i fatti, avere la pazienza di capirli, tornare vivi a casa e poi avere la capacità di raccontare cosa hanno visto. Pretenderò di incontrarli pochissimo, a scuola, perché me li immagino sempre in giro, a cercare la realtà. Poi, insegnargli le tecniche per raccontare cosa hanno visto, sarà una faccenda veloce, sono sicuro: come sono sicuro che gli insegneremo sì a scrivere, ma soprattutto a fotografare, a viaggiare in rete, a girare e montare film con un cellulare.
In un`altra pagina c`è scritto: "Leggere", poi una freccia e un`altra parola: "Mappe". Questo è per quelli del college Scrivere. Secondo me, se sei ammesso alla Holden e alla fine scegli tra tutti i college quello che ti assicura meno occupazione, cioè Scrivere, almeno devi uscire da lì che scrivi da dio. E per scrivere da dio devi leggere molto: e qui è il problema. Che fai, gli infliggi i duecento libri che devono assolutamente leggere? Gli dai un canone? Credetemi, sono cose che non funzionano. E allora: mappe. Il metodo che useremo noi è questo: ogni allievo arriva con una lista di quaranta, cinquanta libri che ha letto e che si ricorda di aver letto. Li prendiamo e li collochiamo su delle mappe. Mappe che li ordinano secondo delle coordinate tipo semplicità/complessità, libri di genere/libri non di genere, contemporanei/non contemporanei. Poi si sovrappongono le mappe e quello che il ragazzo può vedere sono, nell'immensa mappa della letteratura, le zone in cui non si è mai spinto. Il significato di un Maestro è che lui, quelle zone, invece, le ha viste, ci ha vissuto, ci ha combattuto, magari ci è morto, magari ci ha trovato l`amore della sua vita: e allora sarà naturale sentirlo dire frasi come «Secondo me dovresti provare lassù a destra, dove non hai mai messo il naso», o «Sarai mica pazzo?, guarda che in quelle zone là in basso io ci ho trovato della roba da non credere». Due anni per mettere bandierine in tutta la mappa: praticamente un gioco.
Quasi all`inizio del taccuino, invece, ci sono pagine e pagine di un seminario fatto tra noi e alcuni nostri ex allievi per capire quanto dovevamo seguire i ragazzi sulla via dei barbari, e quanto resistere sulla frontiera della cultura che avevamo imparato noi. Alla fine c`è una parola, sola, bella grande: Mantra. Adesso, il 15 per cento del loro tempo i nostri allievi lo spenderanno in questa storia del Mantra. In pratica, ci è venuto in mente che se era inutile cercare di cambiare i ragazzi e quel loro modo di imparare solo surfando in superficie, almeno una volta però volevamo fargli provare cosa poteva significare prendere una piccolissima tessera di mondo e lasciarsi sprofondare lì dentro, seguendo la conoscenza.
Ancora più in pratica, ecco quel che faremo. A ogni allievo della Holden verrà data una tessera del mondo (un sonetto di Dante, il marchio della Nike, una viola da gamba, una madonna del Bellini, una partita del Brasile) e quello sarà il suo mantra: ha due anni per scenderci dentro, ogni giorno che dio manda in terra, almeno per dieci minuti, facendosi tutte le domande che gli vengono e trovando tutte le risposte. Non sembra, ma sono viaggi. Da un Improvviso di Schubert puoi arrivare a Glenn Gould passando da Napoleone, il sistema della prostituzione viennese nell`Ottocento, la geometria euclidea e il jazz. Giuro che è vero. Alla fine dei due anni, l`allievo è chiamato a registrare una lezione video di dodici minuti in cui ci dev'essere tutto quello che è importante sapere del suo mantra. Poi la regala alla scuola. Duecento all'anno, fa duemila in dieci anni: non ne esiste ancora una sola voce, ma noi già la chiamiamo Enciclopedia Holden (ma con molta autoironia, gíuro).

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