Un bestseller grottesco racconta il ritorno del Führer, che a Berlino diventa un'icona mediatica e finisce per rifondare il Partito Nazista.
In una società che non lo capisce e lo scambia per un comico.
Andrea Tarquini,
"Il Venerdì", 10 maggio 2013
Berlino. A metà tra sortilegio e fantapolitica, Adolf Hitler si risveglia nella Germania d'oggi. Non la riconosce, non gli piace, con al potere "quella donna tozza che ispira ottimismo come un salice piangente". Nessuno lo prende sul serio, quindi pian piano lui si crea spazi su giornali e tv e alla fine ricostituisce il suo partito. Dalla storia la Bundesrepublik odierna esce malissimo, eppure qui Lui è tornato, del giovane scrittore Timur Vermes, è da settimane in testa alla hit parade dei libri, con oltre 600 mila copie vendute. Ora, il 15 maggio, esce in Italia per Bompiani (pp. 448). Abbiamo incontrato Timur Vermes a Berlino.
Come le è venuta l'idea?
"L'idea mi venne in vacanza: su una bancarella che vendeva volumi usati in un villaggio trovai un libro in inglese, Hitler's Second Book. Svegliò la mia curiosità. E poiché avevo scritto molto da ghostwriter, pensai di scrivere in prima persona, per chiarirmi le idee sulla sua personalità. In Germania sappiamo tutto sul nazismo e l'Olocausto, ma su di lui tendiamo al rituale dell'anatema. Lui era il pazzo criminale, oppure era il folle sciocco, lui fu responsabile di tutto. Tendenza inconscia all'autoassoluzione da colpe collettive, a voler dimenticare che per prendere il potere, instaurare una tirannide, avviare il genocidio su base industriale, scatenare una guerra mondiale, è indispensabile un forte appoggio del Paese".
Si aspettava il successo in Germania?
"Un successo di tali dimensioni, no. Ma offrii il manoscritto a più editori, alla fine fu un'asta, con un prezzo abbastanza alto per un principiante come me. Speravo in 70-100mila copie, siamo a 600 mila".
Come spiega questo successo?
"È un libro di cui si parla, specie tra giovani, al di là della pubblicità e delle recensioni. Se lo passano di mano in mano".
Non c'è il rischio di una riabilitazione di Hitler?
"No. Tutti i suoi crimini sono raccontati nel libro. È sorprendente che molti pensino a una relativizzazione, perché il dittatore descrivendoli, in prima persona ovviamente, non li considera crimini, ma sue decisioni giuste. È solo realismo, in simbiosi col surreale di un suo ritorno. A molti lettori il libro piace perché Hitler appunto non è, nel libro, il folle responsabile unico di tutto, come ci piacerebbe per relegarlo nel passato. No, è un abilissimo personaggio capace di sedurre magari anche oggi, molto più di quanto non vogliamo immaginare".
In Germania, dall'asilo in poi, si insegna tutto su nazismo, crimini nazisti, Olocausto, seconda guerra mondiale. Sul personaggio Hitler e sul suo rapporto con le masse molto meno. È questo il problema?
"Sì. Si insegna molto, ma resta fuori la domanda: come è potuto accadere? Nell'immaginario collettivo tedesco oggi ci sono due Hitler: l'idiota goffo delle commedie satiriche, e il mostro, il più grande criminale della Storia. Ma un idiota lo riconosci subito. Dipingendolo come mostro ci si autoassolve: ci costrinse, ci sedusse, era una brutale dittatura, cosa potevamo fare? Troppo comodo tacere su milioni di fiancheggiatori: una macchina perfetta di genocidio e guerra non si reggono su un uomo solo. Ci siamo abituati alla voglia di autoassoluzione nel subconscio. Lo svantaggio dell'autoassoluzione è che la raggiungi raccontando una storia poco convincente d'un solo unico responsabile di tutti quei crimini unici. I giovani pongono domande spesso rimosse: perché tutti lo seguirono? Per questo non lo racconto come mostro, ma come abile seduttore, e seguirlo era facile e comodo per i più".
E nel libro, appunto, lui seduce...
"Sì, nessuno lo prende sul serio, nessuno crede che l'Hitler tornato sia il vero Hitler, lo vedono come un fenomeno interessante e comico, allora pian piano arriva nei salotti buoni, in tv, alla Bild, in politica. Con le sue idee, aggiornate al presente. I giovani capiscono molto meglio dei più anziani questo terribile meccanismo di seduzione e complicità, narrato nel libro".
Qual è il messaggio della fine del libro, quando i suoi conoscenti annunciano a Hitler che prepareranno manifesti elettorali per lui?
"Questo era il momento migliore per finire la Storia, lasciando al lettore pensare che poi la Storia vera, dura, comincerà dopo la parola fine. I coprotagonisti non capiscono che lui è davvero Hitler, i lettori sì, è il loro vantaggio. Ecco il nocciolo del libro: ovviamente nessuno crede in un viaggio nel tempo d'un personaggio di ieri, eppure ascoltando proposte e idee dell'Hitler del libro dovrebbero chiedersi dove lui voglia veramente arrivare. E invece non lo fanno. Nel frattempo lui li ha sedotti. Per sessant'anni abbiamo sviluppato rituali. Nel libro una donna dice al mio Hitler: "Sa, il tema ebrei non è uno scherzo". Lui risponde: "Ha perfettamente ragione!". La signora vuole solo mettersi la coscienza a posto, avendo alluso al tema. I tedeschi di oggi hanno elaborato rituali per mettersi la coscienza a posto e fuggire da problemi e sensi di colpa".
Vuole dire che la Germania postbellica e attuale non è vaccinata contro il pericolo?
"Appunto, non siamo vaccinati. Al contrario. Abbiamo un senso di sicurezza infondato, ma diffuso. Si manifesta anche con l'esitazione a ridere sul nazismo. Anche questo è un rituale. Si rimuovono risposte alla domanda: perché lo seguimmo in tanti, perché era attraente? Smentiamo e rimuoviamo".
E l'immaginario Hitler resuscitato del suo libro è un pericolo sottovalutato?
"Nel libro seduce in due modi. Primo, è un ottimo oratore. Non offre soluzioni migliori, ma intrattiene con efficacia. Un po' come il vostro Grillo. Poi molti sono felici del suo modo di guardare alla società attuale. Prende posizione, posizioni aberranti ma con opinioni ferme. In una società in cui la gente cerca sicurezza, e rifugge da opinioni e scelte chiare, lui è attraente perché a suo modo parla chiaro. Abbiamo una democrazia, ma siamo attratti da persone che parlano come i dittatori".
La società tedesca oggi è diversa da altre?
"Non credo. La democrazia è forte soltanto nella misura in cui la gente la vuole. E vuoi un sistema se sotto quel sistema vivi meglio. Finché stiamo relativamente bene la democrazia è sicura, se ci andasse male chi sa, guardi all'Ungheria, finiremmo per cercare un Viktor Orbán. Uno che, una volta al potere, smonta la democrazia pezzo a pezzo. Parlo di eventi nel cuore dell'Europa, i seduttori sono tra noi".
Quindi i tedeschi - come gli ungheresi di Orbán che riabilita il dittatore Horthy - non hanno veramente fatto i conti a fondo col passato?
"In Ungheria vivono nostalgie perché non si vive bene. Ma quando abbastanza persone desiderano un'altra forma di governo, la democrazia tramonta presto. Noi tedeschi ci comportiamo come se la nostra democrazia e l'Europa fossero dati di fatto scontati. Invece no, guardi Budapest. Se la gente comincia a credere di star male, guai per la democrazia. Purtroppo l'Europa che impone il rigore alla Grecia indebitata, contro un Orbán non fa nulla, non ha strumenti. Nel mio libro nessuno dei personaggi contrasta "lui" in nome della difesa della democrazia. Abbiamo 70 anni di democrazia qui, ma pochi o nessuno sanno dire perché la democrazia è migliore. La democrazia è vulnerabile, naïf , poco difesa. Nel mio libro Hitler parla male dei politici attuali, e nessuno gli ribatte che un dittatore seducente sarebbe ben peggio di una democrazia. La gente riflette poco su queste cose. E i politici di oggi non fanno pubblicità per la democrazia, per renderla più attraente o comunque mantenerla attraente. Ecco il messaggio. E poi la guerra traumatizzò e fece soffrire anche i tedeschi, ma i colpevoli, gli aggressori, fummo noi, dovremo sempre convivere con queste emozioni in conflitto, è inutile lamentarsi. E se la democrazia è accettata solo ripetendo il mantra rituale "l'alternativa è peggiore", allora la democrazia ha i piedi d'argilla. Il libro mostra che se "lui" tornasse non identificheremmo né "lui" né il pericolo che porta".
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