Giuseppe Galasso
"Corriere della Sera", 6 maggio 2013
La guerra, cominciata nel 1701 e terminata esattamente 300 anni or sono, fu lunga. Nel novembre 1700 era morto, senza eredi diretti, Carlo II d'Asburgo, re di Spagna. La Spagna era da due secoli una potenza mondiale. Dominava a Milano, Napoli e isole italiane, in quello che oggi è il Belgio, in tutta l'America Latina, tranne il Brasile, nonché nelle Filippine. Questo enorme impero formava anche un mercato chiuso, intaccato solo dal contrabbando o da qualche concessione sovrana. Alle sue porte bussavano da tempo le grandi potenze politiche e commerciali del tempo: Francia, Inghilterra, Olanda, che vi si erano anche intrufolate, rosicchiandolo ai margini nei Caraibi e altrove.
Alla successione aspiravano, come parenti, i Borboni di Francia e gli Asburgo di Vienna, cugini di quelli di Madrid. Inghilterra e Olanda preferivano una spartizione che salvaguardasse l'equilibrio europeo: l'Italia spagnola e il Belgio a Vienna, la Spagna e le sue colonie extraeuropee ai Borboni. Carlo II, per evitare contese e salvare l'autonomia e l'integrità della corona di Spagna, preferiva un principe bavarese, morto, però, anzitempo. Il preferito fu allora Filippo di Borbone, nipote di Luigi XIV di Francia.
Perché si preferisse un Borbone a un Asburgo non è chiaro. L'ascesa al trono di Madrid dell'ormai Filippo V di Spagna portò Luigi XIV ad appoggiare drasticamente il nipote. La tentazione era irresistibile per lui, che aveva sempre mirato a un'egemonia in Europa, senza riuscirvi che in parte. Un Borbone a Madrid poteva finalmente portare a quel risultato per la conseguente solidarietà dinastica con Madrid. Senonché, la guerra non fu affatto tutta vittorie, e fu pure troppo lunga e costosa anche per una potenza come la Francia. Si combatté, inoltre, non solo in Europa, ma in mezzo mondo: quasi una vera e propria prima guerra mondiale. Dopo molti brillanti successi, tra il 1707 e il 1708 le cose si misero male per la Francia. Per di più una carestia fierissima, tra il 1708 e il 1709, mise il Paese, con le finanze esauste, letteralmente in ginocchio. Fu allora che, con un'iniziativa inconsueta nelle vecchie monarchie, Luigi XIV si rivolse al suo popolo e chiese ad esso di durare negli sforzi e nei sacrifici per l'onore del Paese e della casa reale. La risposta fu degna del Re Sole e di quel grande popolo. Le sorti della Francia migliorarono. Luigi aveva, però, capito la lezione, e già nel 1708 avviò negoziati di pace.
Il raggiungimento della pace non fu meno lungo e travagliato della guerra. La caduta del governo whig inglese di Sidney Godolphin e del suo ministro John Churchill, duca di Marlborough, complicò le cose. Il nuovo governo tory, col premier Robert Harley e il ministro Henry Saint-John, poi visconte di Bolingbroke, riprese e concluse nel 1711 i negoziati coi francesi. Dopo varie resistenze di altri, si giunse così l'11 aprile 1713, tre secoli fa, a un trattato di pace, a Utrecht tra Spagna e Francia, da un lato, e Inghilterra, Olanda, Portogallo, Savoia e Prussia, dall'altro. Seguì il trattato di Radstadt, il 6 marzo 1714, tra Francia e Austria; il 7 settembre 1714 quello di Baden, che comprese tutta la Germania; e infine, il 15 novembre 1715, quello di Anversa o della Barriera, per garantire la sicurezza dell'Olanda da minacce francesi.
Una dozzina, dunque, di anni di guerra e due anni e mezzo per la pace, che fu peraltro di straordinaria importanza. Segnò l'avvio definitivo dell'Inghilterra al dominio dei mari (le procurò anche Gibilterra) e impedì, come Londra voleva, qualsiasi egemonia in Europa, inaugurandovi un'era di equilibrio. Divise la monarchia di Spagna come si era pensato fin dall'inizio: un Borbone a Madrid e nelle colonie, e un Asburgo in Italia e Belgio. I duchi di Prussia e di Savoia divennero re. L'Olanda ottenne forti garanzie per le sue frontiere meridionali, ma cominciò a declinare come grande potenza. Il Portogallo entrò definitivamente nell'orbita inglese. La Francia guadagnò, a carissimo prezzo, solo la solidarietà dinastica con Madrid, che però durò a lungo, mentre Vienna crebbe ancora di potenza e prestigio.
In sostanza, i molti e distanziati trattati furono una lezione, come allora si disse, della sempre molto difficile «arte di fare la pace». E tutta la vicenda, con una fine proposta già all'inizio, avrebbe dovuto insegnare quanto le vie disprezzate del compromesso siano, molto più spesso di quanto si creda, non solo le più conformi al buon senso, ma anche le più sicure contro le tentazioni e gli azzardi rovinosi della volontà di potenza. Ma la storia, si sa, di rado è maestra di vita, e ancor più di rado lo è di saggezza.
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