Valerio Magrelli,
"La Repubblica", 26 gennaio 2010
Siamo in una strada dell' antica Grecia, quando un viandante si imbatte in una tomba. La scena è raccontata in una poesia di Alceo di Messene, autore vissuto fra il terzo e il secondo secolo avanti Cristo. Genere letterario fra i più noti, l'arte delle epigrafi conosce infinite varianti, ma la storia che segue riserva una sorpresa, e fa pensare piuttosto alla tradizione, altrettanto longeva, degli indovinelli. Infatti il nostro eroe, fermatosi a guardare, non trova scritto nulla, salvo una cifra: «Io mi domando perché, sulla pietra che c'è lungo la via, / non c'è altro che un fi, che lo scalpellino incise due volte». In greco, fi significa "cinquecento", il che porta il passante a ipotizzare che la donna sepolta si chiamasse Chiliade, ovvero mille, equivalente a due volte cinquecento. Ma c'è una congettura più attendibile: probabilmente, spiega Alceo, chi sta nella tomba si chiamò Fidìs, cioè "due volte fi ". L'esultanza per la soluzione trovata fa esplodere la voce narrante in un grido di gioia: «Ho risolto come Edipo il rebus della Sfinge. / Lode sia data a chi trasse da duplice segno l' enigma - / luce agli astuti, agli imbecilli il buio».
Eccoci di fronte a uno strano e significativo esempio dell' incontro fra numeri e poesia. In questi versi, lo scambio fra i due tipi di codice viene infatti portato alle estreme conseguenze: la scrittura "alfabetica" tende ad annettere al proprio interno elementi desunti da quella "matematica", al punto che una cifra finisce per essere interpretata alla stregua di un nome proprio, anzi, di due. Ma di chi è questo sepolcro? Chi vi è seppellito? Un uomo, una donna o un numero?
Domande del genere sorgono spontanee di fronte al convegno organizzato dall' Associazione Sigismondo Malatesta con il titolo La poesia e i numeri (Roma, Castello di Torre in Pietra, 29-30 gennaio). Siamo ovviamente alle prese con un terreno vastissimo, che investe un campo già di per sé sconfinato come quello della numerologia. Quest' ultimo tipo di preoccupazioni, tuttavia, può essere messo da parte: qui non si tratterà di analizzare "il mistico intervento del numero" di cui parla Dante nella Vita Nuova, né di esaminare la vertigine delle cifre in Petrarca (il quale, secondo lo studioso tedesco Wilhelm Pötters, avrebbe addirittura alluso al pi greco attraverso l'immagine di Laura). Nulla di tutto questo. Scopo dell' incontro sarà piuttosto quello di studiare, nelle sue diverse forme, l' attrazione della scrittura verso il numero, in quella assimilazione della cifra all'interno del dettato poetico corrispondente a un'estetizzazione del linguaggio matematico.
Perché la domanda, in effetti, attraversa oltre due millenni di letteratura, dall' epoca classica a William Blake, da Novalis a Paul Valéry (con le sue ricerche sulla nozione di sezione aurea, o "numero d' oro"), dal Raymond Queneau di Centomila miliardi di poesie (libro composto da dieci sonetti i cui rispettivi 14 versi, aventi le stesse rime e la stessa costruzione sintattica, possono essere combinati così da offrire il numero di poesie indicato nel titolo) al Leonardo Sinisgalli di Furor mathematicus, da Iosif Brodskij al Mago dei numeri di Hans Magnus Enzensberger.
Ad ogni modo, se i riferimenti sono molti e disparati, non c' è dubbio che questi temi trovarono un ascolto particolarmente attento nel Romanticismo. Tipico di questo movimento fu infatti l'anelito all'unità, affinché, dietro le apparenze di un mondo governato dall'incalcolabile, potesse essere ritrovata la chiave armonica dell' universo e il suo originario ordine matematico. Certo, il numero romantico non ha valenza scientifica, presentandosi anzi con una potente connotazione di tipo magico, esoterico e filosofico. Ma come ha osservato Luca Pietromarchi, proprio nel periodo centrale dell' Ottocento, mentre Hugo, in alcuni suoi versi, evoca la rovina di un edificio che fa crollare a terra numeri e algebre, ha luogo una rivoluzione destinata a scardinare la geometria tradizionale.
Sono gli anni in cui Lobacevskij e Janos Bolyai (nato nel 1802, lo stesso anno di Hugo) costruiscono i primi esempi di geometrie non euclidee, volte a smentire il quinto postulato di Euclide su cui poggiava la geometria classica di Newton e di Laplace: «Il frontone che nella poesia di Hugo cade a pezzi è dunque quello dell' edificio pitagorico-euclideo, e quei numeri caduti a terra annunciano forse la proliferazione dei numeri irrazionali, immaginari e dei sistemi numerici complessi: numeri che dischiuderanno la possibilità di immaginare altri mondi e altre dimensioni proiettando il finito nell'infinito». Amplificando l' effetto di questo crollo, conclude Pietromarchi, forse non sarà eccessivo ricollegare a esso, in forma di profondo contraccolpo, la contemporanea dissoluzione dell'impianto metrico tradizionale, la sconnessione del verso classico e la conseguente nascita del verso libero, un verso che rinuncia appunto al rispetto del numero per affidarsi ai capricci di una geometria variabile... Ben diverso sarà l' approccio delle avanguardie storiche, dal futurismo al surrealismo, che pure tenteranno di introdurre la presenza della cifra all' interno del discorso poetico. Ecco ad esempio, intorno al 1910, La passeggiata di Aldo Palazzeschi, che nei suoi versi gioca con i numeri in modo totalmente mercificato e profano: «Fallimento! / Grande liquidazione! / Ribassi del 90%». Ecco, in forma ben più amara, una quartina che Apollinaire scrisse nel carcere della Santé, dove fu condotto per il famoso affaire provocato dal furto della Gioconda leonardesca. Nella desolazione dell' universo penitenziario, il nome proprio scompare, e l'individuo diventa una nuda cifra, tanto che il testo, a mo' di sconsolato testamento, recita: «No, qui non mi sento più / me stesso / sono soltanto il quindici / dell' undicesima». Ecco infine André Breton, che in una poesia-collage del 1920, PSTT, allinea i nomi di venti suoi omonimi, tratti dall'elenco degli abbonati di Parigi e identificati dai rispettivi numeri di telefono.
Nella loro straniante sequenza, i soggetti convocati in questa specie di ready-made rinviano a una realtà governata dalla tecnica, nella quale il contatto tra parlanti ha assunto i tratti stilizzati della conversazione a distanza, attraverso l' impiego di una cifra di riconoscimento. Adesso il dio di Hugo è davvero lontano, e mentre il mistero dei numeri appare ormai pienamente calato nel linguaggio dei nostri giorni, la poesia sembra già pronta a raccontare ulteriori metamorfosi matematiche, magari per cantare, dopo la nascita del recapito telefonico, l'avvento del codice a barre.
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