Montale con Annalisa Cima alla libreria Cavour di Milano per la presentazione delle poesie della scrittrice. Foto "Corriere della Sera" |
Paolo Di Stefano
"Corriere della Sera", 12 novembre 2014
Una pietra tombale o quasi. Il Diario postumo, pubblicato da Mondadori nel 1996 a cura di Rosanna Bettarini, non è di Eugenio Montale. Stiamo parlando della raccolta di 84 poesie che sarebbero state composte tra il 1968 e il 1979 e che Annalisa Cima avrebbe ricevuto da Montale in 11 buste chiuse. Non c’è (quasi) nulla che faccia pensare a testi autografi. È la conclusione che si trae dal convegno tenutosi ieri alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, con gli interventi di numerosi studiosi, non solo letterati. E proprio dai non letterati è d’obbligo partire. La perizia grafologica dell’avvocata Susanna Matteuzzi, consulente del Tribunale di Bologna, pur basandosi su materiali fotocopiati non essendo disponibili gli originali (mai messi a disposizione dalla destinataria), lascia pochissimi margini di dubbio: si registra una netta «incompatibilità tra la grafia del Diario postumo e la grafia del Montale coevo». La patologia neurologica (Parkinson?) di cui soffriva il poeta lo costringeva a un andamento grafico che non si riscontra nei fogli del Diario, in particolare la «micrografia» (corpo ridottissimo delle lettere), la disposizione a cono sul margine sinistro e la difficoltà a mantenere il tratto grafico sul rigo di base. Senza dire di altre differenze nel movimento di una ricca serie di lettere. Va da sé che gli accertamenti sugli autografi sarebbero indispensabili, ma Annalisa Cima non ha mai voluto porre rimedio alla lacuna.
Venendo al versante letterario, Alberto Casadei ha condotto un esame stilistico che rileva una serie di dettagli lessicali presenti nel Diario ed estranei al Montale autentico: differenze minime ma significative nell’uso di numerose parole. E come se non bastasse, anche l’analisi della metrica, realizzata da Luca Zuliani, mostra difformità rilevanti. La ricostruzione puntuale della vicenda nella sua curiosa trasmissione (con le tante contraddizioni consegnate negli anni dalla Cima a interviste e racconti vari) è stata realizzata dal filologo classico Federico Condello in un corposo studio intitolato I filologi e gli angeli (Bononia University Press). Ma ieri lo stesso Condello ha aggiunto una «postilla» che estende la questione ad altre carte detenute dalla Cima: si tratta di un testo pubblicato su «Nuova Antologia» nel 2009 e presentato da Annalisa Cima come un inedito poetico di Aldo Palazzeschi a lei dedicato. Il «presunto autografo», datato 6 giugno 1972, presenterebbe ancora una volta una grafia «non compatibile» con gli autografi noti palazzeschiani ma soprattutto rivela delle curiose somiglianze col presunto Montale del Diario postumo.
La Mondadori non poteva chiamarsi fuori da questo caos, e infatti il direttore letterario Antonio Riccardi è intervenuto a dirsi convinto della tesi dell’apocrifia, pur ritenendo che «qualcosa» di autentico potrebbe esserci e ipotizzando che fosse stato lo stesso poeta a ordire la «beffa»: ma ciò, come ha mostrato Condello, si scontrerebbe con altre inconfutabili prove di fatto. Riccardi ha poi letto due lettere di Rosanna Bettarini, risalenti al 1990, in cui la curatrice consigliava di pubblicare la prima plaquette del Diario sotto Natale perché non si notasse troppo l’uscita: segno che neanche lei doveva essere troppo convinta dell’autenticità. Di eventuali «lapilli» montaliani ha parlato anche Maria Antonietta Grignani, che già all’epoca delle prime uscite del Diario aveva espresso i suoi dubbi pur contro le tesi della sua maestra Maria Corti. I «lapilli» potrebbero essere minimi stralci da conversazioni registrate, poi rimontate a suo modo dalla musa. Il che comporta comunque una conseguenza inevitabile: che il Diario postumo venga espunto dal corpus complessivo delle opere di Montale.
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