Cento anni fa il silenzio delle armi
Tedeschi e inglesi non più nemici per una notte e un giorno
Paolo Rastelli
"Corriere della Sera", 24 dicembre 2014
Il video è bello e ben girato. Due gruppi di giovani uomini vestiti con uniformi diverse, in un campo innevato devastato dalla battaglia, che si scambiano fotografie, liquori, cioccolata in un’atmosfera di pace e fratellanza resa con colori tenui. Ma lo spot di Sainsbury è stato vissuto come un oltraggio da almeno una parte del pubblico britannico: la catena di supermercati ha deciso di sfruttare a fini commerciali (appena mascherati dal sostegno dato alla Royal British Legion, l’equivalente della nostra Associazione Combattenti e Reduci) una delle memorie più sacre della Prima Guerra Mondiale, la cosiddetta «tregua di Natale» del 1914 tra tedeschi e inglesi.
Fu un’iniziativa presa dal basso, dai soldati in trincea, che il 25 dicembre di cento anni fa uscirono spontaneamente allo scoperto in alcune zone del fronte occidentale per andare a salutare e a fare gli auguri ai «nemici» senza che ci fosse, da parte dei comandi, alcun via libera. Anzi, proprio il contrario. Quando la notizia si diffuse grazie alle lettere dei soldati alle famiglie, i vertici militari di entrambi i contendenti si affrettarono a proibire altre iniziative simili: il generale Horace Smith Dorrien, comandante del secondo corpo d’armata della Bef, la forza di spedizione britannica in Francia, arrivò a minacciare la corte marziale per chi si fosse reso colpevole di fraternizzazione.
Il «miracolo» del Natale 1914, di due avversari che dimenticano l’odio per unirsi in un abbraccio fraterno, rimase un fatto quasi isolato (ci sono poi stati altri episodi di «vivi e lascia vivere» ma mai più così eclatanti) e ben presto trascolorò nel mito, tanto più quando il sentimento popolare degli europei nei confronti della Grande Guerra cambiò di segno: non più glorioso fatto d’arme ma massacro insensato, che aveva spazzato via una generazione. La tregua di Natale venne quindi vista come la dimostrazione che gli uomini sono fondamentalmente buoni e che erano stati spinti alla guerra da governi stupidi e irresponsabili, tanto che appena liberi di farlo avevano scelto la pace e la fratellanza.
Ma come andarono realmente le cose? Facciamolo raccontare a chi ne fu testimone diretto, il caporale Leon Harris del 13esimo battaglione del London Regiment in una lettera scritta ai genitori che stavano a Exeter (riprodotta sul sito www.christmastruce.co.uk interamente dedicato a quanto successe cento anni fa): «È stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle».
Il riferimento al tempo non è di poco conto: «La vigilia — scrive Alan Cleaver nella prefazione al libro La tregua di Natale (Lindau edizioni) che raccoglie molte lettere dei soldati dell’epoca — segnò la fine di settimane di pioggia battente, e una gelata rigida e tagliente avvolse il paesaggio. Gli uomini al loro risveglio si trovarono immersi in un Bianco Natale».
Non si sa dove fosse schierata l’unità dal caporale Harris ma gli eventi da lui descritti con tanta vivacità si ripeterono più o meno identici in molti punti del fronte. In una lettera alla famiglia del 28 dicembre, il bavarese Josef Wenzl racconta di essere rimasto incredulo quando uno dei soldati cui la sua unità stava dando il cambio gli disse di aver passato il giorno di Natale scambiando souvenir con gli inglesi. Ma quando spuntò l’alba del 26 dicembre vide con i suoi occhi i soldati britannici uscire dalle trincee e cominciare a parlare e scambiarsi oggetti ricordo con lui e con i suoi compagni. Poi ci furono canti, balli e bevute. «Era commovente — si legge nella lettera — tra le trincee uomini fino a quel momento nemici feroci stavano insieme intorno a un albero in fiamme a cantare le canzoni di Natale. Non dimenticherò mai questa scena. Si vede che i sentimenti umani sopravvivono persino in questi tempi di uccisioni e morte».
Scene simili si verificarono anche tra tedeschi e francesi e tra tedeschi e belgi, pur se in misura molto minore: dopo cinque mesi di guerra sanguinosissima (era iniziata il primo agosto) con circa un milione di vittime, con molte zone del Belgio e della Francia orientale occupate e dopo i massacri di civili compiuti dai soldati tedeschi, i sentimenti di fraternità erano parecchio meno diffusi. E comunque anche nelle zone inglesi ci furono morti e feriti per il fuoco nemico perfino nel giorno di Natale: alcuni soldati che avevano cercato di prendere contatto con il nemico sporgendosi dai parapetti delle trincee furono fulminati dai cecchini avversari. «A Natale — racconta lo storico Max Hastings in Catastrofe 1914 (Neri Pozza) — il Secondo granatieri inglese ebbe tre uomini uccisi, due dispersi e 19 feriti; un altro soldato fu ricoverato in ospedale con sintomi di congelamento, come altri 22 la mattina dopo».
Ovviamente queste storie finirono rapidamente sui giornali dell’epoca, con titoli abbastanza sensazionali. Il Manchester Guardian del 31 dicembre 1914 titolava: «Tregua di Natale al fronte — I nemici giocano a calcio — I tedeschi ricevono un amichevole taglio di capelli». E il 6 gennaio lo stesso quotidiano strillava: «Nuove notizie sullo straordinario armistizio ufficioso — I Cheshires (un’unità inglese, ndr) cantano Tipperary a un pubblico di tedeschi». Fu sui quotidiani britannici che fu raccontata la vicenda della partita di calcio giocata nella terra di nessuno da inglesi e tedeschi in una zona imprecisata del fronte, che sarebbe finita 3-2 per i tedeschi. Per molto tempo fu una storia considerata non sufficientemente provata dagli storici (tutte le fonti erano indirette, qualcuno che raccontava che qualcun altro gli aveva detto che c’era stata una partita…), ma che entrò prepotentemente nel mito: la si ritrova nello spot della Sainsbury, nel film ferocemente antimilitarista Oh che bella guerra di Richard Attenborough (1969) e anche nel videoclip di Pipes of Peace di Paul Mc Cartney del 1983. E pochi giorni fa, l’11 dicembre, nella cittadina belga di Ploegsteert, il presidente dell’Uefa Michel Platini ha inaugurato un monumento a ricordo del giorno in cui il calciò unì i giovani di due nazioni nemiche.
Alla fin fine, comunque, pare che il mito avesse ragione e gli storici scettici torto: è stata scoperta una lettera del generale Walter Congreve (decorato con la Victoria cross, la più alta decorazione britannica al valor militare) che racconta alla moglie della tregua e della partita di calcio anche se ammette di non averla vista con i propri occhi ma di averlo saputo da testimoni oculari. Ma poiché era un generale, non si faceva illusioni e sapeva i bei momenti sarebbero finiti. Ne dà conto, con una battuta piuttosto macabra, nella stessa lettera: «Uno dei miei ha fumato un sigaro con il miglior cecchino dell’esercito tedesco, non più che diciottenne. Dicono che ha ucciso più uomini di tutti ma ora sappiamo da dove spara e spero di abbatterlo domani». Sì, la guerra sarebbe continuata.
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