Cent’anni fa nasceva la teoria dei quanti
A mettere d’accordo Bohr e Einstein fu lo scienziato “più strano del mondo”
Nel Big Bang secondo l’equazione di Dirac potrebbero essere nati due universi,
uno di materia e uno di antimateria
Piero Bianucci
"La Stampa", 26 febbraio 2013
Prima lo scenario. L’idea moderna di atomo ha cent’anni. Nel 1913 il danese Niels Bohr lo immaginò come un minuscolo sistema solare: il nucleo al centro come il Sole, gli elettroni intorno come i pianeti. L’anno prima Rutherford aveva scoperto che il nucleo, pur contenendo quasi tutta la massa dell’atomo, è piccolissimo: se fosse un granello di sabbia al centro della piazza di San Pietro, gli elettroni girerebbero alla distanza del colonnato. Tutti i pianeti pesano un millesimo del Sole. Gli elettroni, rispetto al nucleo, hanno una massa ancora più trascurabile: l’atomo è fatto soprattutto di vuoto.
Le regole del microcosmo sono scritte nella meccanica dei quanti. Per noi abituati alla meccanica di Newton, che si applica non al micro ma al macrocosmo, è una teoria incredibile e stravagante. Nessuno l’ha capita fino in fondo. Eppure funziona meglio di qualsiasi altra teoria ed è precisa fino all’undicesima cifra dopo la virgola. Nella meccanica dei quanti le particelle si comportano ora come corpuscoli ora come onde. Nel 1905 Einstein interpretò la luce come un flusso di corpuscoli che chiamò fotoni. Ne ricavò il premio Nobel nel 1921 e di lì derivarono il laser, i led, le celle fotovoltaiche e un sacco di tecnologie che usiamo tutti i giorni. Ma in varie circostanze la luce si capisce meglio se la pensiamo come un’onda. La cosa strana è che la luce, come ogni altra radiazione elettromagnetica, può essere prodotta solo a pacchetti di entità definita, chiamati appunto «quanti». È come se la birra potesse esistere solo in pinte, non in gocce o in barili. Questa scoperta, senza accorgersene, l’aveva già fatta il fisico tedesco Max Planck nel 1900.
A completare le bizzarrie, nel 1926 Heisenberg aveva stabilito che di una particella, proprio perché è un po’ corpuscolo e un po’ onda, non si può conoscere con la stessa precisione l’energia e la posizione. Per misurarne l’energia occorre rinunciare a localizzarla bene e per localizzarla bene si perde informazione sull’energia: è il famoso principio di indeterminazione. Ne consegue che i fenomeni del microcosmo sono probabilistici e che è l’osservatore con la sua osservazione a definirli. La faccenda si riassume nell’esperimento ideale del «gatto di Schroedinger». È un gatto dalla salute precaria: prima che l’osservatore lo osservi, non è né vivo né morto, si troverebbe in uno stato misto vivomorto... In questo scenario irrompe Paul Dirac, l’Uomo più strano del mondo, stando al titolo della sua biografia scritta da Graham Farmelo appena pubblicata da Raffaello Cortina. Nato nel 1902, alto ed esile, timido con le donne e ruvido con gli uomini, Dirac amava i valzer di Chopin, leggeva Topolino, rideva ad algide barzellette, ammirava le forme della cantante Cher (prima che eccedesse con la chirurgia plastica), La sua teoria gravitazionale valida per il macrocosmo non si applica alla realtà subatomica parlava a monosillabi, si curava con farmaci omeopatici (ciò contribuì alla sua morte nel 1982), ma soprattutto fu un genio della fisica quantistica.
Bohr e Einstein – onde e particelle – erano separati in casa. Nel 1930 Dirac riuscì a dare una descrizione degli elettroni mettendo d’accordo meccanica dei quanti e relatività di Einstein, teorie che fino ad allora sembravano inconciliabili. L’equazione finale contiene una sorpresa: non ha una soluzione ma due, entrambe giuste pur essendo l’una il contrario dell’altra. In matematica è normale: la radice quadrata di 25 può essere sia +5 sia -5. Ma nella realtà come vanno le cose? Quella equazione, premiata con il Nobel nel 1933 e ora incisa nell’abbazia di Westminster accanto alle tombe di Newton e di Darwin, contiene la scoperta dell’antimateria. La prima soluzione corrisponde all’elettrone, la particella con carica elettrica negativa che ben conosciamo e che fa funzionare i nostri mille apparecchi elettronici. La seconda soluzione, con il segno invertito, corrisponde a una particella identica all’elettrone ma con carica elettrica opposta: un anti-elettrone poi chiamato positrone. Non stiamo parlando di scienza lontana dalla vita quotidiana. Oggi la tomografia a emissione di positroni è una tecnica diagnostica usata in ogni ospedale ben attrezzato.
Il positrone fu il primo mattone dell’anti-mondo. L’equazione di Dirac dice infatti che ogni particella ha la sua antiparticella. Dunque alla materia «comune» di cui siamo fatti e che ben conosciamo corrisponde una antimateria che è un po’ come la sua immagine riflessa in un specchio. Lo specchio inverte destra e sinistra, tra materia e antimateria si inverte la carica elettrica. Potrebbero quindi esistere anti-Terre, anti-stelle, anti-galassie: guardandole al telescopio e studiandole con ogni mezzo oggi a disposizione, non avremmo modo di distinguerle. Nel 1932 Carl Anderson scoprì il positrone nei raggi cosmici. Quanto all’antiprotone, lo staneranno Emilio Segré e Chamberlain nel 1955 (Nobel 1959). Oggi al Cern si fabbricano anti-atomi di idrogeno a decine di migliaia. Capire se abbiamo a che fare con antimateria è semplice ma pericoloso: basta metterle a contatto. Materia e antimateria si annientano in una spaventosa esplosione. È la reazione nucleare più potente che ci sia. Tutta la massa si trasforma in energia, non soltanto lo 0,7 per cento come accade nella bomba H!
Perché un genio come Dirac fu anche «l’uomo più strano del mondo»? Il suo segreto è una malattia. Non la Tbc a un rene che lo uccise, ma l’autismo annidato nella sua mente. Il disturbo autistico fece di lui un isolato, donandogli però una eccezionale capacità di astrazione e il gusto assoluto della bellezza matematica. «Dirac presenta la meccanica quantistica come un’opera d’arte perfettamente levigata», ha detto un altro grande fisico, Freeman Dyson. Il vero mistero di Dirac riguarda la fede. Per il decano di Westminster fu un ateo militante. Eppure nel 1971 aveva messo la domanda «C’è un Dio?» tra i cinque interrogativi più importanti della fisica contemporanea e la moglie Manci sulla sua tomba fece incidere la frase: «Perché Dio ha detto che doveva essere così».
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